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Febbre suina e sfruttamento degli animali

di Gabriele Bindi - 02/05/2009

La febbre suina si sviluppa in presenza di uno sfruttamento eccessivo degli animali da allevamento. Legambiente richiede di modificare i sistemi di allevamento intensivi e far applicare le leggi vigenti. Le associazioni di consumatori vogliono maggiori garanzie sulla tracciabilità dei prodotti alimentari.

"Per fermare la febbre suina che si sta diffondendo rapidamente nel mondo, per scongiurare il pericolo di nuove ondate di Sars o di altre epidemie di origine animale basterebbe modificare i sistemi di allevamento intensivi, ormai riconosciuti come causa scatenante delle pandemie ma ancora praticati senza limiti in tutto il pianeta". 

Lo afferma una nota di Legambiente che denuncia anche la "pericolosa pratica di immissione nelle diete alimentari degli animali di sottoprodotti industriali". "L’allevamento intensivo industriale prevede la produzione di carni e derivati animali attraverso un vero e proprio sistema di detenzione in edifici di cemento di migliaia di animali e la somministrazione forzata di cibo sottoforma di mangime, più spesso chimico che naturale" - spiega Francesco Ferrante, responsabile agricoltura di Legambiente.

Legambiente evidenzia che già negli anni ’90, la Comunità europea aveva tentato di porre dei rimedi a questo stato di cose con alcune direttive importanti, mirate alla mitigazione degli impatti sanitari e ambientali di questo modello di allevamento. "Ma la direttiva nitrati del 1991, come la successiva direttiva sul benessere animale o la messa la bando della gabbie per le galline ovaiole - ha sottolineato Ferrante - non hanno mai trovato applicazione effettiva negli Stati membri e in Italia addirittura non si riesce a imporre la necessaria regolamentazione sui nitrati che continuano a inquinare terreni e falde acquifere se non i prodotti alimentari veri e propri". "E’ pertanto urgente un radicale ripensamento del settore che metta al centro la qualità e l’equilibrio con la natura, in modo da poter avere prodotti buoni e sicuri per la salute" - conclude Ferrante.

"I suini sono sensibili sia ai virus influenzali umani sia a quelli aviari: mettiamoli in allevamenti intensivi e otteniamo le condizioni ideali per permettere ai virus di allenarsi, evolvendosi fino ad arrivare, mutazione dopo mutazione, al salto di specie tra animale e uomo" - ribadisce Enrico Moriconi, presidente dell'Asvep, l'associazione culturale veterinaria di salute pubblica. "Purtroppo la certificazione della catena alimentare, che permette di ridurre il rischio identificando gli stabilimenti di provenienza di ogni bistecca, finora è scattata solo per le carni bovini e avicole. Cioè solo dopo il rischio pandemia".

Le associazioni dei consumatori chiedono con urgenza una norma sulla tracciabilità delle carni di maiale. "Va assolutamente evitato l’effetto psicosi, che potrebbe danneggiare l’economia delle famiglie e delle imprese del settore - dichiara Carlo Pileri, presidente dell’Adoc - ma il problema non va sottovalutato. E' comunque urgente estendere la normativa sull'etichettatura e la tracciabilità anche alle carni di suino. Per gli insaccati, deve essere indicata la provenienza di tutte le carni utilizzate, non solo la sede di lavorazione. In Italia si importano prodotti provenienti da altri Paesi europei che non rispettano le severe norme di produzione vigenti nel nostro Paese. Prodotti per cui, ad oggi, non è garantita né la tracciabilità né l'etichettatura". 

Fonte: Dirittiglobali.it