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Evento. Heidegger, Heisenberg e l’Ereignis

di Andrea Brocchieri* - 29/04/2009

Lo scopo di questo contributo è di dare un’idea della nozione di “evento” dal punto di vista della filosofia. L’autore del contributo è stato chiamato perché da qualche anno cerca di capire il pensiero di Martin Heidegger (1889-1976): quindi si parlerà dell’evento secondo Heidegger. Questa scelta è giustificata dal fatto che a partire all’incirca dal 1936 la parola “evento” (Ereignis) è divenuta la “parola-guida” della ricerca filosofica di Heidegger.

Tuttavia non è conveniente “spiegare” l’evento nell’accezione heideggeriana, dicendo “che cosa” esso sia e da quale genesi storico-culturale provenga questo concetto. Questo modo di procedere non sarebbe conforme né allo stile di pensiero di Heidegger né, probabilmente, alla “cosa stessa” che la parola “evento” indica. Perciò si seguirà un’altra strada, quella di far vedere l’evento nel suo accadere, quella di mostrare il fenomeno dell’evento.

(Diverse tematiche, che nella relazione saranno solo accennate, potranno divenire oggetto della discussione finale, per es.: il confronto fra la nozione heideggeriana di evento e quella di altre posizioni filosofiche del ’900, l’evento di Heidegger e la “rivoluzione” nazista, i concetti di “fenomeno” e di “mondo”, il rapporto tra storia storiografica e “storia dell’essere”).

Si prendono le mosse da un evento piccolo e concreto: nell’autunno del 1935 Heidegger incontrò Heisenberg e Viktor von Weizsäcker nella sua piccola e famosa “baita” nella Foresta Nera; il colloquio durò alcuni giorni e di lì iniziò la storia di un lungo rapporto tra Heidegger e Heisenberg, tra un’esperienza del pensiero e un’esperienza della fisica. Entrambi morirono nel 1976, trent’anni fa. Noi seguiremo l’interpretazione di Carl Friedrich von Weizsäcker (nipote di Viktor, collaboratore di Heisenberg e che, in seguito, fu molto vicino ad Heidegger). Secondo Weizsäcker c’era una speciale consonanza tra la “meccanica quantistica” di Heisenberg e l’ontologia post-metafisica e fenomenologica di Heidegger.

Tre anni dopo, nel 1938, Heidegger tenne a Friburgo, nella cui università insegnava, una conferenza dal titolo Die Zeit des Weltbildes. In questa conferenza Heidegger parlava principalmente della scienza moderna, comprendendovi anche la fisica quantistica come suo caso estremo, come un caso “al limite”. Il titolo della conferenza potrebbe essere inteso così: l’epoca moderna è l’epoca in cui il mondo è la sua configurazione matematica, cioè in cui il mondo è configurato in maniera tale da essere completamente calcolabile e quindi prevedibile e quindi gestibile.

Perché la fisica quantistica sarebbe un “caso limite” della scienza moderna? Perché sembra che da un lato Heisenberg, nel tentativo di determinare fino in fondo il comportamento delle “particelle” subatomiche, giunga a constatarne l’“incalcolabilità” (indeterminazione); mentre dall’altro questa situazione di “incertezza” (che coinvolge anche il concetto stesso di “particella”) fa toccare sperimentalmente i limiti del progetto di una configurazione esatta, quantitativa del mondo.

Nella conferenza che citavamo Heidegger allude a questo fenomeno dell’indeterminazione quantistica ma lo inserisce anche in un fenomeno più ampio, che interpreta come un segnale del passaggio dell’età moderna al suo stadio finale. Questo fenomeno è il “gigantismo”, cioè il manifestarsi del mito della calcolabilità nella sua rappresentazione tramite l’innumerevole (es. i raduni di massa del nazismo, oggi le scenografie realizzate al computer, in genere i “grandi numeri”, l’infinitamente piccolo o grande, il “sempre più veloce”). Però nella fisica quantistica – e solo in essa, non per es. nella relatività – la tensione alla compiuta calcolabilità si tramuta nell’esperienza dell’incalcolabilità come fattore di crisi, come “incertezza” (secondo l’espressione originaria di Heisenberg). Essa “toglie il velo” all’innumerevole e lo svela come indeterminazione. Questa incertezza non riguarda solo le misurazioni, ma anche lo “stato di cose” da misurare, e la natura di ciò che viene osservato, e anche il confine tra osservatore e osservato.

Heidegger non interpreta questo evento, cioè questa crisi della fisica moderna, come una “svolta epocale” ma come una rottura dell’ordine del tempo. Perciò “evento”, per Heidegger, non significa “avvenimento che produce una svolta o un’accelerazione della storia”, lungo il tempo. (Per questo Heidegger non era sensibile alla “rivoluzione” nazista, piuttosto al suo poter essere una frattura dello scorrere del tempo). Come funzioni questa frattura dell’ordine del tempo lo possiamo vedere con un esempio.

Abbiamo detto che nella fisica quantistica entra in crisi il rapporto osservatore-osservato: il confine tra soggetto e oggetto diviene “incerto”. Heidegger da parte sua è un esponente (certamente originale) della fenomenologia, un orientamento filosofico iniziato da Edmund Husserl (1859-1938). Il fenomeno della fenomenologia è appunto “ciò che appare”, che appare tramite “io” ma non è né “io” né “cosa”, “realtà esterna”, “sostanza”; non è né soggetto né oggetto. Dal punto di vista di Heidegger il mondo è interamente “fenomeno” e “noi” esistiamo solo come relazione a questo mondo; come dire: noi non siamo altro che quel punto prospettico che possiamo ricavare solamente dalla prospettiva in cui il mondo si presenta, con cui “appare”.

