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La prima intifadah palestinese: la rivolta delle pietre

di Dagoberto Husayn Bellucci - 09/04/2009

 


"Questa la situazione creatasi in Palestina (...) E così quel paese di Gesù
che era divenuto per tutti il simbolo di unione e di pace, si avvia ad essere
tra il silenzio generale la terra di nuove guerre e di nuovo sangue perchè si
vuole ad ogni costo che diventi la sede nazionale ebraica."

( Giovanni Preziosi - articolo "La Palestina sotto il dominio ebraico" - da
"La Vita Italiana" del 15 settembre 1921 )


La prima intifadah palestinese scoppia improvvisa il 7 dicembre 1987: sarà
immediatamente una rivolta di popolo , estesa a tutte le classi sociali, a
tutti i ceti, coinvolgendo immediatamente vecchie e giovani generazioni della
società civile palestinese vessata dai sopprusi sionisti e da un'occupazione
militare diventata nel corso degli anni ottanta con l'ala destra della politica
israeliana al potere, il Likud di Shamir e del superfalco Ariel Sharon,
insopportabile e sempre più aggressiva.

La politica seguita dalla destra israeliana, arrivata al potere nel 77, si
basa fino a quel momento sulla negazione di qualsiasi identità palestinese,
sulla repressione selvaggia condotta con inaudita violenza dall'esercito e su
una politica di occupazione territoriale che tenderà a espropriare nuovi
territori ai palestinesi a vantaggio dei coloni ebrei fatti arrivare in
Terrasanta occupata soprattutto dai paesi del blocco sovietico. Tra il 77 e
l'87 il numero dei coloni viene decuplicato: è il sogno della Grande Israele
biblica  - dal Nilo all'Eufrate - quello che guida la politica del Likud e
spingerà nell'82 i dirigenti sionisti all'invasione del Libano.

L'aggressione neocolonialista è intensa e metodica la prassi di spoliamento
dei territori occupati: in particolare in Cisgiordania dove , secondo quanto
riportò il Dossier Meron Benvenisti (1) redatto da uno dei maggiori esperti
israeliani dei problemi di questa regione , alla fine dell'86 risulteranno
oltre ottantamila i coloni stanziati su centotrenta insediamenti e per un
totale di circa diciottomila abitazioni. Il piano di urbanizzazione coloniale
pubblicato tre anni prima dal Ministero dell'Agricoltura di Tel Aviv - sotto il
patrocinio dell'Organizzazione Mondiale Sionista - prevedeva di portare in tre
anni la quota di coloni a centomila unità, l'80% dell'obiettivo iniziale venne
raggiunto sulla base delle linee guida di quel documento programmatico che
sostenevano e invocavano "la distribuzione di insediamenti ebraici secondo le
loro esigenze economiche e di sicurezza; lo sviluppo della popolazione ebraica
nell'area; l'utilizzo delle risorse disponibili ed il consolidamento della
prosperità economica dei coloni".

Una politica di cementificazione e militarizzazione che , dopo una breve
sosta nell'84 (quando si formerà un esecutivo sionista di unità nazionale che
comprenderà anche i laburisti), verrà riaffermata a partire dal 1990 - anno
della vittoria elettorale del Likud - con la nomina a ministro dell'edilizio
del falco Sharon che intende realizzare a tappe forzate il più importante
progetto di colonizzazione dei territori mai visto nella storia
dell'occupazione israeliana. L'obiettivo di Sharon è chiaro: occorre alterare
radicalmente gli equilibri demografici della Cisgiordania in modo da rendere
inapplicabile e inutile qualsiasi rivendicazione palestinese. Un'anno più tardi
il suo esecutivo siederà al cosiddetto "tavolo della pace" di Madrid nella
prima sessione di quell'inarrestabile sequenza di meeting e incontri fra
israeliani e palestinesi noti all'opinione pubblica mondiale come segmenti di
trattative di un "processo di pace in Medio Oriente" di cui tutti da vent'anni
parlano e che nessuno - iniziando da "Israele" - realmente vuole. Come si vedrà
chiaramente negli anni novanta Oslo e i successivi incontri tra le due parti
serviranno solamente ai sionisti per prendere tempo e impegnare in estenuanti
colloqui la controparte palestinese, snaturando completamente obiettivi e
natura dell'Organizzazione di Liberazione della Palestina, relegando il suo
leader - Yasser Arafat - ad un ruolo di copartecipante dei crimini sionisti e
intermediario dell'Occidente e infine riuscendo ad ottenere la capitolazione
della vicina Giordania e il nulla osta dei principali Stati arabi cosiddetti
"moderati".

