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«Guerra umanitaria». Silenzio e vergogna

di Ennio Remondino - 25/03/2009

 
 
Gli effetti infiniti (e perversi) di un conflitto che stravolse definitivamente le regole delle Nazioni unite. E di cui oggi tutti, dentro e fuori la Serbia, vogliono cancellare la memoria. In attesa di un Berlusconi serbo pronto a scendere in campo al momento opportuno. Passato, presente e futuro nelle parole del socialista Ivica Dacic e dell'ex-radicale Toma Nikolic Il 24 marzo 1999 le prime bombe Nato su Belgrado
La memoria personale contro la strategia del silenzio. La memoria per ciò che è accaduto 10 anni fa e su cosa hanno significato i bombardamenti Nato sulla Jugoslavia. La strategia della dimenticanza, dopo l'esplodere delle bombe, risponde con un assordante silenzio. L'obbligo storico della memoria imporrebbe, infatti, anche l'obbligo della riflessione e, probabilmente, della vergogna. La strategia del silenzio è quindi la malizia conclusiva della più recente formula di guerra, quella della «ingerenza umanitaria», autentica svolta nell'ordine mondiale. La legalità internazionale delle Nazioni unite, per la prima volta dal 1945, messa ai margini dai vincitori della seconda guerra mondiale (tranne la Russia). Oggi non c'è più regola. Resta soltanto la Nato, il cui intervento nell'ex Jugoslavia è stato fondamentale per reinventare un suo ruolo dopo la fine della guerra fredda. La «guerra umanitaria» che ha il brevetto sul nome è comunque la nostra, 24 marzo 1999, ore 20 e qualche minuto con la prima esplosione su Belgrado. Qualche successivo tentativo di motivare altre azioni militari col nome di «guerra umanitaria», dopo i risultati balcanici, è stato bocciata dagli addetti al marketing e alla Idealpolitik delle guerre per riguardo al buon gusto.

Le guerre umanitarie hanno caratteristiche che le distinguono da tutte quelle del passato. Pochi sanno che l'Onu ha catalogato ben 20 tipi di guerra, compresa una ormai dimenticata «guerra del pallone» tra Honduras ed El Salvador, 1969, dopo una partita tra le due nazionali di calcio e 5 mila morti successivi. Nella guerra umanitaria si sa subito chi è destinato a vincere. In genere sono guerre veloci nella parte militare e lunghissime nella pace da costruire dopo. Per la «nostra» guerra hanno sbagliato anche le previsioni di durata: «Qualche giorno di bombe, una settimana al massimo ed è finita». I teologi della guerra umanitaria usano sempre ordigni «intelligenti», che ammazzano un sacco di civili, ma risparmiano i soldati di chi la decide. Per perfezionare il meccanismo delle guerre umanitarie, resta il problema futuro di concordare sui buoni da soccorrere e sui cattivi da punire. Attorno a questo problema prima o poi scoppierà una guerra per decidere chi ha ragione.

La vera sfortuna dei narratori «reduci» di quella guerra da archiviare al più presto è che il «Cattivo» era certo. Nessuno a rimpiangere o a difendere lo scomparso Slobodan Milosevic, ma sulle ragioni e sulle conseguenze di quei tre mesi di bombardamenti tanto invece ci sarebbe da dire e tanti «Buoni» ufficiali da sputtanare. Il problema è che nessuno vuol sentire. Un anno fa avevo proposto un libro a quattro mani, pensato assieme ad un intelligente ex generale Nato, e dagli editori ho ricevuto pernacchie. Ho lanciato l'allarme televisivo per il decennale ed attendo ancora risposta sul minuto e 15 «massimo» che andrà in onda. L'Ebu, l'organismo televisivo europeo che garantisce i punti di trasmissione necessari per l'evento non ha ancora deciso se evento sarà. La ragazza alla reception del residence dove alloggio qui a Belgrado, quando ho fatto riferimento al giorno 24, mi ha guardato interrogativa come fossi un matto. La guerra, le bombe Nato 10 anni fa?. «Ma io allora ero in Montenegro!».

