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Via Rasella e il giallo della foto del bimbo falciato

di Pierangelo Maurizio - 25/03/2009

Fonte: il tempo

 
 



Chi l'ha detto che le pietre, i muri non parlano? Parlano, parlano, e avolte riempiono anche i nostri silenzi. E' il caso ad esempio di una fenditura, di una spaccatura del travertino scovata con un meticoloso lavoro da Gian Paolo Pelizzaro nel basamento di un palazzo romano.



In uno dei luoghi della Storia: via Rasella. Quella scheggiatura è identica, perfettamente sovrapponibile a quella che in un piccolo dettaglio appare nella ormai celebre fotografia che ritrae il busto mozzato di Pietro Zuccheretti, falciato a 12 anni dalla bomba dei Gap (Gruppi armati patriottici) ovvero il «braccio armato» del partito comunista. L'attentato, il 23 marzo 1944, fece a pezzi più di 33 altoatesini del Polizeiregiment Bozen e un numero imprecisato di civili. Ne seguì, il 24 marzo di 65 anni fa il massacro della rappresaglia nazista alle Fosse Ardeatine.

«Falsa», hanno protestato gli attentatori ancora in vita e storici (si fa per dire) vari quando la foto spuntò nel '96. E foto falsa ha sancito perfino la magistratura nel condannare Il Giornale a un congruo risarcimento. Ora però il dettaglio inciso nel travertino rovescia le carte. E forse ci farà riscrivere la storia dell'attentato. Nessuna volontà di denigrare i partigiani e la Resistenza. Gian Paolo Pelizzaro ricostruisce in modo rigoroso la scoperta, nonché la vicenda giudiziaria della fotografia «falsa», in un lungo articolo pubblicato dal mensile «Storia in rete». Se le cose stanno così, e quello individuato è realmente il punto in cui si trovava il cadavere del bambino, non solo lo scatto è perfettamente vero. Nascosto per mezzo secolo, poi dichiarato falso.

Ma è un elemento in più per domandarci se abbia ragione il fratello gemello di Zuccheretti, Giovanni. Con la tenacia della rabbia e del dolore ha sempre detto che Pietro al momento dell'esplosione era vicino, drammaticamente vicino, al carretto della nettezza urbana dov'era nascosto l'ordigno. Ma andiamo con ordine. Ho trovato io quella foto del corpo straziato. La pubblicai il 24 aprile 1996 qui, sul Tempo, dove allora lavoravo e l'unico disposto a raccontare questa storia. Gli articoli, dopo un'intervista che non mi era sembrata convincente a Rosario Bentivegna, il gappista che accese la miccia in via Rasella, diventarono un'inchiesta proseguita collaborando con il Giornale e che ho raccolto in un libro «Via Rasella 50 anni di menzogne» pubblicato a mie spese.

L'8 maggio 1996 la fotografia dei poveri resti di Pietro fu ripresa con un articolo ampio e appassionato di Francobaldo Chiocci sul Giornale e un commento del direttore, Vittorio Feltri. Bentivegna citò per danni il Giornale, Chiocci e Feltri. La morte di un bambino ucciso dalla bomba era stata taciuta per mezzo secolo. Ora di fronte all'evidenza non la si poteva più negare. Ma l'attenzione fu subito spostata sulla foto. Falsa, cominciò a dire il tam-tam «democratico»: perché la testa è accanto al cordolo di un marciapiede e a via Rasella i marciapiedi sono comparsi solo nel dopoguerra. Tornai a via Rasella e mi resi conto che quello che si intravede nella foto non è un marciapiede ma il basamento di Palazzo Tittoni.

La cosa finiva lì per me, quell'immagine aveva solo un valore simbolico. Mi sbagliavo. In primo grado il Giornale fu assolto e Bentivegna condannato a pagare le spese processuali. In appello però gli avvocati dell'ex gappista, Franco Agostani, Alessandro Garlatti e Gianfranco Maris, chiesero ed ottennero che 30 foto scattate dai tedeschi in via Rasella fossero acquisite al Bundesarchiv di Coblenza per confrontarle con quella incriminata. Carlo Gentile, studioso che da anni vive a Colonia e specializzato in ricerche negli archivi tedeschi, esprime il suo parere: nelle altre immagini non si vedono marciapiedi e poiché in quella pubblicata dal Tempo e dal Giornale «a pochi centimetri dal corpo dilaniato appare il cordolo di un marciapiede… è a mio avviso del tutto improbabile che possa essere stata scattata a via Rasella il 23 marzo 1944».

Un plateale errore, secondo la nuova ricostruzione. Sulla base di questo parere la Corte d'Appello di Milano (sentenza del 14 maggio 2003, II sezione civile) e poi la Cassazione il 23 maggio 2007 fanno di più. Nel condannare il Giornale a risarcire Bentivegna hanno stabilito che se la foto non è stata scattata a via Rasella «è inequivocabilmente falsa». «Accertata la falsificazione della fotografia, non vi era più alcuna possibilità di accertare in quale punto si trovasse il ragazzo e in quale preciso momento egli fosse comparso nel teatro dell'esplosione (rispetto al momento in cui era stata accesa la miccia)».

E la verità giudiziaria è diventata subito verità storica sbandierata da tutti gli «studiosi» della materia. Esaminando gli atti processuali Pelizzaro però ha scoperto che: 1) quello di Carlo Gentile era solo «un appunto informale trasmesso ad uno degli avvocati di Bentivegna»; 2) una vera perizia non sarebbe mai stata fatta. Nell'articolo documenta che quello scambiato per il «cordolo di un marciapiede» è in realtà la modanatura dello zoccolo di Palazzo Tittoni. E ha trovato il punto esatto dove fu fotografato ciò che restava di Pietro Zuccheretti. Lo proverebbe quella scheggiatura nel travertino - a forma di Y - che si nota nell'immagine scattata allora ed è ancora perfettamente visibile. E perfettamente identica. Poco più sopra un'altra scheggiatura, anche questa identica, solo nel frattempo stuccata. A lato la «bocca di lupo» cementata ma i cui contorni sono ancora visibili. Per anni mi sono chiesto perché dopo il '96 l'attenzione sia stata deviata sulla «non veridicità» della foto. Adesso comincia a girarmi in testa qualche risposta.

Tragica. Ma che non voglio ancora darmi. Il punto dove il busto tranciato e scagliato dall'esplosione fu fotografato è a pochi passi dall'incrocio tra via Quattro Fontane e via Rasella. E a poche decine di metri da dove si trovava il carretto con la bomba. Appare dunque molto probabile che il piccolo Pietro scendesse per via Rasella negli attimi in cui Bentivegna accendeva la miccia (durata 50 secondi) o subito dopo averla accesa mentre risaliva sull'altro lato della strada, stretta. All'ex gappista - con l'affetto che non riesco a non provare per lui, per essere diventato il simbolo di questa tragedia nazionale - vorrei solo chiedere: possibile che non l'abbiate visto? E ammettiamo che la visuale su Zuccheretti gli fosse nascosta: Bentivegna nella sua ricostruzione dell'attentato ha sempre affermato di aver acceso la miccia dopo che la testa del battaglione tedesco aveva superato il carretto. Non vide il bambino andare incontro allo strazio Carla Capponi, sua futura moglie e che faceva da vedetta su via Quattro Fontane? E non lo videro gli altri partigiani? Per dirla con la Corte d'appello di Milano, se la foto è vera, c'è un aspetto che non dovrebbe essere difficile ricostruire. Quando Pietro Zuccheretti entrò nel «teatro dell'esplosione», quando fu accesa la miccia o subito dopo?