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Per una storia dell’escatologia cristiana

di Lawrence Sudbury - 11/05/2009

La predicazione e il ministero di Gesù Nazareno e le attività dei suoi seguaci lungo tutto il corso del I secolo possono essere adeguatamente comprese solo e unicamente nel contesto delle credenze escatologiche ebraiche coeve[1]. Sebbene la precisa natura di quanto  Gesù pensasse riguardo a se stesso e alla natura del suo compito “messianico” sia ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi biblici[2], sussistono ben pochi dubbi che già molti dei suoi seguaci lo vedessero come “l’unto di Dio” (cioè, dal greco, “il Cristo”) e il figlio di Davide che doveva venire. Ciò è evidente già dalla pretesa dei racconti evangelici di far risalire i progenitori di Gesù  a Davide, in un chiaro tentativo di legittimazione del suo status messianico. Secondo il Vangelo di Luca[3], poi, il suo messianismo era stato addirittura proclamato dagli angeli alla sua nascita. In realtà, però, Gesù sembra aver rigettato il termine “messia” per se stesso a causa delle possibili implicazioni politiche in esso contenute, in favore di altri titoli di matrice escatologica (ad esempio “Figlio dell’Uomo”), ma, in ogni caso, le prime comunità dei suoi seguaci, credendo nella sua Resurrezione dopo la crocifissione, videro in tale termine quello che meglio si adattava ad esprimere il ruolo e la funzione che esse attribuivano al loro Signore (nel senso greco di “Kyrios“) e, ben presto, nella forma “Gesù Cristo” l’idea di Messia venne associata al nome proprio di Gesù così strettamente da divenirne sinonimo e i credenti iniziarono a definire “Cristo” la loro visione di Gesù risorto[4].

Con l’adozione della parola greca “Cristo”  da parte della chiesa dei “gentili” (cioè di tutti coloro che non erano ebrei), le implicazioni politiche e nazionalistiche del termine “Messia” andarono via via svanendo e, all’interno della Cristianità, i motivi del “Figlio di Davide” e del “Figlio dell’Uomo”, insieme alla ripresa del concetto di “Servo sofferente”, tratto da Isaia[5], si omogeneizzarono in una concezione messianica politicamente apparentemente neutrale e religiosamente completamente originale[6]. In seguito, la dottrina della messianicità di Gesù dovette anche tener conto di altri elementi del dogma cristiano in evoluzione (il Messia come Figlio di Dio, la Trinità, l’Incarnazione del Verbo) arrivando alla statuizione che Gesù, come Messia, Salvatore e Redentore fosse di natura essenzialmente divina. Con il tempo, così, il concetto di salvezza venne radicalmente spiritualizzato e il Messia, con la sua morte sacrificale, venne visto come colui che aveva liberato l’uomo dal giogo del peccato e lo aveva riportato in comunione con Dio[7].

Richard Valantasis, Il Vangelo di Tommaso. Versione copta integrale commentataSi poneva, a questo punto, il problema di un nuovo status umano che, però, perdurava in una situazione che non mostrava sostanziali cambiamenti rispetto a quella dell’ “uomo vecchio” e, per uscire dall’empasse, i Cristiani dovettero formulare la teoria di un ordine mondiale che, provvisoriamente, dovesse continuare come era sempre stato fino al momento della “Seconda Venuta” (la “Parousia“) di Cristo, questa volta sotto la forma di glorioso Signore dell’universo, per giudicare i vivi e i morti[8].

I primi Cristiani erano convinti che la Seconda Venuta  fosse imminente, ma, con il trascorrere del tempo, questa particolare aspettativa iniziò a spostarsi verso orizzonti escatologici meno immediati.

Già nei secoli immediatamente successivi alla stesura del Libro di Daniele, la visione di un’apocalissi mondiale aveva abbondantemente influenzato la cultura ebraica: di conseguenza, il pubblico a cui Gesù si era rivolto era aduso ad essa e non presentò grandi problemi ai proto-Cristiani inglobare una tale visione anche nel loro credo. Così, l’apostolo Paolo esprime con una certa frequenza aspettative apocalittiche[9] e il Vangelo di Marco[10], nel passaggio conosciuto come “la piccola apocalisse”, riflette abbondantemente tali aspettative ben presenti nella Chiesa romana del 79 d.C. circa.