La Jugoslavia morta e sepolta. Assieme scopro una Serbia non più orfana di Milosevic, anche se al prezzo di aver cancellato gran parte della sua memoria. La memoria che, insisto, impone anche l'esercizio del ripensamento, il riconoscimento dei propri errori e l'obbligo della vergogna. Se non ritengono di avere nulla di cui vergognarsi i vertici Nato di allora ed i capi di governo che la guerra hanno deciso, è giusto che anche Belgrado e la Serbia vadano oltre quel 24 marzo 1999 per correre senza loro vergogna verso l'adesione alla stessa Nato delle bombe e a governi e governanti, più o meno gli stessi di allora, che oggi rappresentano il miraggio dell'Unione europea.
Al centro della Serbia immemore, il Partito democratico del Presidente Boris Tadic, riconfermato nell'incarico, mentre le sorprese arrivano dalla destra e dalla sinistra. Rinasce su base europeista e socialdemocratica l'ex Partito socialista di Milosevic, si spezza la destra radicale del presunto criminale di guerra Vojslav Seselj e nasce un partito conservatore europeo. Ho incontrato i due protagonisti dei cambiamenti. L'attuale segretario del Partito socialista e ministro degli interni serbi Ivica Dacic, 43 anni, ed il candidato perdente di due corse presidenziali, ex segretario del Partito radicale e neo segretario del Partito progressista Toma Nikolic. Stesse domande con risposte sorprendentemente simili.

I fantasmi del passato

Ivica Dacic. Milosevic è stato il primo presidente ed il fondatore del Partito socialista serbo ed il partito deve conservare la sua memoria. Però deve avere anche una vita nuova. Una vita nuova in base a quello che accade nel 2009 e non in base agli anni '90.
Toma Nikolic. Non voglio dire niente di brutto su Vojslav Seselj, sono padrino dei suoi nipoti. Che Iddio gli dia salute e che torni al più presto in Serbia e dalla sua famiglia, che faccia politica o quel che vuole, ma le nostre strade si sono separate e da allora mi sento più sereno e più libero.
Il presente
Dacic. Il nostro partito poteva scegliere. Non abbiamo avuto la maggioranza, ma dalla nostra decisione è dipeso chi avrebbe fatto il governo. Noi abbiamo scelto la coalizione col Partito democratico che porterà la Serbia nell'Unione europea. Per questo ritengo che abbiamo dato un grande contributo al futuro della Serbia.
Nicolic. Il mio obiettivo è che la Serbia somigli all'Italia. Due blocchi forti a confronto. Uno guidato dal Partito democratico e l'altro dal Partito progressista. L'alternanza di governo è nell'interesse della democrazia e della lotta contro il crimine e la corruzione.

Il futuro

Dacic. Ho paura che, quando la Serbia riuscirà ad entrare nell'Ue, quella si sarà già spezzata. Sto scherzando un po', ovviamente, perché l'ex Jugoslavia, con le sue sei nazioni, si è spezzata prima. Spero che l'Unione europea raggiunga il suo ideale di essere formata da tutti i paesi europei.
Nicolic. Settimane fa sono stato a pranzo con l'ambasciatore d'Italia, poi ho ricevuto una delegazione del partito Forza Italia, di Silvio Berlusconi. Non per cortesia o perché lei è della televisione italiana. Penso che la Serbia abbia bisogno di un suo Silvio Berlusconi.

Tanta cortesia filo-italiana non frena la diversità d'opinioni. C'è persino una proposta di prestito alla Serbia di Berlusconi, come nel calcio, ma il disegno politico della nuova Serbia dopo bombe, appare chiaro: un partito filo europeo per necessità, sostegno esterno e convenienza economica; un centrosinistra oggi al governo con l'eventuale centrodestra già pronto. Questo il presente regolato sui vecchi partiti. Con un Berlusconi serbo che già esiste: molto ricco e molto potente. Semplice imprenditore oggi, sino a che la politica tradizionale lo favorirà negli affari e non lo costringerà a scendere in campo. Nome e biografia nel prossimo puntata, a memoria di bombe definitivamente sepolta.