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Teodosio sul confine d’Oriente e Occidente

di Franco Cardini - 21/04/2009


 
 
 
Alla luce del libro di Hartmut Leppin, Teodosio il Grande, lo storico Franco Cardini analizza l’azione politica e religiosa di Teodosio, l’imperatore romano del IV secolo che deve essere considerato, ben più di Costantino, il vero fondatore dell’impero romano-cristiano. Per Cardini la grandezza di Teodosio fu sancita da sant’Ambrogio nell’orazione funebre del 395 in cui elogiava l’imperatore per le doti di vero cristiano, ma allo stesso tempo ne delimitava il potere sottolineando che anche l’imperatore non era «sopra bensì dentro la Chiesa». Teodosio riuscì a ricostituire l’unità politica dell’impero e varò una serie di leggi per unificarlo anche religiosamente: proibì i culti pagani e impose limitazioni alle pratiche religiose di ebrei e cristiani ariani, condannati da Ambrogio come eretici. Ma l’unità politica dell’impero fu di breve durata: in procinto di morire, fu lo stesso Teodosio a dividerlo fra i due figli, affidandone la parte occidentale a Onorio e quella orientale ad Arcadio.

Chi sia stato Teodosio, non è detto che oggi sia chiaro a tutti. Eppure, è tradizionalmente chiamato «il Grande» [...]. La grandezza di Teodosio era stata sancita [...] da sant’Ambrogio, che il 25 febbraio 395 ne pronunziò una splendida, intensa ma è difficile dire quanto sincera orazione funebre. È stato Agostino, nel De gratia Christi, a definire per primo l’impero romano come «cristiano, grazie al favore di Dio»: ma era stato Ambrogio, vescovo di quella Milano ch’era la capitale della pars Occidentis anche se proprio Teodosio aveva provvisoriamente unificato l’impero, a delimitarne il concetto sottolineando che, in quanto fedele, il sovrano stesso era «non sopra la Chiesa, bensì nella Chiesa». Un duro colpo per gli Augusti, ormai cristiani da quasi un secolo ma abituati tuttavia ad esser considerati divini. Una rivoluzione culturale e istituzionale. Nella sua orazione funebre, Ambrogio tracciò le linee portanti dell’interpretazione destinata a divenir canonica dell’«uomo misericordioso, umile pur nella maestà imperiale, dotato di un cuore puro»; lo salutò come un vecchio amico, confessò di averlo amato. Eppure, anche gli astanti sapevano che le cose non stavano proprio così. In realtà, tra l’imperatore e il vescovo c’erano stati rapporti anche duri, anche tesi: come quando Ambrogio aveva imposto a Teodosio pubblica penitenza dopo il massacro di Tessalonica del 390, che il sovrano aveva forse ordinato e comunque non aveva saputo evitare; o quando lo aveva pubblicamente rimproverato per aver umiliato nella lontana città asiatica di Callinicum la comunità cristiana, rea di aver incendiato una sinagoga. Ora, la solida biografia di Hartmut Leppin giunge puntualmente ma anche cautamente a «disincantare» la figura di colui che, ben più e molto meglio che non Costantino, può essere considerato il vero fondatore dell’impero romano­cristiano. Nato nella penisola iberica verso il 347, figlio di un generale che era stato giustiziato perché coinvolto in un complotto, egli viveva appartato quando nel 379 l’imperatore Graziano lo fece nominare Augusto per la pars Orientis dell’impero, minacciata perché l’anno prima i goti avevano clamorosamente vinto le truppe imperiali ad Adrianopoli. Non ebbe vita facile: e, al di là di quel che una tenace propaganda ha saputo far creder di lui, molte cose non gli andarono per nulla bene. Dovette affrontare un usurpatore che aveva occupato il trono d’Occidente, Magno Massimo, e lo fece con molte ambiguità prima di riuscir a batterlo e a farlo giustiziare nel 388; e quindi un altro, Eugenio, che nonostante fosse personalmente cristiano venne sostenuto dall’aristocrazia romana ch’era ancora in buona parte pagana. La patina religiosa che, prima quasi casualmente, aveva avvolto lo scontro tra Teodosio ed Eugenio, determinò comunque un esito definitivo.
Nel 394 Teodosio batté le milizie di Eugenio presso il fiume Frigido: da allora le vicende del braccio di ferro tra pagani e cristiani, ch’erano state molto ambigue come dimostra l’episodio della statua della Dea Vittoria, più volte rimossa e poi ricollocata dal suo piedistallo in Senato, assunsero un più deciso percorso. Teodosio seppe ricostituire l’unità politica dell’impero e procedere a una serie di leggi che ne garantirono anche quella religiosa sottoponendo a una serie di proibizioni e di confische sia i sodalizi pagani, sia le comunità ebraiche, sia i gruppi ecclesiali cristiano-ariani contro i quali aveva strenuamente lottato lo stesso Ambrogio e che avevano a lungo goduto della protezione della dinastia imperiale.
Teodosio non fu forse così abile e pio come ce lo ha presentato Ambrogio. Fallì anche nel suo proposito politico fondamentale, quello di mantenere l’unità dell’impero, che morendo divise nuovamente in due affidando le due partes a ciascuno dei due figli: al maggiore Arcadio l’Oriente più ricco e civile ma anche minacciato dai persiani, a Onorio l’Occidente più povero e in decadenza economica e demografica. Il grande imperatore ci appare per più versi una figura di limite.
Discriminò tra l’impero romano pagano antico, com’era fino ad allora nella sostanza rimasto, e quello nuovo romano medievale; organizzò la divisione geografica di Oriente e Occidente, avviata a divenir culturale. E restò, a Occidente come a Oriente, un modello. [...]

Hartmut Leppin, Teodosio il Grande, Salerno editore 2009, pp. 346, € 26.