Il fatto è che la Chiesa Cristiana del I secolo doveva fronteggiare un problema di difficile risoluzione: Gesù aveva promesso l’inaugurazione di una nuova era, quella del Regno di Dio, ma nulla era realmente cambiato, a parte il fatto che i credenti stavano soffrendo dure persecuzioni per la loro fede ed era, quindi una assoluta necessità quella di parlare di una “Seconda Venuta” o l’intera costruzione della neonata congregazione sarebbe caduta[11].

Ciò che, in questo senso, è più interessante è che l’Apocalisse di Giovanni, esattamente come il Libro di Daniele qualche secolo prima, sia stata scritta durante un periodo di persecuzioni. L’opinione più comune, infatti, la pone verso l’ultima decade del I secolo e non sembra per nulla strano che essa rifletta le persecuzioni subite a partire dall’imperium di Nerone (37-68 d.C.), l’imperatore che, molto probabilmente viene ritratto in questo testo esoterico e para-profetico come l’Anticristo[12], la Bestia il cui numero simbolico è 666[13].

Altri elementi in tal senso possono essere desunti anche solo da una rapida rilettura del testo evangelico: dopo avere indirizzato lettere molto mirate alle sette chiese dell’Asia Minore, l’autore dipinge la sua visione di una serie di giudizi morali finali e inappellabili (il Sette Sigilli aperti[14], le Sette Trombe suonate[15], le Sette Coppe versate[16]) e poi dirige i suoi attacchi contro l’Impero Romano, riferendosi ad esso con il termine criptico di Babilonia o come la Grande Meretrice[17]. Cristo diventa, allora, l’esecutore del giudizio divino, apparendo non come l’uomo Gesù ma come un re onnipotente che cavalca su un cavallo bianco, con occhi come fiamme e una bocca come una spada affilata “con la quale percuotere le nazioni[18].

I vangeli gnostici. Vangeli di Tomaso, Maria, Verità, FilippoInsomma, nell’Apocalisse l’assimilazione dell’apocalittismo ebraico all’interno del Cristianesimo diventa complete: il “Figlio dell’Uomo” di Daniele viene rimpiazzato da Cristo, molte delle formule numerologico-ghematriache vetero-testamentarie vengono riprese e l’universo dualistico di bene e male, Cristo e Anticristo, viene arricchito con una serie di caratteri estremamente impressionanti, ma che poco o nulla aggiungono all’assunto di base. In buona sostanza, infatti, l’essenza apocalittica del testo rimane la stessa già presente in Daniele: l’aiuto diretto di Dio potrà giungere da un momento all’altro e attuerà un rovesciamento completo delle terribili condizioni che i credenti stanno vivendo, riportando l’intero universo ad uno stato edenico, punendo giustamente i sopraffattori ed esaltando coloro che vengono sopraffatti e giacciono nel bisogno per la loro fede[19].

Durante i primi cento anni della storia Cristiana, questa forma di milleniarismo, o “Chialismo” (dal termine Greco che indica il numero “1000″) era patrimonio comune della Chiesa ed era comunemente accettata da tutti[20]. Le persecuzioni contro i Cristiani erano comunque intermittenti e lo zelo apocalittico era strettamente correlate alla pressione oppositoria delle autorità. Nel frattempo, i missionari cristiani stavano, però, riuscendo convertire un sempre maggior numero di cittadini romani e, poco per volta, una buona parte dell’antagonismo contro l’Impero si andò perdendo e, con esso, anche il senso stesso di una apocalisse imminente[21].

Inoltre, la capacità di presa psicologica del millenarismo perse mordente a causa della sua stretta associazione con l’eresia montanista: sulla linea del pensiero apocalittico classico, infatti, Montano, il fondatore della setta eretica, indirizzò il suo pensiero verso l’idea di dividere il passato e il futuro in “unità di calcolo profetico” e, nel 156 d.C., secondo quanto narra Epifanio[22], apologeta cristiano antieretico del IV secolo, si dichiarò “profeta del III Testamento” e anticipatore di una nuova era dello Spirito Santo. La Frigia, in Asia Minore, divenne il centro di questo movimento estatico e ascetico, i cui leader rivendicavano una ispirazione divina per le loro visioni e dichiarazioni, quasi tutte incentrate sul tema di una imminente Seconda Venuta di Cristo.

