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Anche la teologia è a sovranità limitata

di Adriano Segatori - 30/03/2009


UNA SINDROME DA DIPENDENZA.

“La nostra epoca è in balìa di due opposte follie:
il fanatismo e il cinismo, che sorgono rispettiva-
mente dal fondamentalismo e dal nichilismo. La
prima sorge bellicosa tra i nemici esterni e interni
dell’Occidente globale; la seconda è invece
l’espressione matura del deserto occidentale,
ricco di mezzi e povero di scopi”.1
Marcello Veneziani

TUTTO IN ITALIA È
A SOVRANITÀ LIMITATA.
esercito, impossibilitato all’autonomia operativa per impotenza politica del governo e per mistificante buonismo dell’opposizione, partecipa a guerre scarsamente sentite ed anche sotto mentite spoglie: come portatore di pace. Soldati che vengono intruppati per missioni in conflitti altrui e camuffati da benefattori, “quasi come se lo stesso Stato che li invia[va] in guerra si vergognasse di loro in quanto armati e addestrati per uccidere. Militari di cui parlare con orgoglio solo se non combattono, da nascondere all’opinione pubblica se fanno la guerra, da trasformare in eroi ‘della pace’ se muoiono ma spesso anche utili capri espiatori da sacrificare a qualche tribunale o commissione d’inchiesta quando il ‘teatro operativo’ assomiglia troppo a un campo di battaglia”2 . Un misto tra San Nicolò e le Sorelle della Misericordia, comunque mai guerrieri.
L’economia, priva di riscontri autorevoli – uno Stato decisore autonomo, una Banca pubblica, fosse pure un Partito come nell’ex URSS –, è in mano ad organismi privati, quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea, la WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), la FED (Federal Reserve – Banca Centrale degli Stati Uniti), che agiscono al di sopra del governo nazionale (e spesso contro di esso), “che non si assumono alcuna responsabilità politica, morale o giuridica verso i popoli governati, lasciando tali responsabilità in capo a quei medesimi governi, parlamenti e ai partiti politici, dietro cui si nascondono, e il cui ruolo è quello di teste di legno, di produttori di indebitamento e di esattori delle tasse”3 . Un’economia serva del signoraggio che non gestisce moneta sonante, ma che ricatta la nazione attraverso il capitale anonimo e globale.
La cultura, assatanata dalle pulsioni neofiliche, non riconosce più uno stile personale e un indirizzo creativo proprio, ma assorbe senza discrezione – nel cinema, nella moda, nello svago, nella letteratura, nella musica – tutto ciò che è nuovo ed estraneo alle più genuine tradizioni e alle nostrane innovazioni. A cent’anni dal Manifesto del Futurismo, un movimento che influenzò ogni istanza artistica e proiettò le sue forme e i suoi contenuti in tutto il mondo, l’Italia è ridotta ad acquistare soap opere da paesi privi di storia, a organizzare vergognosi eventi come il Grande Fratello, l’Isola dei Famosi, la Talpa e via via disgustando, a piegare la propria lingua a caratteri, suoni e significati estranei, pur di partecipare al balletto confusivo della globalizzazione. La stessa scuola copia programmi e metodi falliti già da decenni in altri stati, dissesto denunciato a chiare lettere da James Hillman, che di anima e di insegnamento se ne intende: “Non divertimento, non svago, ma piacere. Insegnare oggi, almeno in America, per quel poco che so, ha confuso il piacere con l’intrattenimento e il divertimento. Si ritiene che un bambino debba trovare vie facili per imparare, e divertirsi mentre impara. (…) Niente rigore”4 . Con i genitori che si divertono e si intrattengono in inutili riunioni su indirizzi che non conoscono.
