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Se si congelano le grandi opere si fermi pure il Ponte sullo stretto

di Massimo Fini - 22/04/2009

Il premier Silvio Berlusconi, che si è ottimamente comportato durante i giorni del terremoto, spendendosi con la sua presenza fisica (il rapporto diretto con la gente è ciò che gli riesce meglio, mentre, refrattario com’è a qualsiasi critica, è pessimo con l’informazione che continua a minacciare, vedi il gravissimo discorso di Praga passato in sottordine proprio a causa della tragedia dell’Aquila), ha deciso di dare, per il momento, lo stop alle "grandi opere". A tutte. Tranne che al ponte sullo stretto di Messina. È una decisione particolarmente incomprensibile proprio alla luce di quanto è successo all’Aquila. È vero che il Ponte verrebbe costruito, almeno si spera, con tutte le precauzioni antisismiche, ma proprio a Messina, nel 1905, c’è stato il più devastante terremoto dell’Italia unitaria con più di centomila morti. E nessun sistema antisismico, per quanto moderno e sofisticato, potrebbe reggere a un terremoto di quella portata. Inoltre se si sospetta che parte del disastro dell’Aquila sia dovuto alla disinvoltura di costruttori infiltrati dalla mafia e se si teme che la mafia si butterà sulla ricostruzione anche se siamo in una regione del centro Italia, l’Abruzzo, fra le meno inquinate dalla criminalità organizzata, si può facilmente immaginare cosa avverrebbe a Messina.
A parte questo, è da quel dì che si sarebbe dovuto capire che non è più tempo di "grandi opere". Non solo perchè, a parità d’investimento, sono molto più utili tante "piccole opere", ma perchè l’esperienza ci avrebbe dovuto insegnare che nessun progettista, nessun tecnico, nessuno scienziato è in grado di prevedere le varianti che può mettere in circolo una "grande opera".
Al Cairo tre milioni di persone vivono nel cimitero dei Mamaluchi. È una conseguenza della grande diga di Assuan voluta da Nasser per dare l’elettricità all’Egitto. Grande idea. Peccato che la diga abbia completamente alterato le due famose tracimazioni annuali del Nilo che concimando naturalmente la terra hanno fatto, per secoli e millenni, la fortuna dell’Egitto. Le popolazioni che vivevano lungo il grande fiume e che traevano il proprio sostentamento da quella terra resa fertilissima dalle tracimazioni hanno dovuto abbandonarla e non hanno trovato di meglio che andare ad abitare nel cimitero dei Mamaluchi, in casupolette alte due metri e larghe uno e mezzo, in condizioni disperanti e degradanti.
Anni fa ero a Reggio Calabria per una conferenza. Era novembre ma c’era una splendida giornata di sole e chiesi ai miei amici calabresi di portarmi a fare un bagno. Ci dirigemmo verso la costa ionica e dopo pochissimi chilometri trovammo una bellissima spiaggia. Non molto tempo dopo tornai a Reggio e chiesi agli amici di fare la stessa cosa. Percorremmo una trentina di chilometri di un litorale sassoso, arido, fatto di materiali di risulta, inagibile, prima di trovare un posto adatto. Dissi agli amici: "Come mai? Mi ricordo che l’altra volta abbiamo dovuto fare molta meno strada". "Sì, ma adesso poco ad est di Reggio hanno costruito un porto turistico". Mi feci portare a vedere questo porto. Era un’opera di dimensioni abbastanza modeste ma, cambiando il regime delle correnti, era bastata per rovinare trenta chilometri di costa. Si può immaginare quali, e imprevedibili, mutamenti ambientali porterebbe un’opera colossale come il Ponte sullo stretto di Messina.
Nessuno degli amici calabresi e siciliani con cui ho parlato si è detto favorevole al Ponte. Perché a loro non serve a nulla. Per salire sul ponte ci metterebbero più tempo che ad attraversare lo stretto in traghetto. Poi ci sono questioni culturali ed esistenziali che non dovrebbero essere liquidate con un’alzatuccia di spalle. "Noi - dicono i calabresi - siamo abituati, da secoli e millenni, ad avere di fronte un’isola". "Noi - dicono i siciliani - siamo abituati da secoli e millenni, ad essere un’isola".
Insomma a questo punto incaponirsi sulla costruzione del Ponte sullo stretto sembra solo un puntiglio. E, anche alla luce di quanto successo all’Aquila, un puntiglio pericoloso.