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Le tre modernità

di Marco Francesco De Marco - 09/04/2009

    
Il Manifesto dell’Antimodernità elenca una serie di punti di critica alla società industriale ed al suo modello di sviluppo, oltre che al suo sistema di valori. La modernità alla quale si fa riferimento, e dalla quale si prendono le distanze, è essenzialmente quella della rivoluzione industriale, dell’accrescimento disordinato e convulso delle città, dell’abbandono delle campagne. Della fine dell’uomo artigiano portatore di una conoscenza, con la sua dignità di “mastro”. Con l’incedere dei tempi serrati, dell’ossessione produttiva e l’aggravarsi fino all’inverosimile del meccanismo dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo per fini esclusivamente economici. Nei primi anni del Rinascimento, quanto rappresentato dalla civiltà medievale europea, con la centralità del mondo sacro e cavalleresco, apparve il limite da superare verso l’alto, attraverso la riappropriazione dei valori dell’antichità classica e delle sue aspirazioni più alte rispetto al modello religioso del mezzo evo, che non fu oscurantista, come ebbero a definirlo gli illuministi che si crogiolavano nelle illusioni alla “Ballo Excelsior”, ma certo non ebbe la vastità e la grandezza spirituale del mondo ellenico o romano classico.
In realtà i primi anni di splendore artistico neoclassico dovettero lasciare il passo alla vera forza motrice della nuova era rinascimentale, che ben presto manifestò la sua natura bassa e materiale. Se quindi gli effetti di questa modernità apparvero in tutta la loro virulenza a partire dal XVIII secolo, è vero che il suo sviluppo sottile è di due secoli precedenti e coincide con la fine del Medioevo. Sembrerebbe quindi che l’antichità sia finita con la scoperta dell’America. In realtà anche l’uomo medievale è parte di un processo definibile di modernizzazione rispetto all’età classica che finisce, sempre secondo gli schemi storici, con la caduta  dell’Impero Romano d’occidente, nel V secolo. A sua volta, l’età classica, iniziata con la migrazione delle tribù iperboree verso la penisola e le isole della futura Grecia, è la prima forma di modernità che possiamo rilevare. Le tre modernità fin qui elencate, quella che inizia con il periodo storico, la medievale, e la rinascimentale diventata poi industriale, non si fanno coincidere con concetti di tipo evolutivo, ovvero con l’idea che tutta la storia dell’uomo sarebbe uno slancio ed un anelito di “avanzamento” realizzato attraverso il progresso filosofico e tecnologico. Tutt’altro. La modernità è un processo di decadenza irreversibile, ed anche quelle civiltà classiche che percepiamo in tutta la loro grandezza spirituale, civile ed artistica, non furono altro che modelli inferiori a precedenti esistenze ancor più elevate sotto ogni profilo. Ecco quindi che la prima modernità nasce con la Storia, con il modello razionale e furbesco rappresentato da Ulisse, con la comparsa del pensiero filosofico profano: Socrate fonda il mondo moderno, gli dei si allontanano e nel mondo invisibile si affermano i Δαίμων. A questo punto siamo già nell’età del ferro, nel Kalì Yuga degli ario-vedici. Prima di questa era, e parliamo solo di duemila e ottocento anni fa, vi erano state civiltà durate a loro volta migliaia d’anni, in un’età chiamata del bronzo e su ancora fino all’età dell’oro.
L’uomo quindi non inizia ad elevarsi da un mondo semi animalesco con la modernità, con il periodo storico, come vorrebbero farci credere gli ideologi della odierna scienza profana, ma al contrario inizia a decadere verso forme involute e meno splendenti del passato. Cosa caratterizza quindi la modernità nel suo complesso ed a partire da che data si può parlare di fine del mondo antico, nella sua accezione più ortodossa? Certamente la comparsa della razionalità e della speculazione. La propensione agli interrogativi esistenziali, indebitamente chiamata filosofia, che semanticamente richiama un amore per la sapienza che non può essere affidata ad elementi razionali, si manifesta nella Grecia antica e costituisce il primo tratto di modernità occidentale, destinato a propagarsi secondo modalità virali, ed a minare le fondamenta sacro sapienziali dell’esistenza. Dall’oriente babilonese ed assiro già provenivano segni di squilibrio interiore, manifestati dalla crescita eccessiva delle città, con la perdita di quel senso di armonia con il mondo naturale che porterà per la prima volta all’asservimento delle risorse della natura, con il trasporto dell’acqua all’interno delle mura delle città. L’età classica non espresse attraverso le sue forme religiose, sociali e culturali qualcosa di originale, ma al contrario conservò elementi tradizionali in gran quantità, salvo sfaldarsi lentamente verso forme più lontane dai modelli originari, che diedero vita a quelle storture che ne decretarono la fine. Roma fu fondata nella consapevolezza che il passato splendido sembrava velocemente spegnersi. Gli etruschi, alla fine del loro millennio, i sabini ed i latini da poco tempo migrati nel centro Italia, diedero vita alla Città Eterna con un intento restauratore e conservatore delle precedenti sensibilità. La Roma dei valori prischi e repubblicani percepì Cartagine come la sua antitesi etica prima che politica: fu il primo scontro tra la tradizione e la modernità, da cui deriva la simpatia per Annibale di certi ambienti materialisti e radical chic, che già nell’opinione storica si esercitarono al tradimento della Patria. L’Impero e segnatamente il basso Impero, nonostante alcuni disperati tentavi restauratori, si pensi ad esempio a Giuliano Imperatore, non fermarono il fiume in piena della modernità, nel quale nel frattempo era giunto il suo più sostanzioso e deflagrante  affluente: il cristianesimo.
La prima modernità quindi, anche se paradossalmente da noi chiamata età classica, cede il passo dopo circa mille anni, alla seconda modernità rappresentata dal medioevo. La sua sostanza spirituale rappresenta una diminuzione delle grandi profondità classiche, e l’età dei cavalieri e dei conventi è un residuo della grande tradizione sacerdotale dell’era precedente; vista dai giorni nostri, ovviamente, ci appare come un’era di splendore. Dopo mille anni, anche il medioevo vide la cancellazione del proprio modello di società a favore di questa terza modernità, appena ritardata dalle aspirazioni primo rinascimentali e subito attestatasi sul materialismo ideale di ispirazione borghese che porterà alla società industriale. Ecco quindi che ogni progressione della modernità, diremmo ogni stato di avanzamento del degrado, determina delle avversioni, che possono coinvolgere intimamente soltanto per la contrarietà alla società industriale, oppure spingersi fino al totale rifiuto del mondo moderno, secondo i canoni delle scuole di pensiero tradizionali, che datano la sua nascita ben prima dell’inizio dell’era volgare. Se quindi capita di non essere perfettamente in sintonia in tema di valori, anche quando ci si trova tra antimoderni, ciò è dovuto al molteplice e diverso significato che questo concetto può assumere ed al diverso livello di distanza (riformatore o rivoluzionario) che ognuno mette tra sé, ovvero la sua visione del mondo, e la civiltà occidentale odierna.