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Semi africani minacciati dalla privatizzazione

di Madieng Seck* - 16/04/2009



I produttori dell’Africa occidentale sono ben decisi a battersi per conservare il diritto di produrre le loro sementi. Una società senegalese, infatti, ha depositato presso l’Organizzazione africana della proprietà intellettuale(Oapi) una richiesta di certificazione di ottenimento vegetale per la cipolla di Galmi, mettendo così in pericolo questo diritto. Gli orticoltori africani non potranno più utilizzare i loro semi della cipolla « Viola di Galmi » se l’Oapi accetterà la richiesta di certificazione, inoltrata alla fine del 2006 dalla società senegalese Tropicasem, filiale di Limagrain, una società cooperativa francese specializzata nella vendita di semi.

E’ dunque con grande stupore che, scaduti i termini di ricorso previsti dall’Oapi, i produttori africani hanno appreso questa notizia durante il discorso di un membro della rete francese « Sémences paysannes », presentato durante la fiera di Djimini sulle sementi contadine, che si è tenuta a sud del Senegal dal 7 al 9 marzo scorsi.
Questa rivelazione ha suscitato la loro collera. La « Viola di Galmi » è una varietà di cipolla originaria di Galmi, un villaggio nigeriano situato tra Niamey e Zinder. Il seme, prodotto da più di un secolo, è stato introdotto in Mali e in Senegal, dove la produzione è passata da 40.000 t di cipolle nel 2003 a 140.000 t nel 2008, con un giro di affari di circa 15 miliardi di Fcfa (23 milioni di euro), secondo l’agenzia nazionale di regolazione dei mercati.
Altre domande di certificazione sono state depositate all’Oapi su prodotti orticoli largamente coltivati in Africa come il cocomero, il peperoncino giallo del Burkina Faso e il Gombo Volta.
Di fronte a queste minacce, l’associazione « Biodiversità, scambi e diffusione di esperienze » (Bede) ha richiesto alla quarantina di coltivatori presenti a questo appuntamento di mobilitarsi.
A Djimini, nella piazza del villaggio, degli stand di paglia esibivano mais, riso locale, fonio, arachidi, tuberi, niébé, ecc. Selezionati, conservati e trasmessi di padre in figlio, queste sementi contadine provenienti da diversi paesi africani sono state oggetto di intensi scambi. "Questo seme di miglio Makhaly è originario del villaggio di Lissar a Mékhé. Porta il nome del contadino Makhaly che ne è il depositario all’interno della comunità rurale. Fin dal 1930, viene scambiato con altri semi", testimonia M’Baye Diouf, membro dell’Unione dei produttori di Mékhé (130 km a nord di Dakar), che spiega tutte le caratteristiche di questa varietà di miglio ai suoi interessati colleghi. Per tutti, un seme contadino non deve essere "né migliorato dalla ricerca, né ibridato". Questo per evitare, dicono, di entrare in un circolo vizioso (acquisto di concimi, di additivi...). Il nostro principio fondamentale, sostengono, è il rispetto dell’agroecologia. "Non vogliamo né ibridi, né certificazioni né norme internazionali", afferma Lamine. "Il seme contadino è come una bella ragazza che si dà in sposa", riassume un vecchio contadino africano. Non la si dà in sposa a chiunque. 


* giornalista, responsabile del convivium mangeons local