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Il cane della libertà

di Massimo Gramellini - 25/03/2009

Il giudice ha concesso gli arresti domiciliari a uno spacciatore di Viterbo per permettergli di accudire il suo cagnolino. Poiché il pregiudicato non può lasciare l’appartamento, il magistrato ha disposto che il cane debba provvedere da solo all’espletamento dei bisogni corporali. Lo spacciatore potrà soltanto aprirgli la porta e aspettare sulla soglia il suo ritorno. Quindi, delle due l’una: se il padrone non esce a rimuovere con la paletta le composizioni artistiche dell’animale di fiducia, sarà passibile di contravvenzione. Se invece lo fa, rischia l’arresto. Mentre le migliori menti del diritto si arrovellano sullo spinoso caso, e il resto del mondo ci osserva esterrefatti, vorrei spendere una parola a favore di questo magistrato. Cosa avrebbe dovuto fare? Spedire la bestiola al canile? O affidarla d’imperio a un nuovo padrone, calpestando il rapporto affettivo instaurato con lo spacciatore? (Da padrone di cani, sono curioso di sapere cosa gli metteva nella ciotola).

In una nazione evoluta, la scelta animalista del giudice sarebbe stata altamente lodata. Ma in questa landa di cinici opportunisti, l’unica reazione è stata quella dei pregiudicati di Viterbo, che hanno preso d’assalto i negozi di animali per ingaggiare cani, gatti, criceti e canarini. O vogliamo fare delle discriminazioni sulla base della taglia? Si attende con curiosità la prossima mossa dei magistrati. C’è sempre la possibilità che rimandino il pregiudicato in galera, magari insieme al cane. O al giudice.