 

E’ interessante notare come questo concetto di una “Terza Era”, di un nuovo tempo dello Spirito Divino, sia, nei secoli, divenuto uno degli elementi più fortemente presenti e ripetitivi dell’evolversi del “deviazionismo” cristiano, venendo ripreso, ad esempio, dalla filosofia della storia di Giocchino da Fiore nel XII secolo, dalle visioni dei Quaccheri del XVII secolo e dalle speculazioni apocalittiche degli Avventisti del Settimo Giorno nel XIX e XX secolo[23].

In ogni caso, quando la persecuzione anticristiana riprese, verso la fine del II secolo, il Montanismo cominciò a diffondersi estensivamente anche al di fuori dell’Asia Minore e a trovare terreno fertile per la conversione di molti cristiani (incluso Tertulliano, il grande avvocato e teologo nordafricano) in tutti i territori dell’Impero Romano. La Chiesa, però, sopravvisse anche a questa nuova ondata persecutoria e il Montanismo fu ben presto stigmatizzato come una eresia senza senso.

Il fatto è che l’influenza del pensiero greco aveva minato e stava minando ogni visione millenarista del mondo in modo totale ed estremamente significativo: nella teologia dell’impareggiabile pensatore cristiano alessandrino del III secolo Origene, ad esempio, la focalizzazione non era più sulla manifestazione del Regno di Dio in questo mondo, ma sul suo sviluppo all’interno dell’anima del credente, in uno spostamento di prospettive di estrema importanza dal piano storico a quello metafisico e spirituale[24].

Questa nuova ottica, in congiunzione, come detto, con il discredito di cui il Montanismo venne investito e, infine (ma non certamente di minor importanza), con la conversione (in realtà molto dubbia sul piano personale[25]) di Costantino il Grande e l’adozione del Cristianesimo come religione favorita dall’Impero, discreditarono il millenarismo per secoli.

Nella nuova età della “Chiesa Trionfante”, cioè nel periodo in cui il Cristianesimo divenne la religione prima accettata e poi ufficiale dell’Impero Romano, Agostino (354-430), vescovo di Ippona, diede espressione definitiva alla visione cristiana che avrebbe dominato la civiltà occidentale fino al periodo della Riforma ad anche oltre. Nel suo scritto storico-filosofico La Città di Dio, Agostino dipinge l’esistente come eternamente diviso tra una “Città del Mondo” e una “Città di Dio”: tutti gli esseri umani devono sottomettersi all’una o all’altra di queste città e dovranno, alla fine, condividere la sorte della comunità da essi scelta. La “Città del Mondo” è dominate da Satana, principe della terra, e chiunque renderà tributo alla sua città sarà costretto a subire la punizione eterna, mentre la “Città di Dio” è rappresentata dalla Chiesa, per la quale Dio ha predestinato la salvezza dalle persecuzioni mondane ed eterna gioia in paradiso[26].

Non è difficile notare come questa concezione sia certamente debitrice della visione del mondo di stampo apocalittico ma, allo stesso tempo, è indubbio che il quadro agostiniano contenga elementi distintivi che la differenziano notevolmente da tale visione: se è vero che il dualismo tipicamente apocalittico è ben riflesso nella idea di Agostino delle due città e che il pessimismo ontologico riguardo il futuro e alle possibilità di progresso della condizione umana che permea il testo risulta di matrice millenarista, è altrettanto vero che Agostino, in precedenza libertino e gaudente, dopo la sua conversione favorisce uno stile di vita ascetico e di negazione dei valori mondani che, per molti versi, supera ampiamente, nella sua disillusione nei confronti della realtà materiale, quello millenarista, nella misura in cui egli nega come “carnale” ogni illusione e aspettativa in un mondo rinnovato e purificato che si adatti perfettamente alla vita dei credenti[27]. Qui sta il grande scarto: i millenaristi non erano contro il mondo, se non per il fatto che esso risultasse controllato dai loro nemici e credevano fermamente che il Salvatore, che ritenevano sarebbe giunto a breve, avrebbe distrutto i malvagi e avrebbe ricondotto la Terra al suo stato originale di “paradiso terrestre”,  i cui benefici sarebbero stati non solo spirituali, ma anche fisici.

Inoltre, le descrizioni letterarie dei giudizi profetizzati per i malvagi e delle gioie riservate ai giusti in opere apocalittiche come l’Apocalisse di Giovanni vengono interpretate da Agostino come mere allegorie[28]: certo, anche lui si aspetta che, alla fine dei tempi, la storia di questo mondo avrà un termine, ma, nella sua concezione, il “millennio” è divenuto uno status spirituale in cui l’intera Chiesa, collettivamente, possa vivere la Pentecoste, il tempo del ricevimento dello Spirito Santo da parte dei discepoli di Cristo, e ciascun credente possa già godere di una comunione mistica con Dio[29].