L'entità sionista non ha mai nascosto la sua volontà di colonizzazione dei
territori occupati come dimostra chiaramente il muro della vergogna eretto
dall'esecutivo Sharon nel 2003 per isolare i cittadini palestinesi della
Cisgiordania dai principali centri israeliani. I diversi esecutivi sionisti
hanno sempre favorito e incentivato l'occupazione territoriale agevolando chi
decideva di andare a vivere nei Territori con mutui agevolati del 50% superiori
a quelli offerti nelle aree di sviluppo interne (il Negev) e fino al 75%
rispetto alle città israeliane. Ora sia detto per inciso quì non si tratta di
distinzioni tra Territori Occupati e una pretesa/presunta "Nazione d'Israele"
legittima considerando che - per quanto storicamente accertato - non esiste
alcun centimetro di terra palestinese che non sia stato confiscato, usurpato ed
occupato dai sionisti. Concentriamo semplicemente la nostra attenzione su
Cisgiordania e striscia di Gaza che - dell'Intifadah palestinese - saranno i
palcoscenici e le aree di crisi fondamentali.

Prima di tornare all'Intifadah sarà necessario comunque sottolineare come
l'attività di colonizzazione e sradicamento dei palestinesi dalle loro enclavi
costituirà una costante di tutta la politica israeliana negli anni ottanta che
attraverserà i due decenni successivi per riproporsi oggi nel nuovo esecutivo
di coalizione che vede il Likud di Benjamin Nethaniyahu alleato di una
formazione d'ultra-destra radicale ("Israel Beitein) alla cui testa si pone un
nuovo emulo di Sharon: Avigdor Lieberman.
Lieberman come la stragrande maggioranza dei politici israeliani è originario
dell'Europa Orientale: è un ebreo askhenazita, nato a Kisinev nell'ex Unione
Sovietica (oggi Moldova) nel 1958, trasferitosi nell'entità criminale sionista
vent'anni più tardi dove - tra l'83 e l'88 - ha contribuito alla fondazione del
Forum Sionista per il dialogo con l'ebraismo sovietico lavorando anche come
segretario della sezione di Gerusalemme occupata dall'Histadrut Ovdim Le' Humi
(il Sindacato Nazionale dei Lavoratori).

Lieberman è un razzista ebreo, schietto e dichiarato, sogna la realizzazione
della "Grande Israele", dichiara da anni di voler riprendere la politica
dell'espulsione coatta dei palestinesi, vaneggia di nuove espansioni. Il suo
partito - fondato dieci anni fa quale scissione del Likud (di cui è stato
direttore generale) - non riconosce alcun diritto ai palestinesi: semplicemente
i palestinesi non esistono o , tutt'al più, costituiscono un problema da
risolvere manu militari. "Israel Beitein" - la formazione d'ultra-destra che
Lieberman ha portato al terzo posto nelle recenti elezioni israeliane dello
scorso febbraio - ha l'appoggio della maggioranza dei coloni e ha ottenuto il
voto degli ebrei emigrati dall'ex Unione Sovietica ai quali ha promesso
"sicurezza e lavoro, espansione e libertà". Al suo fianco si sono posti i
partiti tradizionalmente più radicali del panorama politico israeliano (il
Moledot, lo Tsomet e Tehiya) ma anche il Gush Emunim (il Blocco della Fede dei
fanatici ultra-sionisti che anelano alla ricostruzione del terzo Tempio di
Gerusalemme e non nascondono i loro propositi di scatenare un inferno nucleare
contro le nazioni del mondo arabo-islamico pur di realizzare i loro sogni
escatologico/messianici). Il Gush Emunim costituisce da sempre la colonna
portante e il nucleo d'assalto della struttura paramilitare creata nei
territori occupati dai coloni.

