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Un amore può essere un errore? E che significato ha nella nostra vita?

di Francesco Lamendola - 23/04/2009

dancer.jpg image by dolcesharon «Caro amico,
ho letto il tuo scritto "Ogni persona che abbiamo amato è una pianta che stormisce al vento nel giardino della nostra anima"; e, dopo averlo ben meditato, mi sono trovata a concordare con gran parte di quello che affermi.
C'è un punto, però, che non mi è del tutto chiaro e a proposito del quale non mi sembra di poter consentire. In breve, tu sostieni (cito l'ultima parte del tuo ragionamento) :
"Gli incontri preziosi della nostra vita non se ne vanno mai del tutto, restano a far parte del nostro paesaggio interiore, anche se la nostra coscienza ne è a stento consapevole; però può accadere che noi non siano in grado di dissetarci e di ristorarci per mezzo di essi, perché li abbiamo dimenticati o perché, pur ricordandoli, li pensiamo unicamente come delle cose morte del passato, che non torneranno mai più e che nulla possono aggiungere alla nostra esistenza presente, alle nostre necessità, alla nostra indigenza.
Ma non è così.
Le esperienze profonde della nostra vita sono diventate carne e sangue del nostro spirito: sono diventate parte di noi stessi. Noi siamo quello che siamo, perché siamo passati attraverso di esse; sarebbe più facile, per noi, decidere di amputarci un braccio, o una gamba, che riuscire a strappare via dalla nostra anima gli incontri e gli affetti che ci hanno fatto diventare, nel bene e nel male, quello che noi ora siamo.
Ne consegue che il modo più giusto di rapportarci con i grandi incontri della nostra vita affettiva e spirituale è quello di non rinnegarli, di non ripudiarli, di non instaurare con essi un rapporto nevrotico; e, a maggior ragione, di non lasciarli cadere nell’indifferenza e di non ripagarli con l’ingratitudine.
Noi dobbiamo essere grati ad essi perché, nel bene e nel male, hanno fatto di noi degli uomini e delle donne più veri, più maturi, più consapevoli.
O, almeno, ce ne hanno fornito l’occasione: e, se non abbiamo saputo coglierla, la colpa non è stata loro, ma solo e unicamente nostra."
In definitiva, dunque, tu ritieni che un grande amore, per colui che lo ha vissuto con intensità e con sincerità, è divenuto una parte fondamentale della sua vita, della sua anima; e che da esse non potrà mai venir scacciato, anche se è stato interrotto da un contrasto, da una partenza - o dalla stessa morte.
Ebbene, se le cose stessero così, allora vorrebbe dire che noi siamo prigionieri del nostro passato; che gli atti della nostra vita sono inestinguibili, ed inestinguibili le loro conseguenze; che noi, dunque, saremmo degli eterni debitori insolventi, perseguitati da un creditori inflessibile e, al tempo stesso, inafferrabile: perché quel creditore è il nostro stesso io.
Allora io ti domando, caro amico: se ho amato qualcuno con sincerità, con trasporto, con dedizione assoluta, ma poi ho scoperto che quella persona non era affatto degna del mio amore, anzi, che non era degna neppure della mia stima; e, pertanto, smetto di amarla (indipendentemente dal fatto che lei mi abbia lasciato per prima, o che sia stata io a farlo): ebbene, dovrò portarmi dietro il peso morto di quell'amore, che è stato solo un grave errore, per tutta la vita?
Dovrò essere perseguitata dalla sua presenza fino all'ultimo giorno di vita; dovrò convivere con quell'ingombrante, inutile fardello, che nulla mi ha dato e nulla mi ha insegnato, se non amarezza e delusione, e il senso di una offesa al mio senso della lealtà e della giustizia?
Perché dici che amare è amare per sempre, e che nessuna esperienza della nostra vita uscirà mai più da essa, al puto che noi siamo fatti dall'insieme di tutte le nostre esperienze? Non è forse più giusto voltare pagina, dimenticare, cancellare - nella misura del possibile - i nostri errori, gli eventi inutilmente dolorosi, gli inganni di cui siamo stati vittime?
L'idea di dover considerare quelle tristi esperienze come compagne di viaggio definitive della mia vita; peggio, di doverle considerare come parte della mia carne e del mio sangue, dell'essenza della mia anima, mi riempie di disgusto e di spavento.
