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“Che” Guevara economista

di Giorgio Vitangeli - 26/03/2009

Fonte: finanzaitaliana






Un interessante ricerca di Luciano Vasapollo su un aspetto poco conosciuto del rivoluzionario argentino

 


All´inizio degli anni sessanta su Che Guevara circolava una sorta di leggenda metropolitana. Raccontavano cioè che Fidel Catro,conquistato il potere a Cuba, radunò i suoi fedelissimi per ripartire gli incarichi più importanti, e dovendo assegnare alcuni incarichi economici, chiese:" Chi di voi è un economista?".
Il "Che" alzò immediatamente la mano e gridò: "Io!". E così fu nominato Capodipartimento dell´Industria nel neocostituito Istituto Nazionale di Riforma Agrario e qualche settimana dopo Presidente della Banca Nazionale di Cuba.
Il "Che", terminata la riunione, si meravigliò con Fidel Castro per quella nomina. "Perché propio io all´Industria?"." Ma come, gli rispose Castro, non hai detto che sei un economista, ed hai anche azato la mano"?
"Economista? Ma io avevo capito che tu chiedessi: "Chi di voi è comunista...".
La storiella, naturalmente, era inventata di sana pianta.
Definire però Che Guevara un economista, come fa quasi provocatoriamente Luciano Vasapollo nel suo recente libro, che ha appunto per titolo"Che Guevara economista" (Edizioni Jaka Book, pag 233, euro 21) sembra alquanto improprio. Il suo interesse per i temi dell´economia e per i rapporti di essa con la politica è indubbio, ed un merito di Vasapollo è quello di aver messo in luce questo lato del "Che" ignoto al grande pubblico. Ma le riflessioni sui problemi economici del rivoluzionario argentino ( e lo ammette lo stesso Vasapollo) non avevano certo carattere sistematico, né il "Che" fu attratto dagli aspetti teorici del pensiero economico. Ciononostante le sue osservazioni, le sue tesi, stimolate quasi sempre dai problemi concreti e dalle conseguenti decisioni da prendere, furono tutt´altro che estemporanee e superficiali, tant´è che nel dibattito economico che si sviluppò allora a Cuba, ed anche tra Cuba e gli altri Paesi del blocco socialista, la posizione assunta da Guevara, spesso polemica nei confronti del "Manuale di economia" ortodosso dell´Accademia Sovietica, presenta una sua originalità, ed una limpida coerenza cui il tempo, su alcuni punti, sembra aver dato ragione.

Un testo accademico
ma apertamente schierato

Luciano Vasapollo, che con il contributo di Efrain Echevarria Hernandez (docente all´Università cubana di Pinar del Rio, nonché Direttore del Dipartimento di Studi marxisti) e di Alfredo Jam Massò (Direttore di analisi macroeconomica del Ministero dell´economia e della Pianificazione di Cuba) ripercorre con minuziosa attenzione quel periodo di storia cubana, con l’ occhio volto al passato ma col pensiero al presente ed al futuro, insegna economia all´Università La Sapienza di Roma ed all´Università di Pinar del Rio, a Cuba. Come forse qualche nostro vecchio lettore ricorderà vari anni or sono fu anche tra i collaboratori di "Finanza Italiana" ed allora il suo campo d´analisi era l´economia aziendale, con qualche curiosità per il tema gollista (ma non solo gollista...) della partecipazione dei lavoratori alla gestione ed agli utili dell´impresa. Da allora peraltro la sua posizione culturale e politica si è andata radicalizzando, vicina all´azione dei Sindacati di base e dei Centri Sociali. Di tale posizione sono espressione il Centro Studi Cestes e le Riviste "Proteo" e "Nuestra America" che egli dirige, frutto quest´ultima degli intensi contatti accademici e culturali instaurati on Cuba.
Un libro dunque, quello di Vasapollo, che ha il taglio della ricerca storica e la dignità di un testo accademico, ma anche un libro inequivocabilmente schierato, come appare chiaro anche dalla scelta dei collaboratori: la "Rete dei comunisti" e l´Associazione "Politica e classe", con l´apporto in particolare di Rita Martufi, Mauro Casadio, Sergio Cararo (che ha scritto una stimolante prefazione), Enzo Di Brango e Biagio Borretti.
Ma torniamo al tema del libro, cioè al "Che" economista, che Vasapollo ha l´indubbio merito di aver riproposto, restituendoci un´immagine più vera e più completa del rivoluzionario argentino, ridotto oggi troppo spesso ad una sorta di icona, se non addirittura a "gadget" per il "merchandising"di manifestazioni politiche più o meno "alternative".