Contro questi deliri messianici e la politica di sfruttamento, espropriazione
e terrorismo condotta dai sionisti si scatenò nel dicembre 1987 la prima
rivolta delle pietre nata da un incidente avvenuto nei pressi di Gaza che
coinvolse quattro lavoratori palestinesi e un camion dell'esercito israeliano.
I quattro lavoratori saranno uccisi sul colpo provocando la rabbiosa reazione
di tutta la società palestinese: ovunque sono eretti posti di blocco, bruciati
copertoni d'auto, lanciate pietre contro i militari dalla stella di Davide. La
rivolta è scoppiata improvvisa, non ha dato tempo alla leadership sionista di
comprenderne la portata mentre come un incendio divampano ovunque focolai di
rabbia e ovunque si assiste alle stesse scene di camionette e blindati
israeliani diventati presto il bersaglio privilegiato di ragazzini,
adolescenti, giovani, adulti, anziani, uomini e donne palestinesi di ogni ceto,
di ogni età, laici e religiosi, attivisti politici e semplici cittadini.
Ovunque è il caos: la Palestina è in fiamme. Una rivolta di popolo che sfugge
al controllo della stessa dirigenza palestinese in esilio a Tunisi e che
diventerà il trampolino di lancio di una nuova organizzazione rivoluzionaria -
nata nella striscia di Gaza qualche anno prima - Hamas il movimento di
resistenza islamico che , da quel momento in poi, assumerà la conduzione delle
principali operazioni della Resistenza contro i sionisti.

L'Intifadah non è solo Hamas. L'Intifadah nascerà autonoma da qualunque
"francobollatura ideologica o religiosa": a scendere nelle strade, ad
affrontare gli sgherri di "Tsahal" e morire sono i cittadini palestinesi,
colpiti dai proiettili di gomma sparati ad altezza d'uomo dai militari di Tel
Aviv, dalle cannonate della repressione blindata ordinata da Shamir, dal lancio
di gas lacrimogeni che provocheranno aborti spontanei, dalla repressione e
dalle migliaia di arresti che si abbatteranno contro tutti i villaggi e le
città della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

Per far fronte a questa reazione durissima, alle punizioni collettive imposte
dai sionisti, i palestinesi si organizzeranno in Comitati Popolari per
coordinare le diverse iniziative di lotta. Nascerà da questi comitati spontanei
successivamente il Comando Unificato dell'Intifadah all'interno del quale
troveranno posto tutte le rappresentanze di base della società. Il governo
d'occupazione sionista metterà al bando nell'estate 1988 quest'esperienza di
autogestione rivoluzionaria iniziando un'attività di repressione durissima,
sanzionando pene detentive fino a 10 anni di carcere di massima sicurezza per
chiunque sia sospettato di appartenere ai comitati e imponendo coprifuoco e
misure censorie inaudite: ai palestinesi verrà proibita addirittura la
detenzione nelle proprie abitazioni di libri scolastici, il corpo insegnanti
verrà perseguitato, molti arrestati, i medici non posso svolgere attività di
prevenzione di gruppo al di fuori di poche strutture autorizzate dai militari
di Tel Aviv. Ovunque la scure della vendetta sionista si abbatterà contro
deboli ed innocenti: tutto ciò che viene considerato sospetto viene colpito con
assoluta fermezza, a qualsiasi ora del giorno come della notte rastrellamenti
casa per casa e perquisizioni saranno all'ordine del giorno per i civili
palestinesi. Ma neanche queste misure repressive, le torture di Stato, la
detenzione in strutture carcerarie dove l'orrore è di norma riusciranno a
sedare l'Intifadah.