Sostanzialmente, dunque, in contrasto con la focalizzazione apocalittica sul mondo contemporaneo, Agostino, sebbene influenzato dal background culturale in cui il suo pensiero si sviluppa, propone una escatologia millenaristica a lungo termine che non tiene conto di alcuna tempistica. Per quanto concerne la lotta presente con il male, sembra quasi che il vescovo d’Ippona abbandoni il campo e si arrenda: non c’è da aspettarsi nessun intervento soprannaturale a breve termine e non assisteremo a nessun subitaneo rovesciamento delle condizioni presenti dal momento che, nella sua “escatologia già presente”, la battaglia è già stata combattuta sul piano spirituale (quello che conta realmente) e Dio ha già trionfato, con Satana ridotto a poter governare solo sul misero piano terreno[30]. Così, per ora, la “Città del Mondo” e la “Città di Dio” devono forzatamente coesistere, fino al momento in cui Dio reclamerà per sé anche questa piccola fetta dell’esistente in cui Satana é confinato e risulterà trionfante anche sulla “Città del Mondo”.

Il millenarismo allegorico di Agostino divenne da subito la dottrina ufficiale della Chiesa e l’apocalittismo ne risultò inevitabilmente escluso. Sebbene durante il Medio Evo e la Riforma possiamo ritrovare alcune visioni millenariste, esse risultano sempre confinate a gruppi ribelli o radicali. Così, l’ala estrema del movimento hussita boemo, rappresentato dai Taboriti, che cercò di creare il Regno di Dio con la forza delle armi, e l’ala sinistra del movimento protestante degli Anabattisti, così come i Fratelli boemi e moravi, risultano tutti improntati ad un fortissimo millenarismo e la grande Guerra Contadina in Germania (1524-25), in cui il riformatore radicale Thomas Müntzer guidò i Contadini di Svevia contro i ricchi mercanti locali e il “Regno di Dio” instaurato nella città di Münster (1534-35) dal predicatore fanatico Giovanni di Leida, sono esempi di movimenti di massa di chiara matrice millenaristico-apocalittica, in cui giuste recriminazioni sociali assurgono ad una dimensione teologico-messianica[31]. Allo stesso modo, in Inghilterra, gli Indipendenti (cioè coloro che si erano separati dalla Chiesa anglicana) pensavano di accelerare la venuta del Regno di Dio e gruppi quali “Gli Uomini della Quinta Monarchia” credevano che una rivoluzione sociale fosse necessaria per preparare la strada all’avvento del regno di Cristo e dei Santi e solo le capacità del leader puritano Oliver Cromwell (1599-1658) e il suo buon senso che lo portò a sciogliere il cosiddetto “Parlamento dei Santi” impedirono al fervore apocalittico di prendere il potere nel Commonwealth[32]. L’elemento millenaristico ebbe una notevole forza anche nel Movimento pietistico Tedesco tra XVII e XVIII secolo e giocò un ruolo di notevole rilevanza nelle dottrine di molte sette che si svilupparono nel XIX secolo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna (Congregazionalisti, Mormoni, Avventisti, Testimoni di Geova, Cristadelfi e altri ancora), sebbene molte di queste sette (o Chiese, comunque si preferisca definirle) siano più correttamente definibili come legate ad aspettative messianiche più che come facenti parte del movimento più prettamente millenarista[33].

A parte questi “dissidenti”, in ogni caso, la dottrina di Agostino rimase intatta fino almeno al XVII secolo e i principali elementi riformatori protestanti del Luteranesimo, del Calvinismo e dell’Anglicanesimo non erano di stampo apocalittico e, dunque, rimasero fermamente ancorati alla visione agostiniana, alla cui teologia spesso si rifecero totalmente[34]: molte delle allusioni dell’Apocalisse vennero sì lette in un’ottica peculiarmente protestante  (ad esempio le parti riguardanti Roma e la Grande Meretrice vennero riferite alla Chiesa Cattolica e la Bestia venne identificata con il Papa[35]), ma ciascuna delle tre fondamentali tradizioni protestanti europee del XVI secolo fu supportata da autorità secolari (rispettivamente il Luteranesimo dalla Sassonia, il Calvinismo dalla Svizzera e l’Anglicanesimo dalla Gran Bretagna) e si guardò sempre bene dall’assumere posizioni di contrasto contro lo stato, restando così nella più pura tradizione della Chiesa medievale[36]. In fondo, gli apocalittici del Cristianesimo medievale e della Riforma furono unicamente coloro che ritenevano che solo Dio potesse essere dalla loro parte e per i quali persecuzione e pericolo di una imminente distruzione erano realtà quotidiane.