Lavorare meno
lavorare tutti

Quanto Guevara fosse conscio dell´importanza dei problemi economici e della necessità di affrontarli immediatamente con spirito rivoluzionario lo evidenzia un episodio riportato nel libro di Vasapollo da Alfredo Menendez Cruz, il quale ricorda che il "Che", dopo il suo arrivo nell´Escambray a capo della colonna di guerriglieri "Ciro Rotondo" chiese che gli venissero inviati libri sull´economia cubana.
Un ultriore episodio, sempre narrato da Menendez Cruz, mostra poi come il dibattito politico nella sinistra da più di mezzo secolo giri attorno agli stessi problemi irrisolti. Una delle prime cose infatti che Guevara chiese a Menendez Cruz (membro allora del Partito popolare clandestino cubano ed esperto dell´industria saccarifera) fu di preparargli una relazione sulla possibilità di fissare a sei ore la giornata lavorativa nell´industria dello zucchero, calcolando quanti posti di lavoro in più avrebbe "creato" tale misura.
Come si vede, è la stessa idea di "lavorare meno, lavorare tutti" che la sinistra estrema proverà a riproporre quasi mezzo secolo dopo, a fronte della crisi ocupazionale indotta dalla globalizzazione nei Paesi avanzati d´Europa.
Una misura che è facile agli economisti di scuola classica bocciare perché ridurrebbe la produttività ed incrementerebbe i costi, dimenticando peraltro che così ragionando saremmo ancora ad una giornata di lavoro "da sole a sole", cioè dall´alba al tramonto, com´era agli albori del capitalismo, e che la poduttività non è data tanto dalla durata dell´orario di lavoro, quanto dai progressi tecnologici ed organizzativi, che consentono appunto di ottenere risultati maggiori con minor tempo di lavoro.
Ma questo è un altro discorso, il cui rifiuto da parte del capitalismo globale oggi i giovani amaramente vivono sulla loro pelle.
Singolare è che allora l´esperto cubano, che pure era marxista-leninista, abbia espresso parere sfavorevole alla riduzione a sei ore dell´orario di lavoro, con motivazioni che purtroppo il libro non riporta.

Il problema centrale
della disoccupazione

Ma ben più cogenti erano le motivazioni che di tale misura dava il "Che". Il problema maggiore della rivoluzione, egli sosteneva, è la disoccupazione. Se la rivoluzione non lo risolve, non potrà mantenere il potere. Considerazione che vale peraltro per ogni regime: rivoluzionario, reazionario o moderato-democratico che sia. Nessun sistema politico alla lunga può infatti durare se nega il più fondamentale dei diritti: il diritto al lavoro. Cosa che i talebani del liberismo e gli apprendisti stregoni della globalizzazione sembrano oggi aver dimenticato.
L’interesse di Guevara per i problemi economici si esplicò, come già accennato, in due direzioni, tra loro strettamente connesse. Da un lato i problemi pratici, quotidiani, della gestione delle imprese, in una situazione estremamente critica quale era quella di Cuba in quegli anni: un Paese sino allora “dependance” coloniale degli Stati Uniti, con un’economia basata quasi esclusivamente sulla monocultura della canna da zucchero, arretrato socialmente ed economicamente, privato di buona parte dei suoi tecnici, fuggiti negli Usa, e sottoposto poi al blocco ed alle sanzioni da parte degli Stati Uniti, decisi a non accettare la nascita di una Repubblica socialista in un’area che consideravano “il cortile di casa”. Col rischio del contagio che un tale esempio avrebbe potuto avere sul resto dell’America latina, che aveva già conosciuto il peronismo argentino, innervato di nazionalismo e di fermenti populisti ed anti-yankee. E non a caso lo stesso Guevara nella sua prima gioventù aveva guardato con attenzione all’esperienza peronista.
Fermenti che oggi ritornano, in chiave più dichiaratamente “socialista” (ma non immemore di radici bolivariane) nel Venezuela di Chavez e nella Bolivia di Morales.

