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Il giro del mondo in... 100 giorni

di Gianfranco La Grassa (a cura di) - 02/05/2009

Personalmente, non mi interessano i motivi per cui vengono sviluppate esatte critiche ad Obama da certi ambienti, oggi detti “di destra” secondo lo schema divisorio che fa ancora tanto comodo in questa bolsa e falsa contrapposizione politica esistente nel mondo “occidentale”; solo al fine di fingere che ci sia “democrazia” mentre la vera politica la fanno solo gli Usa e i regimi sedicenti “dittatoriali” come quello russo o cinese, ecc. Qui da noi, c’è solo una malata continua campagna di odi personali, di calunnie, di sputtanamento di cattivo gusto, ecc. Nessun discorso minimamente politico. Può essere quindi che qualcuno abbia in antipatia Obama; tuttavia, i fatti qui sotto riportati non sono semplici opinioni. Si provi a confutarli se si crede che ciò sia possibile. Tutto ormai conferma la prima impressione (almeno mia). Obama è uno dei più grossi “equivoci”, una menzogna creata ad arte per nascondere quello che è semplice cambio di tattica onde ottenere gli stessi fini voluti dagli Usa dalla fine della seconda guerra mondiale. Ricordiamo un altro “santino” creato all’uopo: Kennedy. Stesso uomo aggressivo, espressione degli ambienti a maggior vocazione imperiale, ma fatto passare per animato da volontà di pace solo perché intendeva sfruttare la prima involuzione (kruscioviana) dell’Urss, che lasciava ben sperare in un indebolimento di tale paese, speranza in effetti ben riposta come fu dimostrato dal prosieguo degli avvenimenti. Solo che allora era forse ancora presto per una tattica simile; e l’eliminazione dell’uomo ne fu una conseguenza. Darei per sicuro che oggi non accadrà la stessa cosa, i tempi sono cambiati e maturi per queste nuove “rappresentazioni teatrali”, atte a preparare l’“uomo occidentale” contro il “pericolo orientale”, condito con quello “islamico”. Che buffoni!

 

 

I PRIMI 100 GIORNI: QUELLO CHE NON VI DICONO DI OBAMA

 

Oggi Obama darà un ordine: «Sparate». Laggiù, in Afghanistan, riceveranno ed eseguiranno. Silenzio, però. Non ci sarà una riga,non ci sarà uno speciale tv. C’è un Obama che nonc’è: meglio non vederlo, meglio non parlarne. Cento giorni, oggi. L’America festeggia e ilmondo pure. Festeggiano la rivoluzione a metà, spacciata per completa. L’Obama invisibile è quello scomodo perché assomiglia a Bush. Perché la guerra in Afghanistan c’è e si combatte ogni giorno, perché si bombardano gli obiettivi sul confine col Pakistan, a volte si sconfina pure. Di tutto questo non c’è traccia. Sappiamo che la nuova amministrazione spinge sulle energie pulite, lotta contro la crisi economica, cerca di cancellare le storture del sistema finanziario, combatte contro i privilegi mostruosi dei supermanager, cerca contatti pacifici con i vecchi nemici. La rivoluzione, quindi.

L’Obama che ogni giorno viene raccontato è parziale. L’altro lavora nell’oscurità, quando i media spengono le luci perché non vogliono vedere. La mano tesa all’Iran è una storica apertura, poi però nessuno racconta la fase successiva: «Non permetteremo mai che Teheran diventi così forte da essere una minaccia».Cioè la stessa cosa che pensavano e pensano Bush e Cheney detta un po’ più alla sofisticata. Però il pragmatismo è lo stesso, anzi è di più: Obama offre l’opportunità di fermare l’operazione nucleare dell’Iran, sapendo che l’opzione militare c’è e ci sarà, esattamente come c’era per Bush. Confermare Robert Gates al Pentagono vale più di mille discorsi. Poi Obama lo dice anche, ma è come se ci fosse una manica di sordi ad ascoltare.

L’udito selettivo cancella le frasi politicamente scorrette come questa detta poco più di un mese fa: «Questa nazione manterrà il suo dominio militare. Avremo le più potenti forze armate della storia del mondo. E faremo tutto il necessario per sostenere il nostro vantaggio tecnologico, per proteggere i nostri interessi e per sconfiggere e dissuadere qualsiasi nemico». Guerra, allora. Guerra possibile, guerra fattibile. Perché l’America non è cambiata. L’America è l’America. Obama è americano come Bush. Sì, ha ceduto alla pressione dei liberal del suo partito che vogliono svergognare George W. sulle torture della Cia pubblicando le foto degli interrogatori. Il mondo sa questo, ma non sa che Obama ha garantito agli autori di quelle stesse torture l’immunità: non li indagherà, non li condannerà. Quindi li tratterà come li avrebbe trattati Bush. Poi ci sono i penitenziari speciali: Barack ha detto che chiuderà Guantanamo, però ha taciuto su Bagram, il carcere speciale in Afghanistan molto simile alla prigione americana di Cuba.

L’America è in guerra col terrorismo e Obama lo deve ricordare ogni giorno. Il suo non pacifismo ha irritato alcuni dei suoi fan: dallo scrittore Jonathan Franzen, a Bob Dylan. Anche questo è meglio non dirlo a voce alta o scriverlo troppo in grande. «Assomiglia troppo a Bush», hanno detto tutti e due. Il che dimostra che i primi cento giorni del 2009, sono simili a quelli del 2004 o del 2007. Simile anche nelle gaffe: quella dell’Air Force One che sfiora i grattacieli di Manhattan, come ha scritto il Foglio, se l’avesse fatta Bush sarebbe diventata una barzelletta globale, con Obama è un errore trascurabile. Non è cambiata neanche Washington. I tre mesi e mezzo di Obama l’hanno lasciata così com’era, anzi forse l’hanno resa più imperialista di quanto fosse con i repubblicani.

Il fatto che oggi gli affari della finanza si facciano nella capitale e non a Wall Street è la prova. Poi, anche il trattamento riservato agli uomini della squadra è analogo a quello di George W. Tutti criticavano Cheney e Bush lo proteggeva. Ora tutti criticano Geithner e Obama lo protegge, nonostante anche lui abbia visto le agende piene di pranzi del suo ministro del Tesoro con i protagonisti del crac finanziario. Bush fu accusato di aver riempito Washington di texani, Obama l’ha riempita di chicaghiani. Bush fu accusato di essere schiavo dei signori del petrolio. Obama in questi cento giorni è dovuto scendere a patti con i ricchissimi e potenti secchioni di internet. A Washington comanda Google e non si trova traccia sui giornali solo perché è più figo farsi guidare dai giovani rampanti del web che da un signore con gli stivali e lo Stetson in testa. Cambia poco, però. Ed è questa la sua fortuna. Yes we can: Obama può farcela perché è americano, come i suoi predecessori. E perché gli assomiglia molto di più di quello che ci raccontano.

 

Giuseppe De Bellis su Il Giornale