La visione para-millenaristica agostiniana, però, seppur sopravvisse alla Riforma, non sopravvisse alla rivoluzione intellettuale del XVII secolo[37]. Dietro allo sviluppo scientifico, infatti, riposava una profondissimo riorientamento del pensiero occidentale che coinvolgeva, prima di tutto, una riabilitazione globale del concetto di realtà naturale. Una buona parte del rifiuto agostiniano per il mondo trovava fondamento nella frustrazione, profondamente presente nella sua generazione, per non riuscire a superare le difficoltà storicamente presenti nel rapporto con la natura e nell’ordine sociale del tempo[38].

 

Nel 1600, però, gli Europei avevano ottenuto una maggior sicurezza nelle loro possibilità. Filosofi come Francis Bacon annunciavano l’avvento di una nuova alba per l’umanità e attaccavano ferocemente la riluttanza di Agostino a non vedere alcunché se non l’opera del diavolo nei loro tentativi di comprendere e controllare i processi naturali[39]. Inoltre, mentre gli intellettuali europei diventavano sempre più interessati nella misurazione e quantificazione dell’esistente, i sistemi allegorici persero sempre più di credibilità (si pensi solo a come tutta l’interpretazione medievale dei fenomeni celesti si dissolse quando l’uso del telescopio ne provò l’erroneità).

Anche lo studio biblico venne influenzato dall’interesse per il calcolo e la traduzione letterale, risultando nella creazione di una nuova tipologia di millenarismo, quello cosiddetto “tradizional-progressista”[40], di cui lo studioso anglicano Joseph Mead[41] fu uno degli antesignani e dei maggiori esponenti. Ignorando l’interpretazione allegorica a lungo associata all’Apocalisse, Mead si accostò al testo con un’ottica completamente nuova e concluse che le Sacre Scritture contenevano in sé la promessa letterale di un Regno di Dio realmente esistente e che il lavoro di redenzione dell’umanità dovesse essere concluso in quest’epoca della storia del mondo: l’Apocalisse stessa sembrava contenere una sorta di tabella di sviluppo di quel Regno e altri studiosi dopo di lui cominciarono a riflettere riguardo a quale livello di progresso nella “tabella di marcia” apocalittica gli esseri umani si trovassero. Fino a questo punto, il millenarismo progressista non sembrava poi così dissimile da quello apocalittico che aveva caratterizzato la Chiesa degli inizi, ma, in realtà, ad un’analisi più approfondita, i due sistemi di pensiero non possono che risultare radicalmente differenti: secondo il pensiero progressista di questi antesignani del pensiero illuminista, infatti, il Regno non sarebbe arrivato da un fondamentale e drammatico sovvertimento del processo storico corrente né attraverso una Seconda Venuta di Cristo capace di salvare il mondo dalla distruzione, ma, in effetti, tutta la storia passata altro non era che la registrazione di una progressiva vittoria sul male e di una progressiva riconquista del regno di Satana[42].

In questo quadro, essi rigettavano gran parte degli assunti dei proto-apocalittici, come, ad esempio, che la vittoria sarebbe giunta solo per un intervento divino nel momento più buio della Cristianità, proprio perché, secondo il loro modo di vedere, l’intero corso storico mostrava un lento ma inesorabile progresso, tale da far intendere che il Regno di Dio si stava appressando ogni giorno di più e che sarebbe giunto probabilmente non senza sforzo, ma sulla base della stessa tipologia di lotta quotidiana che aveva sempre portato al trionfo del bene nel passato[43].

