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Dai covi neri alle auto blu

di Filippo Ceccarelli - 24/03/2009

La parabola dei neofascisti italiani


Una storia fatta di fughe in avanti e sconvolgimenti, corse all´indietro e pentimenti. Accadeva qualcosa di grosso, di serio e d´imprevisto

Al congresso di scioglimento di Alleanza nazionale, in uno degli stand più vivi e frequentati, quello della Fondazione FareFuturo raccolta attorno a Gianfranco Fini, era in distribuzione un utile libricino, La destra nuova, a cura di Alessandro Campi e Angelo Mellone, che nel titolo ricalcava, adeguava e insieme superava e rovesciava, senza nemmeno troppa arroganza, l´esperienza e le suggestioni, molto anni Ottanta, della cosiddetta "Nuova destra", ormai invecchiata.
Ecco, anche solo a sfogliare questo elegante volumetto che spiega molto sull´evoluzione di Fini guardando all´esperienza di Sarkozy, del britannico Cameron e dei "nuovi moderati" svedesi, veniva voglia di entrare nella macchina del tempo: per vedere che faccia avrebbero fatto se fosse finito nelle mani di certi personaggi del Msi degli anni Cinquanta, o Sessanta, o Settanta, e pure Ottanta. Gente davvero parecchio stramba: sospetti figli naturali del Duce, aristocratici decaduti nel paracadutismo, profeti macilenti, ex promesse del regime ridotte alla fame, fascistoni tipo Tognazzi ne Il federale e poi avventurieri, mutilati, pugilatori, anarchici, pazzi. Ma anche molti altri che non si volevano riconoscere come fascisti. "Esuli in patria" vennero qualificati, ma solo tanti e tanti anni dopo.
Nello scritto introduttivo Campi e Mellone presentano questa "destra nuova", appunto, come «riformista, pragmatica, postideologica, laica, modernizzatrice»; ma proseguendo nell´analisi e calandosi nella realtà delle scelte è chiaro che si tratta di una cultura politica assai più che rispettabile, almeno per chi abbia a cuore non solo il valore, ma soprattutto l´efficacia della democrazia.
Ecco. I nonni e i padri di quell´antica destra avrebbero probabilmente pensato a uno scherzo. Oltretutto, intriso com´era di spirito tra la goliardia e I tre moschettieri, quel mondo di reduci e nostalgici adorava le beffe. In un comizio di De Gasperi, a Napoli, per dire, gli attivisti missini liberarono centinaia di topi. Però si trattava anche di una comunità compiaciuta della propria necrofilia, come documentano arredi, simboli, grafica, labari e canzoni.
Il punto è che rimanendosene pigramente a sinistra a volte si perdono non solo le prospettive, ma spesso anche il senso della topografia politica. Così circa quarant´anni orsono, in un tempo di clamori e dissennatezze, risuonò nelle vie uno slogan che intimava: «Fascisti, carogne, tornate nelle fogne!». Ecco: con il senno di poi occorrerà riconoscere che quell´appello, oltre che molto incivile, era pure sbagliatissimo, nel senso che non si trattava di fogne, ma di un´intera città sotterranea.
Non che là sotto mancassero pozzi neri maleodoranti e fiumi pericolosi. Ma oltre alle catacombe ed ad altri luoghi di culto, c´erano ambulacri, piazze, scuole, stadi, palestre, biblioteche, teatri, anche piuttosto frequentati. E laggiù non viveva un unico popolo, ma un numero abbondante di tribù, alcune perfino in guerra fra loro.
Questa era insomma la destra, quella emersa nei suoi tratti truculenti, e quella più inesplorata che misteriosa dell´ipogeo. Poi anche qui, e lì sotto, deve essere accaduto qualcosa di grosso, di serio e d´imprevisto. Fughe in avanti e sconvolgimenti, corse all´indietro e pentimenti. Un´intera cultura politica salutava il passaggio di secolo con rassegnata fiducia e trepido disincanto. L´identità diventava retorica, l´utopia saliva a bordo di un´auto blu; e tra "nuova destra" e "destra nuova" la novità è tale da non potersi più forse nemmeno nominare destra, ma in qualche altro modo per cui ancora manca la parola.