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Gilgamesh. Mito e leggenda agli albori della civiltà

di Dagoberto Husayn Bellucci - 27/03/2009


"Mi piacciono le scelte radicali
la morte consapevole che si autoimpose Socrate
e la scomparsa misteriosa e unica di Majorana
la vita cinica ed interessante di Landolfi
opposto ma vicino a un monaco birmano
o la misantropia celeste in Benedetti Michelangeli.
Anch'io a guardarmi bene vivo da millenni
e vengo dritto dalla civiltà più alta dei Sumeri
dall'arte cuneiforme degli Scribi
e dormo spesso dentro un sacco a pelo
perché non voglio perdere i contatti con la terra.
La valle tra i due fiumi della Mesopotamia
che vide alle sue rive Isacco di Ninive.
Che cosa resterà di noi? Del transito terrestre?
Di tutte le impressioni che abbiamo in questa vita?"

(Franco Battiato - "Mesopotamia" - dall'album "Fisiognomica" 1988)


Fin dagli albori della civiltà l'uomo si è sempre misurato con le proprie
costruzioni ideali fissando per la rappresentazione delle sue aspirazioni ,
quelle palesi e quelle celate, in una serie di simboli, riti e miti le
coordinate entro le quali ricomprendere la propria storia su di un piano
metafisico e la propria identità su di un piano metastorico.
E' probabilmente uno dei più grandi misteri dell'umanità riuscire a penetrare
e comprendere il bisogno interiore che , in qualunque civilizzazione umana si
sia sviluppata nel corse dei secoli, qualsiasi essere umano ha avvertito di
auto-rappresentarsi e celebrarsi - al di là del piano orizzontale, fattuale ,
degli eventi terrestri che direttamente lo interessavano - anche , soprattutto,
attraverso una simbologia ed una mitologia essenziali per la costituzione in
qualsiasi epoca di ciò che comunemente oggi definiamo come Civiltà o
Tradizione.

Non esiste civilizzazione umana che non abbia utilizzato simboli e riti per
costruire la propria identità "religiosa" , per definire la propria dimensione
spirituale e per creare le condizioni necessarie all'evoluzione e allo sviluppo
delle arti, dei mestieri e delle conoscenze materiali che sono derivate dalla
sfera intellettiva del genio umano. Se da un lato infatti possiamo riconoscere
nei riti la perpetuazione di un'adesione mistico-percettiva ad un culto
dall'altro lato è nella simbologia e nella mitologia che sono state conchiuse e
sigillate a perenne memoria, per i posteri e per l'immortalità storica, le
vicende, le narrazioni, i racconti e le immagini idealizzate di fatti,
personaggi e avvenimenti che hanno rappresentatol'aspirazione ed il sentimento
più alto e nobile di una collettività.

"Il mito - asserisce Thomas Mann - è il fondamento della vita, lo schema
senza tempo, la formula secondo cui la vita si esprime quando fugge al di fuori
dell'inconscio" (1)

Uno schema appunto senza tempo perchè fissato nell'eternità che definisce e
stabilisce nessi logici di continuità ideale tra civiltà e popoli, individui e
nazioni. Non esisterebbero miti se non esistesse l'esigenza da parte
dell'essere umano di dare una rappresentazione della propria limitata esistenza
terrena: il mito segna lo spartiacque tra fisico e metafisico e aderisce alla
percezione che accomuna e unisce le comunità siano esse tribù, gruppi, popoli,
nazioni e continenti interi.

"Il mito è un modo di interpretare eventi e fenomeni in un ambito culturale
unitario. Si tratta di un processo di razionalizzazione che traduce in
esposizioni emblematiche insiemi di esperienze diverse delle quali si cerca
l'elemento unificante, e che dà una giustificazione di quanto è accaduto e
soprattutto di quanto accadrà." (2)

Per comprendere nella sua più interessante accezione quale sia il valore ed
il significato più alto del Mito occorre considerare l'insieme delle
costruzioni ideali che contrassegnano la contemporaneità e le condizioni che
hanno favorito la metabolizzazione su vasta scala dei moderni miti della
tecnica e della scienza considerati fondamentali per la definizione della
società post-medievale: "l'uomo moderno - scrive Lewis Mumford (3) - si è data
un'immagine curiosamente deforme di se stesso, interpretando la sua storia
lontana sulla base dei suoi interessi attuali per la fabbricazione delle
macchine....dopodichè ha giustificato le sue preoccupazioni di oggi definendo
il suo io preistorico un animale che fabbrica utensili.". Definizione
quantomeno azzeccata del rapporto che l'uomo moderno vive nei confronti di un
passato che , non riuscendo più a definire e comprendere, tende a dimenticare
in funzione di un presente che dovrebbe rappresentare solo ed esclusivamente
una rampa di lancio verso dimensioni future.