La testimonianza
di un ex contabile

Abbiamo accennato ad un primo aspetto dell’attenzione di Guevara per i problemi economici: quello cioè riguardante i problemi pratici delle imprese. Una testimonianza significativa a questo riguardo è fornita nel libro di Vasapollo da Alexis Codina Jménez che attualmente insegna all’Università dell’Avana, ma che da giovane ricoprì incarichi di contabile e di amministratore in varie imprese cubane, e fu assunto rispondendo ad un annuncio del Ministero dell’Industria, superando colloqui, esami e test psicometrici suggeriti proprio dal Che, alla caccia disperata di tecnici validi che rimpiazzassero quelli emigrati negli Stati Uniti, lasciando spesso dietro di sé il caos di una situazione contabile disastrosa, risultando difficile ritrovare carte e registri contabili, per cui bisognava lavorare anche di notte per cercare di rimettere ordine nei conti.
Ebbene narra Codina Jeménez che una notte, alle due bussarono alla porta della sua fabbrica. Quando andò ad aprire si trovò davanti il Che. “Ma che fa lei qui Comandante?”, riuscì solo a dirgli..
”Dovrei chiederlo io a te, visto che sono io il ministro dell’Industria, cui questa impresa appartiene”, gli rispose il Che. Poi volle visitare in lungo ed in largo la fabbrica, che produceva il pane che veniva distribuito la mattina, volle parlare coi lavoratori, chiedendo del lavoro, delle loro famiglie.

Tre domande
significative

Al contabile poi fece solo tre domande:
1°- Come andiamo con i costi? Che evoluzione hanno?
2°- Gli inventari delle materie prime sono aggiornati e controllati?
3°- Come siamo messi con le entrate e le uscite?
Solo più tardi, racconta Alexis Codina Jménez (allora aveva solo 19 anni) compresi l’importanza di quelle domande: la prima era il principale indicatore dell’efficienza, perché nei costi e nella loro evoluzione si esprime il corretto utilizzo delle risorse; gli inventari poi, ed il loro costante controllo,
garantivano la continuità della produzione (vitale per un bene di primissima necessità quale è il pane); la terzo misurava la disciplina e lo stato di salute finanziaria dell’impresa.
Come si vede il Che non si faceva certo scrupolo nell’utilizzare concetti e categorie comportamentali che sembrerebbero proprie dell’economia capitalistica. Anzi, egli guardava con grande attenzione al capitalismo più avanzato ed alle sue tecniche organizzative, oltreché alle innovazioni tecnologiche (l’uso nascente dell’informatica “in primis”) per applicarle però ad una economia ove era lo Stato a detenere i mezzi di produzione, per traghettare un’economia socialista verso il comunismo.

Le radici del disaccordo
con l’Unione sovietica

Ed è poroprio applicando rigorosamente questi concetti che “Che” Guevara si trovò in disaccordo con il modello economico proposto (ed imposto) dall’Unione Sovietica in tutti i Paesi del “socialismo reale”.
Ricapitoliamo brevemente i termini del divario. La discussione riguardava il sistema di pianificazione, e più in generale il modello economico adottato nell’Uurss dopo Stalin, e cioè il cosiddetto “Calcolo Economico”.
La fase dei “piani quinquennali” avviata dopo la fine della “Nep”, nel 1928, cioè la fase di industrializzazione forzata, aveva comportato squilibri drammatici fra campagna e città, cioè tra contadini ed operai, che Vasapollo non sottace (ricorda ad esempio che tra il 1932 ed il 1933 la fame causò stragi e la causa non fu la scarsità del raccolto, ma l’accumulazione forzosa dei cereali destinati all’esportazione, con l’obbiettivo di mantenere le entrate in divisa estera in una congiuntura internazionale di calo dei prezzi.A molti contadini venne confiscato ogni raccolto, perché quelle risorse erano necessarie per l’acquisto di macchinari industriali e per sostenere il ritmo dell’industrializzazione (“Che” Guevara economista, pag.122).
Un metodo brutale che sembra ricorrente nell’accumulazione capitalistica dei Paesi a capitalismo di Stato. Nella Romania di Ceausescu, ad esempio, negli anni ‘60 non era possibile acquistare neppure un chilo di carne bovina, perché veniva tutta esportata per reperire valuta. Ed anche lo sviluppo attuale della Cina “comunista”, a ben guardare, si sostanzia in una politica mercantilistica che fa affluire centinaia di miliardi di dollari nelle casse della Banca centrale cinese, mentre il tenore di vita delle campagne, cioè della stragrande maggioranza dei cinesi, resta ancora miserabile.