Lungo tutto il XVIII secolo, gli insegnamenti dei millenaristi progressisti si fecero vieppiù dominanti in numerose Congregazioni protestanti: il polemista e critico anglicano Daniel Whitby (1638-1726), nella sua Parafrasi e Commento del Nuovo Testamento (1703), rese l’assunto di base del movimento così chiaro e convincente da essere da molti ritenuto il vero creatore del movimento stesso e  in America, in cui l’interesse per il millenarismo non era mai venuto meno all’interno delle Chiese puritane, il grande revivalista Jonathan Edwards (1703-58), adottando la dottrina progressista, ne diede una esposizione dettagliata nel suo seppur incompleto Storia dell’Opera di Redenzione, in cui, tra l’altro, sottolineava come la scoperta e la creazione di comunità cristiane nel Nuovo Mondo altro non fosse che una spia del fatto che il Nuovo Regno di Cristo (il cui avvento egli posizionava intorno al XX secolo) era ormai vicino[44].

Questa peculiare associazione della fine dei tempi con il ruolo degli Stati Uniti fu certamente una stranezza tipica del XIX secolo, ma divenne un vero e proprio cavallo di battaglia di numerosi pastori protestanti, in una non poi così inusuale commistione di millenarismo e nazionalismo che portò, negli anni ‘40 dell’800, il noto ministro presbiteriano Samuel H.Cox ad affermare addirittura che: “in America, lo stato della società è tale da non avere parallelo alcuno nella storia dell’umanità … Io sinceramente credo che Dio abbia un amore speciale per l’America e che sia lì che voglia mostrare i prodigi da Lui preparati per la fine dei tempi[45].

Comunque, il movimento che, più di ogni altro, alla fine del XIX secolo, mostrò chiaramente la perdurante influenza del millenarismo progressista, fu quello del cosiddetto “Vangelo Sociale”, attivo in tutti gli Stati Uniti e dedicato a creare il Regno di Dio qui e subito[46]. Bisogna, però fare attenzione al fatto che la certezza nel trionfo finale della causa cristiana non significasse una totale disattenzione da parte dei membri di questo  movimento (e con esso molti altri) nei confronti della necessità di estirpare il male. Come affermò Jonathan Edwards, essi ritenevano che il Regno stesse giungendo ma non che ciò non avrebbe provocato grandi distruzioni[47], cosicché, pur non essendo apocalittici, certamente nella loro vision della storia erano inclusi anche grandi cataclismi: durante la Guerra Civile Americana, ad esempio, la scrittrice antischiavista Julia Ward Howe, nel suo testo musicato The Battle Hymn of the Republic, descrisse la Verità di Dio come “militarmente in marcia[48] e persino nella battaglia del presidente Wilson affinché gli Stati Uniti entrassero nella I Guerra Mondiale per rendere il mondo “una sicura democrazia”[49] è inevitabile percepire l’eco di un “millenarismo militante”, quello stesso millenarismo militante che vedeva la venuta di Cristo come ultimo atto di un processo distruttivo e ricostruttivo della vera essenza dell’umanità (e, non a caso, molti millenaristi progressisti vennero per questo definiti “post-millenaristi[50]).

Sarebbe, in ogni caso, un grave errore pensare che il millenarismo e l’apocalittismo fossero sistemi di pensiero isolati, propri di piccoli gruppi “ultra-religiosi”. Per comprendere questo punto, dobbiamo partire dal concetto fondamentale che tutta la civiltà occidentale, anche nelle sue espressioni più moderne e secolarizzate, risulta essere l’erede di una lunga tradizione di pensiero e sensibilità cristiana. Non è, dunque, affatto sorprendente che molti movimenti di riforma sociale e molte ideologie che aspirano ad un futuro ideale rechino in sé tracce, consce o inconsce che siano, di una influenza cristiana.