Tale atteggiamento dell'uomo-massa contemporaneo riflette anche un'ambiguità
di fondo che sussiste quando, ad innalzare tecnica e scienza, ci si è
dimenticati di ritualità, simbologie e miti del passato, premesse
indispensabili, anticamere dell'identità individuale e collettiva, congiunzioni
di sintesi e di esperienze procedenti dalla natura originaria dei processi del
pensiero umano.

Da queste premesse dobbiamo cominciare per recuperare quello che potremmo
definire il mito ancestrale, il mito dei miti, quello rappresentato e narrato
nel poema di Gilgamesh. Un poema antichissimo , alle origini di una delle
civiltà più remote del Vicino Oriente in quella Mesopotamia spesso identificata
proprio come la "culla" di tutte le civilizzazioni , sicuramente il centro
nevralgico di una florida società, quella sumera, dove nascerà il mito di
Gilgamesh, re della città di Uruk, metà uomo metà dio, alla ricerca
dell'immortalità.

Il viaggio , la storia, l'epopea di Gilgamesh rappresentano la somma
culturale, ideologica e poetica dell'uomo mesopotamico e insieme il racconto
delle sue gesta il più antico poema che l'umanità abbia concepito, precedente
all'Iliade e all'Odissea, più antico del Mahàbhàrata indiano. La scoperta di
questo lascito per l'intero genere umano rappresentò uno degli eventi culturali
più importanti e significativi dell'Ottocento. Il ritrovamento di questa epopea
, avvenuto a metà del XIXmo secolo tra le rovine dell'antica Ninive, risultò
tale da modificare - come scrive Franco D'Agostino nella sua opera fondamentale
(4) - "il modo di considerare il mondo orientale e il suo testo più importante,
la Bibbia. Ma ciò che più conta e stupisce è che oggi , a distanza di migliaia
di anni da quella creazione, noi ci scopriamo coinvolti dalle avventure di
Gilgamès, esaltati dal suo eroismo, commossi dalla sua disperazione, affranti
dai suoi fallimenti. E non riusciamo propria a percepire come estraneo questo
giovane e misterioso re, capace di esaltazione e di lacrime, capace di uccidere
e di amare, di sognare e di pregare. Un re, un dio, che è il prototipo
dell'uomo che fugge da se stesso, il paradigma della vanità degli sforzi degli
uomini contro il destino e la morte. E molto altro ancora...".

Quando gli eserciti persiani di Ciro penetrarono nel 539 a.C. nella
Mesopotamia , conquistando l'antica Babilonia, si resero perfettamente conto
della straordinaria grandezza di ciò che avevano appena conquistato: la civiltà
mesopotamica possedeva infatti una profonda conoscenza del tempo e
dell'astronomia, della matematica e della geometria, della medicina e
dell'idrodinamica e nozioni avanzatissime della topografia del mondo allora
conosciuto. La scoperta di questa straordinaria civiltà affascinerà il sovrano
di Persia come, secoli dopo, la Grecia diventerà un'attrazione ed emetterà un
fascino irresistibile - come esempio - per i romani.