Dall’accumulazione forzata
al “Calcolo Economico”

E’ pur vero che nell’Unione Sovietica questa accumulazione brutale pose le fondamenta di un’industrializzazione a tappe forzate, che trasformò rapidamente un Paese feudale ed agricolo in una potenza industriale.
Ma è evidente che quella politica non poteva durare all’infinito. Ed infatti negli anni cinquanta e sessanta sia nell’Unione Sovietica che nei Paesi del Comecon iniziò un riesame che condusse appunto al nuovo metodo detto del Calcolo Economico. La pianificazione, prima rigidamente imperativa, tendeva ora ad essere orientativa. Alle imprese infatti veniva concassa maggiore autonomlia e venivano lasciate maggiori quote di profiutto. Alle banche era ridato un ruolo finanziario, e nelle imprese venivano istituiti incentivi materiali, anche individuali. L’obbiettivo da raggiungere era quello di una maggiore efficienza economica tramite un certo grado di autogestione, anche finanziaria. A monte di tutto c’era il dibattito sulla “legge del valore”, che riemergeva malgrado il dichiarato carattere socialista dell’economia.

L’alternativa del
“Sistema Budgetario”

A questo metodo del “Calcolo Economico” Che Guevara contrapponeva un “Sistema Budgetario di finanziamento”.
Quali le differenze? Il sistema Budgetario, ricorda Vasapollo “ si fonda su un controllo centralizzato dell’attività dell’impresa; il suo piano e la sua gestione sono controllati direttamente dagli organismi centrali, la vendita di un prodotto da un’impresa all’altra o da un ministero all’altro non sono di natura mercantile, nella misura in cui questa transazoione è considerata come facente parte di un processo unico.... non si generano operazioni di pagamento né di incasso, ma solo contratti di consegna e richieste di acquisto corrispondenti, valorizzate sulla base di costi pianificati....un prodotto non acquisisce la condizione di merce se non quando esce dal settore statico per essere consumato dalla popolazione o esportato all’estero”.

Prendendo esempio
dal capitalismo avanzato

Curioso e singolare è che Guevara ritenesse che il sistema Budgetario di pianificazione centralizzata
derivasse tecnicamente dal capitalismo più avanzato delle multinazionali, mentre il sistema del Calcolo Economico si ispirasse piuttosto ai metodi del capitalismo premonopolista.
Ed osservava ancora Guevara che non solo il capitalismo avanzato opera secondo piani industriali pluriennali, ma “dedica una particolare attenzione allo stimolo morale”.
In questo capitalismo avanzato, diceva ancora,”vi sono i germi tecnici del socialismo molto più che nel vecchio sistema di Calcolo Economico, che è stato superato in sé stesso”.
Il far leva inoltre sugli stimoli materiali e sul profitto d’impresa, il reintrodurre a pieno titolo nel processo economico dei Paesi socialisti la “legge del valore”, secondo il “Che” avrebbe condotto non alla transizione verso il comunismo, ma alla reintroduzione del capitalismo. Alla luce di quanto è accaduto nei Paesi del “socialismo reale”, e particolarmente in Cina, si direbbe che la storia gli abbia dato ragione.
Il socialismo come lo intendeva Guevara, cioè come stadio di transizione verso il comunismo, e soprattutto come momento di costruzione dell’ “uomo nuovo”, sembra pressoché scomparso dalla faccia della terra, nel senso che nessuno Stato sembra più ispirarsi ad esso. Ma alla luce di quello che sta accadendo in questi giorni sui mercati finanziari e nelle economia di tutto l’Occidente, dire che “la storia è finita” e che il capitalismo ha vinto definitivamente, appare sempre più azzardato.