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Il libro nero della Rivoluzione francese. Culla della moderna democrazia o feroce strage?

di Giovanni Sallusti - 04/05/2009

Fa discutere il volume sulla Francia giacobina. 


«Il governo rivoluzionario è debitore, nei confronti dei buoni cittadini, di tutto l’appoggio della nazione, mentre ai nemici del popolo deve nient’altro che la morte». Così Robespierre difese il Terrore il 25 dicembre 1793, davanti alla Convenzione nazionale. Cosa fu il Terrore: necessaria difesa della Repubblica o macchina di morte manovrata da una élite sanguinaria? Deviazione dai princìpi del 1789 che ispirarono la "Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino" o loro figlio legittimo? Un libro appena uscito in Francia riapre la discussione. "Le livre noir de la Révolution francaise" (Editions du Cerf, pp. 882, euro 44) richiama ovviamente quel "Libro nero del comunismo" che una decina d’anni fa fu accolto con fastidio dall’intellighenzia progressista europea. Non a caso uno dei 47 studiosi che ha dato vita a questa monumentale opera collettiva è Stéphan Courtois, curatore di quell’atto d’accusa al totalitarismo "rosso". Questa volta si tratta di rimettere in prospettiva il fenomeno storico, pressati da una domanda: perché una Rivoluzione che si pretendeva figlia dei Lumi e di Voltaire (quello che diceva «non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire») finì per celebrare le virtù della ghigliottina?

La dissuasione dei Vandeani

Per rispondere all’interrogativo, i contributi dei vari autori smontano pezzo per pezzo il puzzle costruito dalla mitologia républicaine. I massacri della Vandea, anzitutto. I contadini di questa regione insorsero, nel marzo 1793, contro la decisione della Convenzione di arruolare a forza 300 mila uomini da gettare nella guerra contro Austria e Prussia. Un rapporto della Convenzione diceva a chiare lettere che «non c’è alcun mezzo di riportare la calma in quella regione che facendone uscire quelli che non sono colpevoli, sterminandone il resto, e rimpiazzandolo con dei repubblicani che difenderanno il loro Paese». Perfino Bertrand Barère, il membro "ondeggiante" del Comitato di Salute pubblica, perde il suo proverbiale sangue freddo e intima: «Distruggete la Vandea!». Il generale in capo dell’Armata dell’Est, Turreau, conferma gelido: «La Vandea deve diventare un cimitero nazionale». Il giacobino Jean-Baptiste Carrier esplode quasi esasperato: «Che non ci si venga più a parlare di umanità verso questi feroci vandeani: devono essere tutti sterminati!». E sterminio fu.

Si portano in giro le teste mozzate

Jean Tulard, docente alla Sorbona e all’Istituto di Studi politici di Parigi, fra gli autori del "Livre noir", ha spiegato in un’intervista alla rivista AF2000: «Il Terrore è irriducibile agli "eccessi". Dal 14 luglio, quando la folla porta a spasso la testa di Launay (governatore della Bastiglia, ndr), ha il solo scopo di azzerare le resistenze. Quando si conducono i condannati dentro una carretta per chilometri prima di arrivare al patibolo, noi abbiamo già a che fare con un sistema terrorista». Anche gli annegamenti degli oppositori a Nantes (circa 3 mila persone), pianificati dallo stesso Carrier che inneggiava al macello in Vandea, furono "dissuasivi": «Quando i pescatori seduti sulle rive della Loira hanno visto passare i cadaveri a pelo d’acqua hanno dovuto temperare i loro sentimenti contro-rivoluzionari». C’è naturalmente la persecuzione contro la Chiesa. Migliaia di teste cadute all’interno del clero "refrattario", quello cioè che non aveva prestato il giuramento di fedeltà al documento di "Costituzione civile del clero" approvato dall’Assemblea Costituente nel 1790.

Le ceneri di Montesquieu

In parallelo, la furia rivoluzionaria si accanì anche contro il patrimonio artistico francese, colpevole di rinviare troppo all’Ancien Régime. A Parigi ne fecero le spese la chiesa des Bernardins, la biblioteca di Saint-Germaindes-Prés, le statue dei re sulla facciata di Notre Dame. Le ceneri di molti grandi uomini furono gettate nella Senna o nelle fogne. Anche quelle di Montesquieu, non a caso teorico dello Stato liberale basato sull’"equilibrio" dei poteri. Altro tasto su cui battono gli autori del "Livre noir": le analogie con i totalitarismi del Novecento, il nazismo ma soprattutto il comunismo di stampo sovietico. Sistematizzazione della politica del Terrore, omicidi delle famiglie regnanti, attacchi contro i religiosi, utilizzo della guerra per militarizzare e purgare la società, sacralizzazione della violenza. Tutte arti in cui i bolscevichi andranno oltre, ma fu Lenin a richiamare il precedente come esempio da superare: «La ghigliottina non era che uno spauracchio che spezzava la resistenza attiva. Questo non basta. Noi non dobbiamo solo spaventare i capitalisti, cioè far loro dimenticare l’idea di una resistenza attiva contro di esso. Noi dobbiamo spezzare anche la loro resistenza passiva». Dalla ghigliottina al Gulag. Ovvio che tesi del genere abbiano scatenato un polverone Oltralpe. Dove la retorica repubblicana è bipartisan. Anche Le Figaro, giornale della destra francese, ha stroncato le "Livre noir", chiedendosi: «Lo spirito totalitario non è morto. Bisogna prendersi il rischio di risvegliarne il cadavere rianimando un dibattito che era stato vinto (una volta tanto) dal campo liberale e chiarito?».

La risposta alle polemiche

Il radical-chic Le Nouvel Observateur ha invece attaccato frontalmente il libro, con lo sferzante titolo "Non, Danton n’est pas Hitler!" (No, Danton non è Hitler), pur ammettendo che c’è un fondo di verità. Alle critiche ha risposto tra gli altri lo storico Jean Sévillia, autore di uno dei contributi al testo: «L’iconografia ufficiale, quella dei manuali scolastici, quella della televisione, mostra gli avvenimenti del 1789 e degli anni seguenti come il momento fondatore della nostra società, cancellandone tutto ciò che vogliono occultare: il Terrore, la persecuzione religiosa, la dittatura di una minoranza, il vandalismo artistico». Da cui l’idea-base del "Livre noir": «Mostrare l’altra faccia della realtà e ricordare che c’è sempre stata un’opposizione alla Rivoluzione francese, ma senza tradire la Storia». La Storia, per inciso, dice che dal caos rivoluzionario scaturì il primo dittatore moderno, Napoleone Bonaparte.