Nel VI secolo avanti Cristo la cultura mesopotamica aveva alle spalle una
vità più che bimillenaria: popoli diverse e dalle differenti culture avevano
regnato sulla terra tra i due fiumi tramandando un sapere ed una somma di
conoscenze che in tutti i settori vennero trascritte attraverso la tradizione
cuneiforme. La prima redazione del poema di Gilgamesh risale probabilmente
all'epoca paleo-babilonese (tra il 1850 e il 1600 a.C.) anche se la diffusione
in una vasta area della documentazione di questa "leggenda",  i cui frammenti
furono ritrovati in diverse città del mondo mesopotamico,  possono rivelarsi
come un indizio che l'epopea di Gilgamesh e del suo amico Enkidu fossero
diventate un patrimonio comune dell'intera cultura babilonese già in epoca
antica. La stessa sommaria raccolta dei diversi frammenti , raccolti in
tavolette e custoditi in diversi musei (dal British Museum a Londra all'Iraq
Museum di Baghdad fino a quelli conservati nelle Università americane di
Pennsylvania e di Yale) , ci confermano una diversa provenienza dell'intero
poema raccolto in differenti siti archeologici corrispondenti alle antiche
città mesopotamiche e alle loro lontane , attuali, 'parenti' irachene (una
parte proviene da Uruk (l'odierna Warka), Saduppùm (l'irachena Tell Harmal) e
Sippar (Abu Habba) tutti siti archeologici dell'Iraq centrale).

Un altro importante aspetto da considerare è la diffusione enorme che fin
dall'antichità avrà la storia di Gilgamesh e gli eventi che interesseranno
questo sovrano; come scrive D'Agostino è attraverso la diffusione della grafia
cuneiforme della civiltà sumero-accadica che essi "divengono patrimonio comune
di un numero straordinariamente grande di uomini, dotati di un differente
retroterra etnico ma tutti accomunati dall'assimilazione - per lo meno a
livello della cultura ufficiale scritta- delle elaborazioni del pensiero
babilonese. A questa enorme diffusione di Gilgames avrà però senz'altro
contribuito anche il fascino fortissimo che il racconto in sè, con le avventure
così umane e universali che coinvolgono il sovrano di Uruk, promana a chi lo
ascolta. (...) E' stato notato, d'altro canto, come temi narrativi poi anche
nel mondo greco (nell'Odissea addirittura) e nella grande letteratura
fantastica araba (nel Racconto di Buluqiya de "Le mille e una notte")." (5)

Come noterà Benno Landsberger , uno più famosi assiriologi del novecento,
"l'epica di Gilgamesh è l'epica nazionale dei Babilonesi. E questa
denominazione può essere utilizzata a buon diritto poichè il racconto si
rivolge a ogni Babilonese, perchè il suo eroe incarna nel modo più indelebile
l'ideale di uomo del popolo babilonese in quanto il problema della vita umana
forma il suo soggetto più importante.". (6)

Dalla Siria alla Palestina all'Anatolia il racconto di Gilgamesh ha finito
per costituire una sorta di patrimonio culturale che, al di là dei confini
mesopotamici, unisce popoli e culture di una vasta area del mondo antico come
dimostrarono i ritrovamenti di alcuni frammenti del poema venuti alla luce
durante gli scavi della missione francese presso la città siriana di Emar (oggi
Meskene) o di un frammento recuperato a Megiddo in Palestina fino a quelli
recuperati in lingua hittita (una lingua indo-germanica che appartiene ad un
ramo occidentale di quell'albero linguistico che viene definito "anatolico")
non lontano dal piccolo villaggio di Bògazkoy nell'Anatolia centrale tra le
rovine di quella che fu la capitale hittita la città di Hattusa.

In tutta la Mezzaluna fertile ed al di là dei suoi confini le gesta di
Gilgamesh suscitarono un profondo interesse come si vedrà anche per la sequenza
di avvenimenti narrati che diverranno patrimonio comune dell'umanità passando
di civilizzazione in civilizzazione e di popolo in popolo (si pensi solo alla
narrazione del viaggio che il re farà alla cerca dell'immortalità - poi
presente in tutte le grandi Tradizioni non da ultimo in quella relativa al
Sacro Graal - o all'incontro con Uta-Napistim l'unico superstite del Diluvio
Universale di cui si avranno frammenti di memoria nelle narrazioni bibliche
successive).