No: le voglio dimenticare. Quando ho amato qualcuno che era indegno del mio amore, sono stata ingannata; e, una volta compreso l'inganno, mi sembra sia cosa giusta e naturale rinnegare quel sentimento, frutto, appunto, di un inganno, e perciò non veramente libero.
Tu, invece, sembri voler pretendere dagli esseri umani una fedeltà a oltranza a tutti i sentimenti del loro passato; e, per rincarare la dose, sostieni che se noi non abbiamo saputo profittare degli incontri della nostra vita per crescere spiritualmente e affettivamente, la colpa è solo e unicamente nostra.
Non ti sembra di esagerare?»

Cara Sabina,
io non voglio convincerti della bontà e verità delle mie idee, né su questo particolare argomento, né su alcun altro. Vorrei, però, esser certo che ci siamo capiti bene: che tu, cioè, abbia compreso esattamente quel che volevo dire, e che io mi sia spiegato con tutta la necessaria chiarezza.
Sì, è vero: ho sostenuto, e lo ribadisco, che quando si ama davvero, si ama per sempre; e che quell'amore costituisce una esperienza fondamentale della nostra vita, che rimarrà inseparabilmente con noi fino al termine di essa, non come semplice ricordo, ma come viva presenza e come sostanza costitutiva della nostra stessa anima.
Tu mi obietti: «Sì, ma quando si ama, talvolta ci si inganna sull'oggetto del proprio amore. Si offre il proprio amore anche a delle persone che non ne sono indegne, o meglio: che, in un secondo momento, si scopre essere sempre state tali.»
Oppure che lo sono diventate?
Permettimi, carissima, di dubitare di un cambiamento così radicale nell'essenza di una data persona: se ieri era degna di essere profondamente amata, vuol dire che possedeva virtù non comuni; e una persona del genere non può diventare indegna da un giorno all'altro. Dunque, è molto più logico ammettere che l'inganno sia avvenuto fin dall'inizio.
Ora, stai tranquilla, intendo risparmiarti una sterile diatriba circa la possibilità che si sia trattato di un inganno deliberato da parte dell'altro, il quale avrebbe voluto farci credere di essere quel che non era (e cioè nobile, e perciò degno di amore; e non ignobile, come invece lo era); oppure che si sia trattato di un inganno dovuto alla nostra precipitazione, alla nostra passionalità, alla nostra - bisogna pur dirlo - imprudenza: nel qual caso sarebbe stato, propriamente, più che un inganno deliberato da parte dell'altro, un nostro auto-inganno.
Intendo risparmiartela, perché è chiaro che, quando si ama, non si è mai del tutto lucidi e razionali; e, anche se sarebbe eccessivo affermare che un amore, quanto più è grande e profondo, tanto più è anche - almeno tendenzialmente - cieco, pure non si può negare che la razionalità abbia poco a che fare con l'innamoramento, come è quasi universalmente ammesso.
A questo punto, bisognerebbe distinguere anche tra innamoramento e amore; ma preferisco sorvolare anche su tale distinzione, limitandomi a ricordare la semplice verità che, se l'innamoramento si manifesta essenzialmente come una passione violenta e quasi del tutto a-razionale, nell'amore, come sentimento consolidato nel tempo, la dimensione della razionalità comincia, invece, ad emergere e a svolgere un ruolo anch'essa, accanto a quella puramente emozionale ed affettiva.
Dunque, non dirò che la persona che, in amore, a un certo punto si sente ingannata, o ha voluto ingannarsi ed essere ingannata, oppure ha confuso l'innamoramento con l'amore: perché una tale distinzione, semplice e chiara sul piano teorico, nella pratica diventa estremamente ardua, in quanto sappiamo tutti, per esperienza, quanto sia difficile evitare che entrino in gioco elementi di auto-inganno e persino pulsioni inconsce di tipo masochista; così come sappiamo che è impossibile stabilire una netta linea divisoria fra innamoramento e amore, o, quand'anche fosse possibile tracciarla, neppure nell'amore più consolidato potrebbero scomparire elementi tali da fare velo irrimediabilmente alla lucidità e al senso critico.
Dico, invece, che nel momento in cui si ama davvero, si compie la vocazione più bella e più nobile della propria natura: e che, pertanto, ogni vero amore è sempre una cosa nobile e bella, che entra per sempre a far parte di noi, qualunque cosa accada in seguito, e della quale dobbiamo andare fieri e sentircene eternamente riconoscenti.