La memoria, poi, viene costantemente defraudata della sua importanza per essere usata come un maglio sulla coscienza del popolo. Non c’è ricordo di grandezza, di conquista, di civilizzazione che non venga ritorto per scatenare sensi di colpa e conseguenti vergogne. In nome e per conto di un relativismo e di un masochismo etnoculturale, tutto ciò che fu trionfo è stato riscritto come capo di imputazione. La stessa invasione terzomondista è ritenuta, compresa, tollerata e molte volte reclamata come la giusta punizione per il vecchio colonialismo, con poche voci che si levano in maniera coerente e intransigente, con consapevolezza di identità e di idee, per dire basta “con il mito martirologico neocolonialista Ogni popolo è attore del suo destino” e farla finita con la “vittimizzazione”5 . Si continuano a pagare danni di guerra, restituire oggetti simbolici delle vittorie, rivisitare comportamenti bellici, e tutto in una posizione di pentita sudditanza. Aver fatto la Storia, essere stati protagonisti di una grandezza imperiale sembra oggi ai politici italiani – e di riflesso al popolo che rappresentano – un dato di cui vergognarsi e per il quale non può che esistere una indefinita mortificazione: expiation enduring.
Si potrebbe continuare con innumerevoli esempi di come sia in atto, da anni, una persistente e metastatica tendenza a dipendere dal giudizio degli altri, ad accettare passivamente – sembra talvolta con godimento perverso – qualsivoglia insulto, intimidazione e oltraggio, con un atteggiamento di vergognosa sottomissione. È perfetta la diagnosi di Veneziani in esergo: da un lato, l’Italia è costretta ad affrontare i fanatismi – termine che considero nella sua valenza etimologica e neppure lontanamente dalla sua distorsione moralistica negativa: fanum da tempio, da luogo sacro; ergo, il fanatico è colui che ha il senso, che difende, che si riconosce in ciò che è sacro e trascendente – importati da popoli attivi e perfettamente coscienti della propria identità politica e religiosa; dall’altro, si trova in una condizione di decadenza, di passiva esistenza profana – anche qui nell’accezione di fuori dal tempio, desacralizzata, laica e materialista – su cui è facile infierire per mancanza di quelle difese che si traducono poi in poche parole: orgoglio delle radici, coraggio del presente, visione di un destino. È evidente che, una volta tolte queste tre componenti essenziali, l’infiltrazione contaminante nelle fibre di una nazione, nella sua anima, nella sua stessa documentata storicità è un gioco da ragazzi, un’operazione indolore. Ed è proprio la mancanza di dolore il fatto più grave, che testimonia in misura certa anche l’assenza di dignità e di senso dell’onore.
Siamo di fronte ad una situazione che non è solo allarmante, ma una tragedia dal punto di  vista politico. Una resa incondizionata di fronte a forze che palesemente intervengono con metodi eclatanti o subliminali a condizionare scelte e indirizzi della politica nazionale, facilitate anche da una rappresentanza debole e impressionabile, e da una opposizione folcloristica, superficiale e artificiosa. Una diffusa volontà masochistica di genuflessione, per supplicare un accreditamento senza condizioni.
L’ASSENZA DI DIO
COME ASSENZA DELL’ORDINE.
“La vera distanza tra l’occasionalismo filosofico
tradizionale e quello romantico è data nel primo
caso dalla presenza e, nel secondo dall’assenza
di Dio e, di conseguenza, di un ordine: insomma,
dalla secolarizzazione alla neutralizzazione del politico”.6
Claudio Bonvecchio

Come commenta perfettamente Claudio Bonvecchio il passaggio studiato da Schmitt della separazione del teologico dal politico, la dissoluzione della sacralità ha portato, inevitabilmente, alla secolarizzazione dello Stato con la sua formalizzazione a società. Dove un tempo c’era la legge divina che garantiva l’equilibrio tra soggetti, con l’avvento della laicità lo Stato si fa organizzazione tra individui, con la supremazia del romanticismo sociale e dell’egoismo borghese sul sentimento comunitario e l’apertura alla trascendenza.
La storia, in questo modo, non si determina più con la potenza del sangue e del destino, ma è stata trasformata in cronaca contingente, condizionata dalla forza dell’economia e dal progetto tecnico. Le idee, quali principi ordinatori di una visione del mondo e di una certezza di sé, sono state sostituite dalle opinioni, ovvero da quei criteri utilitaristici modificabili in corso d’opera e, contemporaneamente, causa ed effetto delle decisioni estemporanee.
