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Dubai, un "non luogo" trasformato in attrazione turistica

di Vito Santoro - 07/05/2009

 
 
Ne "Il canto del diavolo" Walter Siti racconta quel pezzo di penisola araba dove regna la mistica del consumo ai suoi massimi livelli


Walter Siti ha riflettuto a lungo sulla tendenza - economica, sociale e antropologica - dell'intero Occidente a sostituire dio con la merce, in altre parole, a "comprarsi il paradiso in terra", attraverso un intenso lavorio sull'immagine, la sola a poter essere perfetta e, soprattutto, acquistabile. «Quanto più - si legge nel capolavoro Troppi paradisi , recentemente rieditato in edizione tascabile da Einaudi - l'economia contemporanea costringe gli uomini a vivere separati e quindi in debito di realtà, tanto più questa abnorme opera d'arte planetaria, mimetica, come nessuna ha potuto essere prima, restituisce ai suoi consumatori il sapore di una realtà più vera del vero, da cui mani esperte hanno abolito le sorprese incoerenti, stonate». Ciò ha determinato lo sviluppo di quello che lo scrittore ha definito "post-realtà", vale a dire di una realtà intermedia, né vera né falsa, in cui la rappresentazione ha sostituito le cose, riducendo la vita a simulacro. Si è affermata così, a suo dire, una vera e propria "artistizzazione di massa", irradiata principalmente dal mezzo televisivo. E' l'avveramento di quella estetizzazione collettiva sognata dai surrealisti, sia pure in una forma tutt'altro che eroica, in quanto degradata dalle regole del profitto. Non può essere altrimenti, visto che sono gli artisti e in particolar modo, gli "artisti realisti", tipici dell'arte occidentale, «gli specialisti dell'immagine come surrogato del vero».

Per questa ragione, non deve stupire che, invitato da Rizzoli a scrivere un travelogue per l'ottima collana "24Sette Stranger", Siti abbia scelto di recarsi negli Emirati Arabi e di raccontare il suo soggiorno - avvenuto nell'ottobre 2008, «quando la crisi economica era alle prime avvisaglie» - nel libro Il canto del diavolo (Rizzoli, Milano 2009, pp. 210, euro 16,50). Infatti, in questo ricchissimo lembo di terra situato nel Sud-Est della penisola araba, il progetto politico dell'Occidente, fondato su una vera e propria mistica del consumo, ha vissuto il suo momento di massimo trionfo. A Dubai, «dove tutta la città è periferia», i centri commerciali - osserva l'autore del Contagio - costituiscono l'«equivalente di quello che nella vecchia Europa sono le chiese e i musei». Queste strutture rappresentano il punto più alto del tessuto urbanistico: «mentre nei grandi magazzini otto-novecenteschi il luccichìo del contenitore era un pretesto per vendere la merce, ora la merce è un pretesto per convogliare i turisti verso le cattedrali della nuova bellezza standardizzata e pulsante di superficialità». Non solo. Guardando il Burj al-‘Arab, l'albergo dalla caratteristica forma di vela più alto e più lussuoso del mondo - sette stelle! Costo della suite imperiale: 18.000 dollari a notte - Siti nota come qui «i plastici sono esattamente identici alla loro realizzazione - sia per la perfezione con cui sono eseguiti, sia per un'impalpabile carenza nella realtà […] sarà la geometria troppo esatta, o i materiali sintetici, o una generale assenza di anima per eccesso di plagio».

In questo paese la pubblicità, pur pervasiva, non si fa ricorso a immagini di nudo - «la cosa più nuda sono le facce» - perché il Potere mira a favorire una piena libertà di mercato, facendo bene attenzione al fatto che questa non si accompagni ad una piena libertà di costumi. Del resto, uno dei maîtres-à-penser della megalopoli è Walt Disney, che negli ultimi anni della sua vita si distaccò, per così dire, da Cartoonia, per dedicarsi a visionari progetti edilizi, chiamandovi a lavorare grandi architetti per edificare "il paese più felice del mondo". Dubai City si presenta, infatti, come l'ideale continuazione di Disneyland, che era stato appunto il primo tentativo di trasformare un "non luogo" in un'attrazione turistica, o per meglio dire, neo-turistica, in quanto meta di un «turismo che va a visitare ciò che non esiste». Non a caso, la città è piena di cartelloni con frasi del papà di Topolino, tipo «if you can dream it, you can do it» o «it requires people to make the dream a reality». «E' a questo punto - scrive Siti riallacciandosi agli studi seminali di Ejzenstejn e di Benjamin - che Dumbo e Bambi, e Pippo e Clarabella e Zio Paperone, mostrano il loro lato oscuro: dove la beata fiducia nell'onnipotenza dell'estro diventa convinzione di possedere in proprio le chiavi della felicità universale; dove un crocevia di convivenze tende alla sordità asettica del plastico e del prototipo - come se il mondo, per essere felice, dovesse ridursi alla parodia di se stesso».

E' quello che l'autore definisce "Il lato oscuro di Walt Disney". Infatti, se l'alter ego di Siti in Troppi paradisi poteva dire «come l'Occidente, ho l'arroganza di comprare gli uomini», negli Emirati è l'Occidente stesso ad essere stato acquistato a buon mercato, come un prodotto qualsiasi pronto per l'uso, un vero e proprio «stereotipo da importazione».
Ma Il canto del diavolo non è solo un viaggio tra malls e alberghi scintillanti, tra le cattedrali del consumo. Quei luoghi Siti li ha frequentati nella prima settimana del suo soggiorno in compagnia dell'amato Massimo, dilapidando l'anticipo fornitogli dall'editore. Poi, accompagnato l'amico all'aeroporto, lo scrittore si aggira solo lungo le strade di Dubai, di Abu Dhabi e Fujiarah, strade gigantesche, che non prevedono l'esistenza di pedoni. Da questo momento inizia un reportage, per così dire, "dal basso", con lo scrittore pronto a registrare il "brusio" delle voci di quanti si aggirano nelle strade, nelle scuole, nei luoghi di lavoro delle metropoli emiratine. Tra queste voci, quelle di alcuni lavoratori immigrati, impegnati nei giganteschi cantieri, e quelle delle studentesse della Zayed University. Per queste ragazze «la poesia beduina è lontana come la luna» (sono state cresciute da tate inglesi e l'unico corso a impostazione letteraria che frequentano è quello di "Lingua e letteratura inglese") e tra passato e presente non esiste una correlazione ma una cesura netta.
Eppure, alla fine del viaggio a Siti viene quasi voglia di fare il tifo per questa terra, emblema di una "devastazione", figlia di una natura umana sempre tesa verso «forme semplici e non strutturate di desiderio». Per lui, la cultura della borghesia occidentale ha ormai miseramente fallito, così non resta che abbandonarsi alla «allucinazione di un dopo storia in cui la differenza tra paradiso e inferno sarà azzerata sull'atlante del piacere».