L'idea del Diluvio Universale pervade la parte finale del poema e merita,
cominciando proprio dalla fine, la massima attenzione. "Considerai il mondo
intorno - narra Uta-Napistim nel suo racconto al sovrano Gilgamesh - era sceso
il silenzio poichè tutta l'umanità era diventata argilla e le terre, allagate,
erano diventate piatte come un tetto. Aprii uno spiraglio nella nave: un raggio
di sole caldo mi colpì la guancia. Allora mi gettai in ginocchio e mi disperai,
sulle mie guance scorrevano le lacrime. Poi la nave si andò a incagliare sul
monte Nimus , che la tenne ferma per sei giorni. Allorchè giunse il settimo
giorno portai fuori e liberai una colomba. Questa se ne andò ma poi tornò
indietro: non le era apparso alcun posto (adatto a stabilirsi) e se ne ritornò.
Allora portai fuori e liberai una rondine. Questa se ne andò ma poi tornò
indietro: non le era apparso alcun posto e se ne ritornò. Infine portai fuori e
liberai un corvo. Il corvo se ne andò e vide che il livello delle acque calava
: allora mangiò , gracchiò, sollevò la coda e non fece ritorno.".

In questo racconto si ritrova lo schema di base della narrazione biblica di
Noè e del Diluvio Universale. Gli ebrei dunque non inventarono niente che non
fosse già conosciuto e noto a tutte le principali popolazioni che abitavano la
Mezzaluna fertile (e come si ricorderà essi ebbero stretti rapporti proprio
durante la cattività mesopotamica con quei popoli che erano gli eredi del re di
Uruk ed ai quali appartenevano questi miti).

Al sovrano di Uruk verrà comunque precluso l'accesso all'immortalità eterna.
E' la sentenza e la decisione finale degli Dei. Se Uta Napistim e sua moglie
saranno salvati dalle acque del diluvio e costretti ad abitare lontano dagli
altri uomini a Gilgamesh viene negato il sogno dell'immortalità poichè solo un
nuovo cataclismo , un altro diluvio - per antonomasia unico nella storia del
mondo, potrebbe generare le condizioni per cui al re di Uruk sia concesso ciò
che cerca.

Il tema del diluvio universale sul quale spendiamo qualche parola in più è
stata definita come la più fortunata invenzione della letteratura mesopotamica.
"...si tratta di un tema narrativo e mitologico-religioso che ha una
lunghissima storia - scrive D'Agostino (7) - nella letteratura e nella cultura
mesopotamica. Noto già presso i Sumeri, che ne sono gli inventori, il Diluvio
Universale è assurto nella visione storiografica antico-orientale mesopotamica
a evento spartiacque, della stessa valenza storica e psicologica che ha per noi
l'anno della nascita di Cristo" (8). Un tema che ritroveremo nelle tradizioni e
nella letteratura dei greci dove il dio Crono apparirà al suo devoto
(Xisuthros) per annunciare la fine dell'umanità e comandandogli di costruire
un'imbarcazione per mettere in salvo oltre alla sua famiglia, agli amici e alle
vettovaglie tutti gli esseri viventi sia quadrupedi che dotati di ali.

"Questo tema del Diluvio Universale , così tipico della mentalità babilonese
e così inerente alla sua ideologia sull'uomo e sul significato della sua vita,
ha avuto una enorme diffusione nell'ambito geografico vicino-orientale. Gli
Ebrei stessi, pur generalmente così alieni dall'intromissione di tratti
religiosi esterni (*) , lo reinterpretarono e lo introdussero nel loro canone
religioso, attraverso il quale esso è giunto sino alla nostra cultura (è il
racconto mitico più antico a noi noto e del quale possiamo ripercorrere la
storia)" (9)

Lasciamo alla 'curiosità' dei lettori di addentrarsi nella narrazione del
poema di Gilgamesh , della sua amicizia con Enkidu (accostatosi lui,
cacciatore, uomo che vive ai margini della società nei deserti, alla civiltà
attraverso il rapporto sessuale con Samhat che ne farà un uomo civilizzato,
conducendolo a Uruk, al tempio , residenza degli dei Anu e Istar, alla presenza
di Gilgames un re dalla forza straordinaria) , della loro terribile sfida con
il mostro Hubaba (guardiano della Foresta dei Cedri del Libano) e dei sogni
premonitori che accompagneranno il Re metà uomo metà Dio Gilgamesh, alla
gelosia della dea Istar innamoratasi del sovrano di Uruk fino alla perdita
dell'amico Enkidu vittima di una malattia incurabile di origine divina e
ritorsione-capriccio di una dea.