In quattro anni di rivolta (tra il dicembre 87 e il dicembre 91) saranno
oltre mezzo milione gli arresti compiuti dalle forze di polizia e dall'esercito
sionisti: praticamente tutta la popolazione palestinese abitante nei Territori
di Cisgiordania e Gaza ha avuto a che fare con l'esperienza diretta o indiretta
del trattamento disumano riservato ai palestinesi dagli aguzzini dei servizi di
sicurezza civili e militari o dal personale addetto della polizia di stato
israeliana. Nell'entità criminale sionista vige ancora la legge emergenza del
mandato britannico del 1945 e il governo d'occupazione Shamir ha ampiamente
utilizzato questi cavilli giudiziari per imporre il pugno di ferro e sedare la
rivolta. L'esecutivo sionista avvalendosi di questa legislazione ha potuto
praticare impunemente il cosiddetto "arresto amministrativo" che consiste nella
possibilità di incarcerare un individuo considerato "sospetto" (compreso
bambini di 10-11 anni) per un periodo variabile dai sei mesi ad un anno (sarà
proprio Shamir ad elevare la carcerazione ad un anno). Nel 1988 con oltre
cinquemila "arresti amministrativi" verrà toccato il tetto massimo.
Per fronteggiare quest'emergenza carceraria le autorità d'occupazione
israeliane hanno dovuto - tra il 1988 e il 1990 - aprire undici nuovi centri di
detenzione il più tristemente famoso dei quali rimarrà il carcere di massima
sicurezza di Ansar 3 situato nel cuore del deserto del Negev e che ospiterà
fino a tremila detenuti in attesa di giudizio in stato di sottonutrizione e in
precarie condizioni sanitarie. Quanto sperimentato terroristicamente nel Libano
meridionale a Khiam verrà riproposto nei territori occupati nelle cui prigioni
finiranno anche molti combattenti libanesi e diversi appartenenti della
Resistenza palestinese in Libano.
La Croce Rossa Internazionale ha denunciato questa abominevole situazione di
illegalità e condotto indagini stilando inutili dossier sulla morte di
trentadue detenuti palestinesi vittime della tortura di Stato: 11 decessi
sarebbero avvenuti durante gli interrogatori , 14 a causa delle dure condizioni
di detenzione e 7 sarebbero stati direttamente commessi dal personale
carcerario israeliano.
In cinque anni di Intifadah la mobilitazione generale della popolazione
palestinese è stata permanente: a ondate di entusiasmo sono seguiti momenti di
sconforto ma Comitati Popolari e organizzazioni della Resistenza hanno sempre
tenuto alto il livello di scontro impegnando l'esercito occupante e rendendo
impossibile la vita ai militari sionisti. Il bilancio di questa resistenza di
popolo, combattuta senza utilizzare armi da fuoco ma esclusivamente con le
pietre, ha lasciato sul selciato , vittime della reazione sionista, oltre 1100
palestinesi e alzato il numero dei feriti ad oltre 80mila.
L'Intifadah ha soprattutto insegnato al nemico dell'uomo e ha rappresentato
per l'opinione pubblica internazionale l'esempio più evidente di una volontà
granitica di un intero popolo che è sceso per le strade della Palestina
occupata , pietre in mano, per affermare la propria presenza e ribadire la
propria identità calpestata, rifiutata e villipesa dall'occupazione militare
israeliana. Una rivolta nata dalla disperazione di un popolo che ha saputo
tenere in scacco per cinque anni l'esercito sionista: esempio recente che
"Israele" , nemico dell'Uomo per eccellenza, è vulnerabile. Il mito
dell'"invincibilità" di "tsahal" (alias Israel Defence Force) incrinato dalla
prima Intifadah, messo a dura prova dallo smacco libanese nella primavera 2000
e dalla seconda rivolta delle pietre, verrà infine disintegrato dal valore,
dalla volontà e dalla determinazione dei combattenti per la libertà libanesi e
palestinesi che - a Bint 'Chbeil nell'estate 2006 come a Gaza nel gennaio
scorso - sbaraglieranno tutti i 'pronostici' dei vari Centri Studi Strategici
di mezzo mondo e infrangeranno una sonora sconfitta alle velleità
imperialistico-espansioniste dello "Stato ebraico" usurpante la Terrasanta
palestinese.

DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

Direttore Responsabile Agenzia di Stampa "Islam Italia"
da Nabathiyeh (Libano meridionale)


NOTE -

1) Dossier Benvenisti - "How expensive are West Bank settlements?" -
Jerusalem Data Base Project - 1987;