«Ma quell'amore era una menzogna, perché si basava sull'inganno!», protesti tu.
No, Sabina: non confondere l'amore con l'oggetto sul quale noi lo riversiamo. Certo che noi possiamo amare, disgraziatamente, un oggetto indegno; ma il sentimento dell'amore in sé, la nostra dedizione e il nostro trasporto verso quell'oggetto - non l'oggetto stesso - sono la parte immortale che resterà con noi per sempre, e per merito della quale potremo dire di non essere vissuti invano. Perché una vita senza amore, è una vita inutile.
Di solito si tende a identificare l'amore con l'oggetto cui si rivolge, per un comprensibile errore di prospettiva: viste da una certa distanza, le due cose sembrano, in effetti, coincidere. Ma non è vero. L'amore è sempre bello, perché generoso, assoluto, incapace di astuzie: la più alta manifestazione dello spirito umano. L'oggetto cui si rivolge, viceversa, può anche rivelarsi meschino e spregevole. Una tale scoperta - però - per quanto traumatica, non diminuisce neppure di uno iota la magnificenza del sentimento amoroso che è stato vissuto.
A questo punto, è chiaro che bisogna rivedere la comune definizione del concetto di amore: perché solo al vero amore si applica quanto ho appena detto; mentre in genere, e specialmente oggi, si osa chiamare «amore» anche ciò che è lontanissimo da un tale sentimento. Il vero amore è una faccenda seria, per persone autentiche, che sanno guardarsi dentro e incapaci di barare con sé stesse o con il prossimo; e non è semplicemente attrazione e desiderio, ma gioia e speranza di vedere realizzata la felicità e la pienezza dell'altro.
Perciò, Sabina, se tu hai amato veramente qualcuno, e poi hai scoperto di aver amato un mascalzone, certamente proverai rammarico per aver sprecato un così grande dono con colui che non lo meritava; ma del fatto di esserti offerta all'amore, di esserti messa in gioco fino in fondo, di esserti fatta piccola per la felicità dell'altro: di questo no, non ti devi rammaricare; anzi, devi esserne fiera e andarne a testa alta.
Del resto, se proprio vuoi che ti dica fino in fondo il mio pensiero, io credo che noi non siamo affatto i padroni dell'amore: né di quello che doniamo, né di quello che riceviamo. Siamo soltanto il tramite di cui si serve l'Amore assoluto per effondersi in ogni angolo dello spazio e del tempo; e, sovente, siamo un tramite mediocre, inadeguato, estremamente imperfetto.
Ad ogni modo, sia quando riusciamo a renderci quasi trasparenti come cristalli davanti all'amore, sia quando lo offriamo o lo riceviamo in un torbido recipiente, pieno di scorie e di impurità, noi non siamo i suoi padroni e signori: non abbiamo il potere di crearlo, né quello di distruggerlo. Quando lo doniamo, esso non viene da noi, ma, a nostra volta, lo abbiamo ricevuto dall'alto, da una sorgente pura e inesauribile; e quando lo accogliamo, non lo riceviamo solamente da un altro io, ma lo riceviamo, ancora e sempre, per tramite di quel tu, dalla sorgente limpidissima e inesauribile dell'Essere.
Tutto ciò che esiste emana dall'Essere, emana dall'Amore; e, senza l'Essere, nulla di ciò che esiste esisterebbe, neppure l'amore umano.
Noi, pertanto, abbiamo due possibilità: o farci tramite di questa forza immensa, che tutto pervade e trasfigura, distribuendo ciò che, a nostra volta, ci viene incessantemente donato; oppure, chiudere il pugno e tenere per noi, con avarizia, ciò che non ci appartiene, comportandoci come dei ladri e degli impostori.
Dei ladri, perché è come se rubassimo ciò che è destinato a circolare senza restrizioni e senza limiti; degli impostori, perché è come se volessimo far credere di essere noi i padroni di quel tesoro, mentre ne siamo solo gli amministratori.
Capisci, dunque, che pentirsi e - magari - vergognarsi di avere amato, è cosa piccola e meschina; chi vi indulge, dimostra con ciò solo di non essere all'altezza dell'amore e, pertanto, di non essere in diritto di lamentarsi e dichiararsi raggirato: ha avuto solo quello che meritava.