Di Gilgamesh (10) possiamo solo trascrivere ciò che riporta il poema stesso
laddove viene descritto come "il più grande di tutti i re, il più illustre, il
più alto l'eroe progenie di Uruk, il toro pronto a caricare: va innanzi a
tutti, è un comandante; va dietro a tutti è il sostegno dei suoi alleati; è la
fiancata potente a protezione del suo esercito; la piena furiosa che abbatte le
mura di pietra. Figlio di Lugalbanda è Gilgamesh dalla forza straordinaria e
figlio della dea Rimat-Ninsun, l'eccelsa vacca selvatica. Egli Gilgamesh
straordinariamente degno di venerazione aprì valichi tra le montagne, scavò
pozzi nelle gole dei monti, attraversò l'oceano , il profondo mare, sino
all'origine del mattino, percorse le regioni del mondo cercando affannosamente
la vita, raggiunse con enorme fatica Uta-Napistim il distante, restaurò i
luoghi di culto che il Diluvio aveva distrutto. Chi è , tra la moltitudine
degli uomini, che può venire equiparato a lui nella regalità , e che possa dire
come Gilgamesh "io sono un re!" ? Dal giorno in cui nacque , il nome di
Gilgames, fu glorioso. Per due terzi appartiene agli dei, per un terzo
all'umanità."


DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

Direttore Responsabile Agenzia Stampa "Islam Italia"

 

Note -

1) Thomas Mann - "Aforismi"

2) Giuseppe Lanzavecchia - saggio "Religione e Mito" in Aa.Vv. - "Dalla tribù
alla conquista dell'universo" - ediz. "Scheiwiller" - Milano 2000;

3) Lewis Mumford - "Il mito della Macchina"  - ediz. "Il Saggiatore" - Milano
1969;

4) Franco D'Agostino - "Gilgames - Alla conquista dell'immortalità" - ediz.
"Piemme" - Casale Monferrato (Alessandria) 1997;

5) Franco D'Agostino - op. cit. ;

6) Benno Landsberger - "Einleitung in das Gilgamesh-Epos" in P. Garelli -
"Gilgames et sa lègende - Etudes recuillies par Paul Garelli à l'occasion de la
VII.e Rencontre Assyriologique Internationale" - Parigi 1958;

7) Franco D'Agostino - op. cit. ;

8) i testi , sia sumerici che accadici, relativi al Diluvio Universale in
Mesopotamia sono stati raccolti da J. Bottero - S.N. Kramer in "Uomini e Dei
della Mesopotamia" (ediz. "Einaudi" - Torino 1992)   si veda anche l'agile
volumetto di C. Saporetti "Il Diluvio" ediz. "Sellerio" - Palermo 1982);


*) vedremo che in realtà l'intero impianto biblico dell'Antico Testamento
avrà molti lasciti da altre culture e pre-esistenti Tradizioni come evidenzia
peraltro , su di un piano eminentemente politico ma anche storico-religioso,
Roger Garaudy nel suo "I miti fondatori della politica israeliana" ediz.
"Graphos" - Genova 1996. Testo essenziale per comprendere l'insieme di pretese
"leggendarie" che stanno alla base dell'occupazione territoriale sionista nella
Terrasanta palestinese.

9) Franco D'Agostino - op. cit. ;

10) Per una breve bibliografia in lingua italiana si consulti:
- J. Bottero - "Mesopotamia (la scrittura, la mentalità, gli dèi) - ediz.
"Einaudi" - Torino 1991;
- S.M. Chiodi - "Il prigioniero e il morto (Epopea di Gilgames Tav. X 318-
320) - Orientis Antiqui Miscellanea II (1995);
- G. Furlani - "Miti babilonesi e assiri" - ediz. "Sansoni" - Firenze 1958;
- A. Parrot - "Diluvio e Torre di Babele" - ediz. "Sansoni" - Firenze 1962;
- G. Pettinato - "La saga di Gilgamesh" - ediz. "Rusconi" - Milano 1992;
- G. Pettinato - "Gilgamesh e la pianta della vita" - in "Studi Orientali e
Linguistici" - 5 (1995) pp 11 e s. ;