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Obama e l’Iran: una “mano tesa” poco amichevole

di Matteo Pistilli - 25/03/2009

Fonte: cpeurasia

 
 
Il significato delle parole rivolte all'Iran da Barack Obama.


Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in questi giorni è salito agli onori della cronaca dopo aver spedito, in occasione del capodanno persiano, un “messaggio d’auguri” alle diverse popolazioni interessate da questa ricorrenza. In tale messaggio, egli si è rivolto soprattutto alla popolazione iraniana con parole che hanno fatto il giro del mondo e sono state riprese da tutti i media; in un breve intervento di tre minuti, agli abitanti della Repubblica Islamica ha detto di scegliere bene quale sarà il loro futuro, poiché gli Stati Uniti sono disponibili a “tendere la mano” all’Iran.

Ora, la cosa incredibile della questione, è che tali parole siano state accolte come una “grande novità” e considerate espressione dalla smisurata “bontà” che il presidente Obama pare promanare.

In realtà, per chi riflette e non si ferma alle impressioni diffuse dai media, è evidente che considerare una “novità” questa posizione degli Stati Uniti, utilizzare parole di giubilo e tutta la glorificazione messa in campo questi giorni siano l’ennesima costruzione propagandistica per camuffare i veri intenti degli Stati Uniti.

Infatti, quello che il presidente Obama dice nella dichiarazione è che nel caso l’Iran rinunci ad investire sull’energia nucleare, nel caso si pieghi alle direttive degli Stati Uniti, allora questi ultimi sarebbero disposti a guardare alla Repubblica Islamica “amichevolmente”. Tutto questo nella lingua americanista è tradotto: “E quel posto (nella “comunità delle nazioni”) non può essere raggiunto con il terrore e con le armi, ma con genuine azioni di pace”.

Ora cosa c’è di nuovo in tutto questo? Gli Stati Uniti continuano a voler proibire all’Iran di sviluppare l’energia nucleare (alla quale ha sacrosanto diritto), continuano a tenere l’Iran sotto la morsa delle sanzioni, continuano a tenere i capitali iraniani bloccati ecc. L’unica vera novità che si riscontra è l’aumento della pressione propagandistica, al servizio di quella geopolitica. Infatti chi oggi nell’analisi geopolitica si ferma a considerare soltanto gli elementi militari, economici e politici (che sono pur sempre importantissimi), commette un grandissimo errore di sottovalutazione di tutti quegli aspetti immateriali che assumono un eguale livello di importanza; infatti nell’analisi degli elementi della geopolitica oggi si distingue giustamente “hard power” (gli aspetti più materiali) e “soft power”, che riguarda soprattutto il potere di controllo dei mezzi di comunicazione di massa con l’obiettivo di elevare se stessi nella considerazione internazionale, attraverso “la conquista dei cuori e dell’anima delle popolazioni”. Com’è facilmente immaginabile, oggi gli elementi di “soft power” sono quasi esclusivamente monopolio americano, e l’Amministrazione Obama si è distinta proprio per l’utilizzazione efficiente di tutti questi metodi. Vendere se stessi, creare aspettative, rendere appetibile il modello americano (che prelude al controllo americano) è l’imperativo dell’amministrazione democratica (1).

Ma in realtà non dovrebbe essere così difficile capire quali sono gli obiettivi americani se, addirittura in un’intervista fatta dal quotidiano ‘obamista’ “L’Unità” allo scrittore iraniano (che vive in Italia) Hamid Ziarati, quest’ultimo dice: “Se il regime stringerà la mano che Obama porge, finirà in frantumi!”. Ovviamente costoro considerano lo Stato sovrano della Rep. Islamica dell’Iran un pericolo (per screditarlo lo chiamano “regime”), e guardano agli Stati Uniti con speranza ed alle parole di Obama con gioia, in quanto vi riconoscono giustamente una astuta mossa per colpire Teheran. È tutto qui il fulcro della questione: se si ritiene positivo che l’Iran debba continuare ad essere uno Stato sovrano e debba continuare a prendere liberamente le proprie scelte, allora le parole di Obama dovrebbero almeno spaventare; se invece consideriamo positivo il controllo statunitense sull’Iran (e per estensione su tutto il globo come vorrebbero) allora gioiamo pure per le parole dell’Amministrazione americana! L’importante è la chiarezza delle idee.

Barack Obama, oltre a mandare questo tipo di messaggi, ha fatto anche di più: parlando direttamente alla popolazione iraniana, infatti, è entrato ufficialmente nella campagna elettorale di quel Paese, dicendo agli iraniani che se dovessero scegliere qualcosa di contrario agli interessi americani se ne potrebbero presto pentire…

In definitiva possiamo dire che, Obama o no, non è cambiato nulla a livello di interessi geopolitici dell’America, ma con questa Amministrazione si è attuato un cambio di strategia, più rivolta al lato “soft power” e alla demonizzazione del nemico, facendolo passare per colui che “proprio non vuole scendere a patti”, che “vuole la guerra ed il terrore”, quando invece è proprio chi, pur essendo aldilà dell’Oceano, vuole dominare l’area mediorientale ed eurasiatica!

Senza contare che dietro l’elaborazione geopolitica della nuova Amministrazione c’è niente di meno che Zbigniew Brzezinski, del quale pare che Obama sia una creazione (2), il quale da sempre, in linea con gli scopi secolari della geopolitica americana, vede come obiettivo degli interessi Usa quello di indebolire la Russia e i collegamenti fra gli spazi eurasiatici, creando delle aree perno controllate dagli Stati Uniti e delle quali la più importante sarebbe proprio l’Iran. Non è il caso di delineare l’elaborazione geostrategica di Brzezinski, che si può trovare nei suoi numerosi saggi ed articoli (3). Quello che ci preme mettere in luce è come l’Iran rivesta una grandissima importanza per gli interessi di dominio statunitensi nel continente eurasiatico e che quindi ogni mossa americana va letta in questo contesto. Il fatto che l’unico commento da parte israeliana alla questione sia stato “Non ci interessa, sono questioni di politica interna degli Stati Uniti”, fa capire che non c’è stato nessun di cambiamento di sorta e che il progetto yankee di un “Grande Medio Oriente”, che ha come paladino nella regione il Sionismo, è ancora all’ordine del giorno.

Chi giubila per le parole di Obama, o considera positiva l’intromissione degli Usa in ogni angolo del mondo, oppure sta prendendo un grosso abbaglio, dal quale speriamo si possa ravvedere presto.




(1) La differenza con l’Amministrazione Bush riguarda perciò esclusivamente il tipo di strategie scelte per far avanzare la “frontiera” americana.

(2) Vedere l’intervista a Webster Tarpley realizzata da “Luogocomune”, rintracciabile su
http://politicaonline.ipbfree.com/index.php?showtopic=1759

(3) Fra tutti, “La grande scacchiera. Il mondo e la politica nell'era della supremazia americana”, tradotto in italiano per Longanesi.