Da questa dissoluzione non si salva nemmeno la Chiesa Cattolica e, con essa, quell’idea della cristianità che dovrebbe a pieno titolo rappresentare. Per questo motivo ho parlato di una teologia a sovranità limitata; perché insieme ai punti di limitazione già indicati, il fattore teologico cristiano è documentatamente compromesso dalla morsa di altre due rappresentazioni religiose: quella musulmana e quella ebraica.
Come viene indicato nelle avvertenze, prima della manipolazione di sostanze pericolose o dell’assunzione di farmaci, è indispensabile “leggere attentamente le istruzioni”. E le istruzioni quali sarebbero? Soltanto un consiglio: che nessuno si affanni a cercare appigli xenofobi o si scervelli a scoprire intenzioni recondite in ciò che sto per esporre. Quello che scriverò sono semplici constatazioni di vita quotidiana e domande rivolte ad una indefinita autorità.
Si continua incessantemente a rivendicare, da qualsivoglia parte politica, la laicità dello stato italiano nei suoi fondamenti e nelle sue scelte. Non solo, ma si è anche escluso dallo statuto europeo il principio delle sue radici cristiane. Nella realtà cosa succede? Che l’unica laicità prevista e condivisa è quella escludente la Chiesa Cattolica, mentre le altre due componenti indicate condizionano pesantemente la vita politica e sociale.
Prendiamo ad esempio “piccoli” fatti di ogni giorno. Da tempo sono in corso polemiche a non finire sull’esposizione o meno del crocefisso nei luoghi pubblici – soprattutto nelle scuole – per non irritare la sensibilità degli islamici; così come si reclama la censura per ogni espressione che, in una qualche misura, offenda Maometto e i suoi seguaci, fino alle ultime iniziative di silenziare i canti natalizi, inserire minareti e moschee nei presepi e presto, come accaduto negli Stati Uniti, si arriverà a licenziare una telefonista per aver augurato Buon Natale e non Buone Feste al suo interlocutore. E mentre si esibiscono rane crocefisse, pubblicità di jeans Jesus con indicazioni evangeliche, autobus con sollecitazioni all’ateismo, e si discute sulla sensibilità di Dante per aver schiaffato Maometto al XXVIII Canto tra i seminatori di discordie, o per le terzine del V Canto “Siate, Cristiani, a muovervi più gravi/non siate come penna ad ogne vento,/e non crediate ch’ogne acqua vi lavi (…). Se mala cupidigia altro vi grida,/uomini siate, e non pecore matte,/sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida!; però se si bruciano in piazza due bandiere israeliane si scatenano i furori transnazionali contro tanta ignominia e perversione.
Ci sono poi esempi più importanti ed “elevati”, come quello della rivendicazione di laicità della scuola italiana, con la conseguente battaglia contro il finanziamento delle scuole private religiose. Grande cosa la libertà di pensiero – dicono gli illuminati del terzo millennio – tranne il fatto che poi dovrebbero giustificare altre due scelte: la prima è il finanziamento da parte dello stato delle moschee, che fino a prova contraria sono centri di culto e simbolo teologico; poi quello delle sinagoghe, che sono altrettanti centri religiosi e a volte, come nel caso ad esempio del restauro di quella di Pisa, opere d’arte di interesse generale. Oppure, come nella capitale ridotta economicamente al lastrico, si trovano i tredici milioni di euri per finanziare il museo dell’olocausto, ma non quelli per la cultura, per l’assistenza o per la sanità dei cittadini italiani. In entrambi i casi c’è il piagnisteo che, come si sa, “paga sempre”. In questi casi, lo Stato è presente per tutelare economicamente quelle minoranze religiose che poi si impongono sulla maggioranza cattolica, mentre quest’ultima è indicata come prevaricatrice, interferente se non persino sfruttatrice.
