Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La crisi economica e gli intoccabili

La crisi economica e gli intoccabili

di Manuel Zanarini - 23/03/2009

 

Se si ascolta la “vox populi”, la crisi “tocca ormai tutti”. Non c’è azienda, o settore produttivo ed economico, che non si lamenti del fatto che gli affari fanno male, e che quindi bisogna “tagliare”. Ogni giorno, ognuno di noi finisce in cassa integrazione, o conosce gente che ci è appena finita; i commercianti denunciano cali delle vendite del 30-40%; gli industriali piangono miseria (ovviamente a bordo di lussuosissime automobili), ecc.
Sembrerebbe la classica situazione del detto “mal comune mezzo gaudio”; in realtà le cose non stanno assolutamente così. Come sempre esistono “figli e figliastri”; in questo caso, i “figli” sono i dirigenti delle grandi banche, e più in generale il sistema bancario nel suo complesso.

Mentre operai e impiegati si disperano per una situazione economica sempre più drammatica, “lor signori” continuano a guadagnare milioni di euro come se niente fosse. Ma come, direte voi, ma se gli istituti bancari stanno fallendo? Si, ma i grandi manager, le menti illuminate uniche colpevoli del disastro economico che sta rovinando milioni di famiglie in tutto il mondo, incassano “bonus” multimilionari. Mentre gli Stati Uniti si indignano, o almeno fanno finta di farlo, per i “super bonus” incassati dai manager della Merril Lynch e della AIG, da noi non ci si fa più caso, visto che è un fenomeno diffuso da tempo, basti pensare a quelle dei parlamentari della passata legislatura o a quelli di Alitalia!

Ma, come detto, il problema non sono i singoli manager, ma tutto il sistema bancario e finanziario, che, nonostante i danni che ha creato, continua strenuamente a difendere i suoi privilegi da “padrone del mondo”; infatti, mentre in tutto il pianeta viene chiesto ai governi, che a loro volta pescano dalle tasche dei cittadini, soldi per far fronte ai rischi di bancarotta, nulla gli istituti di credito sono disposti a concedere in cambio. Già da tempo si chiede al sistema bancario mondiale di dire con estrema chiarezza a quanto ammonta il totale dei “titoli tossici” che hanno “in pancia”; diversamente, i vari stanziamenti pubblici si rivelano inutili (basti guardare ai fallimenti di Brown e di Obama per rendersene conto), e sui mercati continuerà ad aleggiare la paura e l’incertezza; ovviamente, ancora nulla è stato detto dai banchieri.
Ancora più esplicativo si rivela il caso italiano. Come sappiamo, il sistema produttivo nostrano si basa in larga parte sulla piccola e media impresa, che da sempre “lavora coi soldi della banca”. Di fronte alla crisi, gli istituti hanno deciso di stringere i cordoni della borsa, tanto  che si parla di stime dimezzate rispetto agli anni passati (+4,2% la crescita anno su anno degli impieghi a gennaio, secondo i dati dell'Abi, contro una crescita a doppia cifra nello stesso periodo dell’anno scorso), col risultato che le aziende si trovano costrette a chiudere e i lavoratori perdono il posto di lavoro.
Per fronteggiare la situazione, sia le banche che Confindustria hanno chiesto al governo di stanziare fondi, i “soldi veri” invocati dalla Marcegaglia, per venire incontro alle esigenze del mercato, evidentemente dimenticandosi le teorie dello “stato minimo” portate avanti fino al giorno prima. L’esecutivo ha risposto emettendo i “Tremonti bond” e includendo nelle misure di intervento, il controllo da parte dei Prefetti, sulle procedure di emissione dei prestiti da parte delle banche, al fine, stando alle parole di Maroni, di “raccogliere informazioni sul credito direttamente dalle banche per avere un quadro diretto delle "criticità" del mercato, risolvere controversie sull'erogazione dei fidi ed eventualmente intervenire con una sorta di moral suasion” e di valutare se si verifichi un’ “ingiustificata azione restrittiva da parte delle banche”.

Penso che sia ovvio per tutti, banche in testa, che da sempre adottano controlli minuziosi sui propri debitori, che se lo Stato mette a disposizione denari, sostanzialmente a fondo perduto, voglia anche controllare come questi soldi vengono spesi e quali siano i criteri con cui gli istituti di credito agiscono sul mercato. Sembrerebbe ovvio, ma significherebbe anche che le banche dovrebbero subire un controllo da parte dello Stato, cioè del popolo, che dovrebbe essere sovrano in democrazia. Qua casca l’asino; infatti il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, è insorto davanti alla prospettiva di dover rispondere ai cittadini. In una circolare alle proprie filiali locali, spiega che i nuovi Osservatori, varati da Tesoro e Interni, non potranno “rivolgersi direttamente alle banche per ottenere cifre disaggregate sui prestiti concessi dai singoli istituti; ma solo i dati elaborati trimestralmente dalle filiali regionali della Banca centrale e, su richiesta, altre informazione statistiche, ovvero dati aggregati a livello territoriale”. In pratica il popolo italiano potrà sapere solo ciò che il Signor Draghi ritiene opportuno che sappia, ovviamente in cambio dovrà sborsare svariati milioni di euro. La cosa ancora più inquietante è che l’arroganza di Bankitalia trova sponda nell’opposizione, tanto che il nuovo segretario del Partito Democratico (sic!) afferma che “ci si alternerà alla guida del Paese, ma lasciamo stare la Banca d’Italia”: nemmeno il vassallo delle banche Romano Prodi era arrivato a tanto! L’atteggiamento delle banche italiane è ancora più patetico oggi, in un momento in cui perfino la Svizzera e il Lussemburgo affermano di voler rivedere le proprie norme sul segreto bancario, per rendere più agevole la cooperazione internazionale.

Trovo veramente vergognoso che la Banca d’Italia pretenda che paghiamo milioni di euro per le sue malefatte e voglia pure che non possiamo mettere il naso sui suoi sporchi affari; mentre se un qualunque cittadino, che, per colpa delle scelte disgraziate dei banchieri internazionali, ha perso il posto di lavoro deve pregare in ginocchio affinché una banca gli conceda un piccolo mutuo!
Ma in fondo, non c’è niente di nuovo, è solo l’ennesima dimostrazione che la democrazia in Occidente non esiste, e che viviamo in un regime di “aristocrazia finanziaria”.