La consonanza intravista da Weizsäcker tra Heisenberg e Heidegger sta appunto, essenzialmente, in questo: la fisica si trova di fronte all’incertezza di ruoli tra soggetto e oggetto, la fenomenologia di Heidegger comprende questa incertezza non semplicemente come situazione critica (in cui crollano antiche certezze) ma come recupero dell’esperienza del fenomeno. È come se la fisica chiamasse e la fenomenologia rispondesse; però questa è una possibilità ancora aperta, perché di fatto chiamata e risposta non si sono incontrate effettivamente (al di là di Heidegger e Heisenberg). Se questo incontro dovesse accadere, allora succederebbe come quando due persone inaspettatamente s’incontrano e si dice che “si sono trovati”: ma non è che prima si cercassero, infatti non si conoscevano. È l’evento dell’incontro che consiste in un “ritrovarsi”. Contemporaneamente ciascuno dei due trova se stesso nell’incontro con l’altro. Questo è un primo risultato: evento, Er-eignis come “giungere al proprio” (essere), tramite un incontro.

Ma nel momento in cui si rimettono in gioco la parola e l’esperienza del mondo come fenomeno nell’incontro possibile tra fisica e fenomenologia, ecco che siamo improvvisamente rimandati indietro di 2.500 anni, sino a Parmenide (VI-V sec. a.C.), il pensatore che – prima dell’inizio del pensiero metafisico (che pensa sostanze, soggetti e oggetti) – diceva: «essere e pensiero sono lo stesso», in che cosa? – nel fenomeno!

C’è dunque un’ulteriore entrare in risonanza: non solo tra fisica quantistica e fenomenologia ma anche tra queste due e il pensiero pre-metafisico di Parmenide. Questa risonanza è al tempo stesso un’interferenza: siamo certi di non “interpretare” a modo nostro Parmenide, in maniera “anacronistica”? e siamo proprio certi di non essere davvero ritornati a Parmenide, dopo tutti questi secoli di pensiero e scienza? dove ci troviamo rispetto a Parmenide: qui o lì? oppure, come oggetti quantistici, siamo qui/lì?

L’evento (Ereignis), come lo pensa Heidegger, è proprio questa interferenza che produce una situazione anacronistica: il tempo è invertito, andando avanti ci troviamo indietro. Ma in questo “trovarci” con Parmenide forse possiamo “trovare noi stessi” riscoprendoci al bivio in cui – senza saperlo! – si trovò Parmenide.

Il bivio tra una volontà di dominio del mondo che passa attraverso la sua calcolabilità totale e un atteggiamento di rispetto di fronte al fenomeno del mondo, il bivio tra la volontà di potere e il senso del sacro. Il bivio da cui un’altra storia potrebbe incominciare.

BIBLIOGRAFIA MINIMA
Per introdursi alla fenomenologia di Heidegger una buona e sintetica introduzione è quella di Vincenzo Costa, Esperire e parlare. Interpretazione di Heidegger, Jaca Book 2006 (il testo offre anche un orientamento sulla nozione di “mondo” e sulla differenza uomo/animale).

Sul fenomeno del mondo in Heidegger si possono inoltre leggere i §§ 12-13 di Essere e tempo (trad. di Pietro Chiodi, nuova ed. a c. di F. Volpi, Longanesi 2005; cfr. ora anche la nuovissima e migliore trad. di Alfredo Marini, Mondadori 2006, con testo a fronte); vedi anche e soprattutto il corso del 1929-30 Concetti fondamentali della metafisica (il melangolo 1999, in partic. i §§ 42-76) e il libretto di Giorgio Agamben, L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri 2002.

I testi di Heidegger sull’Ereignis purtroppo non sono ancora tradotti in italiano (e non sono nemmeno tutti editi in tedesco). Se ne può avere qualche idea parziale dalle quattro conferenze di Brema del 1949 (Sguardo in ciò che è, in Conferenze di Brema e Friburgo, a c. di F. Volpi e G. Gurisatti, Adelphi 2002, pp. 17-108) e dalla conferenza del 1962 su Tempo e essere (in Tempo e essere, a c. di E. Mazzarella, Guida 19982, pp. 103-134). Un orientamento complessivo in Sandro Gorgone, Il tempo che viene. Martin Heidegger dal kairós all’Ereignis, Guida 2005.

La conferenza del 1938 Die Zeit des Weltbildes è tradotta col titolo L’epoca dell’immagine del mondo in Sentieri interrotti a c. di Pietro Chiodi, ma è da preferire la più recente traduzione di Vincenzo Cicero: Holzwege. Sentieri erranti nella selva, Bompiani 2002, pp. 91-136. Altre due conferenze (del 1953) sulla scienza moderna si trovano in Saggi e discorsi, a c. di G. Vattimo, Mursia 1976: La questione della tecnica, pp. 5-27 e Scienza e meditazione, pp. 28-44. (Nella stessa raccolta cfr. anche, su Parmenide, il saggio Moira, pp. 158-175).

Per quanto riguarda il lato della fisica quantistica segnalo: di Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, il Saggiatore 2003 e Lo sfondo filosofico della fisica moderna, a c. di G. Gembillo e E.A. Giannetto, Sellerio 1999; di Carl Friedrich von Weizsäcker, L’immagine fisica del mondo, Fratelli Fabbri 1967. Stimolante è stato Anton Zeilinger, Il velo di Einstein, Einaudi 2005.



*Dipartimento di Filosofia, Storia e Beni culturali dell’Università di Trento