L’esempio ultimo, e più grave, interessa la stessa dottrina religiosa. Mentre il Papa accetta – in nome e per conto di un dialogo che è unidirezionale – di rivedere le posizioni nei confronti dei musulmani e, soprattutto, nei confronti degli ebrei (addirittura con la modifica del catechismo), nessuno chiede a questi delucidazioni sulla guerra agli infedeli né di modificare il Talmud e il giudizio sulla figura di Gesù, della Madonna e dei Gentili, mentre dovremmo ricordarci la bagarre contro il film di Mel Gibson. Ricorda con precisione Buttafuoco “la polemica [che] ha contrapposto la comunità ebraica di Roma alla Santa Sede”7 , con “il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, [che] è arrivato a chiedere alle autorità della Chiesa un pronunciamento ufficiale contro l’antisemitismo del film”8 , in quanto riproposizione del deicidio da parte ebraica, e l’orgogliosa e corretta risposta del portavoce vaticano Joaquín Navarro-Valls: “Il film è la trascrizione cinematografica dei Vangeli. Se fosse antisemita il film, lo sarebbero anche i Vangeli. Equivarrebbe ad affermare che i Vangeli non sono storici”9 . Quindi non solo c’è una pressante e pervasiva ingerenza politica con le benedizioni o le scomuniche di candidati alle elezioni, di uomini di partito o di associazioni culturali, ma addirittura un richiesta di abiura della stessa dottrina, in nome di una visione unica e totalizzante di Dio, del pensiero e della coscienza. Un fatto un po’ paradossale se si pensa che negare il valore dei Vangeli e dei fatti storici di duemila anni fa è una consuetudine accettata e quasi un dovere di correttezza politica, mentre la revisione della semplice storia di cinquant’anni fa può portare all’arresto, alla perdita del lavoro, alla confisca dei beni e al rischio dell’incolumità fisica. Insomma, Dante e San Paolo devono essere censurati, Ariel Sharon e Tzipi Livni no!
Affermare che l’Italia, nei suoi orientamenti politici, storici, culturali, militari, religiosi ed etici, è un paese a sovranità limitata è un’esagerazione?
Direi proprio di no, basti pensare al giorno di riposo religioso. Lo Stato italiano riconosce il venerdì giorno sacro per i musulmani, evitando iniziative che coinvolgano i credenti di Maometto in quella giornata; scongiura le operazioni elettorali di sabato per il rispetto del giorno sacro di  Yahvè (tanto che il ventilato voto europeo in questa giornata ha fatto scaturire più di un rabbino, denunciando “la scarsa sensibilità per la fede ebraica”); per i cristiani, invece, di domenica – etimologicamente “giorno dedicato al Signore” – si vota, si aprono i centri commerciali e si organizzano eventi di ogni tipo): a dimostrazione che islamismo ed ebraismo sono religioni votate alla politica, mentre per il cristianesimo vale l’antica indicazione “di dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, troppo spesso con la prevalenza del primo sul secondo.
Considerazioni, queste, valide soprattutto se ci dovessimo addentrare nel campo del diritto internazione e riconsiderare il ruolo di tutte quelle persone che ricoprono incarichi pubblici ufficiali e che mantengono la doppia cittadinanza, questo in nome di una religione assolutistica e fondante una religione politica: una pervasività religiosa che è da stolti solo pensare di poter ricondurre all’interno del laicismo repubblicano. È tanto scandaloso chiedersi verso chi manterrebbero, queste persone, il giuramento di fedeltà in caso di necessità di scelta tra l’Italia e l’altro paese di appartenenza? È tanto scandaloso vederle come delle quinte colonne?
Ma questa è tutta un’altra storia.

 1 M. VENEZIANI, La sconfitta delle idee, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 107.
 2 G. GAIANI, Iraq-Afghanistan. Guerre di pace italiane. Studio LT2, Venezia, 2007, p. 20.
 3 M. DELLA LUNA / A. MICLAVEZ, €uroschiavi, Arianna Editrice, Bologna, 2008, p. 7.
 4 J. HILMAN, Il piacere di pensare, Rizzoli, Milano, 2001, p. 39.
 5 G. FAYE, Archeofuturismo, Società Editrice Barbarossa, Milano, 1999, p. 46.
 6 C. BONVECCHIO, Il politico impossibile. Soggetto, ontologia, mito in Carl Schmitt, Giappichelli, Torino, 1990, p. 93.
 7 P. BUTTAFUOCO, L’Islam, il Sacro, l’Occidente, Bompiani, Milano, 2008, p. 122.
 8 Ivi, p. 127.
 9 Ivi, p. 128.