Così, sia l’Illuminismo settecentesco che il Romanticismo ottocentesco,  con le loro idee di un progresso umano che portasse ad uno stato edenico di pace e di armonia sociale, tradiscono, in fondo, la loro derivazione dalle credenze messianico-millenariste[51]. Non è affatto un caso, allora che il filosofo tedesco ottocentesco Immanuel Kant, parlando del suo stato ideale caratterizzato da una pace perpetua, definisca questo concetto “chialismo filosofico”[52] o che, allo stesso modo, il debito dei pensatori utopisti pre-socialisti (dal riformatore sociale francese Henri de Saint-Simon, all’inglese Robert Owen o, ancora, al francese Charles Fourier) nei confronti del millenarismo cristiano venga addirittura riconosciuto da Karl Marx e Friedrich Engels, che, nel loro Manifesto del Partito Comunista (1848), con un certo disprezzo, si riferiscono alle utopie di questi pensatori come alla “ventesima edizione della Nuova Gerusalemme[53].  Persino alcuni iniziali movimenti socialisti, incluso, ovviamente, il cosiddetto “Socialismo Cristiano”, mostrano palesemente tratti messianici e, paradossalmente, nonostante il suo dichiarato ateismo e il suo materialismo dogmatico, persino il marxismo mostra piuttosto marcatamente una struttura di fondo improntata al messianismo. Non è così assurdo, dunque, che le analogie tra marxismo ed escatologia cristiana tradizionale siano state sottolineate, con pesante ironia, dal filosofo inglese Bertrand Russell, che arriva ad affermare che Marx, in sostanza, abbia solo adattato i tratti messianici ebraici al Socialismo, né più né meno di quanto Agostino li avesse adattati al Cristianesimo: secondo Russell, infatti, la dialettica materialista che governa, all’interno dello schema marxista, lo sviluppo storico, altro non sarebbe che il corrispondente del Dio biblico, così come il Partito Comunista sarebbe il corrispondente della Chiesa, la rivoluzione quello della Seconda venuta e la società comunista quello del “millennio”[54].

Che ideologie come il Socialismo, il Comunismo o quelle di numerosi movimenti di liberazione nazionale possano o no essere descritte con termini quali “messianismo secolarizzato”, “pseudo-messianismo”, “sostituto messianico”, etc. è, più che altro, una questione di semantica o un tentativo di usare un linguaggio valutativo più che descrittivo: le differenze tra ideologie secolari e messianismo tradizionale sono più che ovvie, ma è indubbio che, sulla base dei contatti e delle derivazioni storiche, molti movimenti rivoluzionari possano agevolmente apparire come varianti dello stesso dinamismo psico-sociale e degli stessi nuclei mitologemetici responsabili della formazione dell’escatologia cristiana, con la sua poderosa carica di immaginario, espressione di esperienze e aspirazioni completamente umane.

La connessione tra aspirazioni escatologiche e realtà socio-politica, fonte di desideri e necessità psicologiche extra-razionali risulta particolarmente evidente se andiamo ad analizzare brevemente gli sviluppi escatologici novecenteschi.

A partire dai lavori esegetici di Johannes Weiss[55] e Albert Schweitzer[56] (insomma, della cosiddetta scuola della “escatologia consistente”) e dalla “teologia dialettica” di Karl Barth[57] e Rudolf Bultmann[58], notoriamente l’escatologia è diventata uno dei temi principali della teologia accedemica cristiana e appare inequivocabile il collegamento tra il rinnovato sviluppo di speranze escatologiche e crisi valoriale che ha colpito i paesi occidentali. All’interno delle lotte interconfessionali cristiane, questo tema è stato ben espresso dalla sempre più netta divaricazione tra Cristianesimo come religione di stato e congregazioni di varia natura con orientamenti escatologici: ai suoi margini, la civiltà occidentale contiene da sempre un certo numero di “anticulture” mistiche e apocalittiche ma mai come nel ‘900 si è verificato il tentativo di combinare escatologia e filosofia, speranza e pratica sociale e, conseguentemente, di superare le differenze tra Chiesa e sette e tra Chiesa e modernità, così come risulta evidentemente dello sviluppo della “Filosofia della Speranza” di Ernst Bloch[59], delle teorizzazioni di Teilhard de Chardin[60] o della “Teologia della Speranza” (J. Moltmann[61], W. Pannenberg[62], H. Cox[63], L. Dewart[64], etc.).

Il fatto è che, volente o nolente, l’intero corpus teologico cristiano non può prescindere dalla visione escatologica, che ne è fondativa, esattamente come risulta fondativa di ogni religione strutturata.

Se, infatti, il fenomeno religioso si sviluppa essenzialmente come tentativo di risposta alla domanda sull’origine dell’esistente, tale domanda non può che riflettersi specularmente nell’altrettanto fondativa domanda sulla meta ultima del reale. E’, come osservabile in tutta la storia dell’escatologia religiosa, proprio sugli approcci alla risposta a tale quesito ontologico che s’innesta tutto quel bagaglio di sovrastrutture sociali, politiche e psicologiche che va a formare il cuore di ogni variante escatologica, che ne risulta inequivocabilmente segnata in ogni sua espressione, dalle religioni mesopotamiche in poi e senza eccezione per le cosiddette “religioni del Libro”, Cristianesimo incluso.

 


[1] B.Young, Jesus the Jewish Theologian, Hendrickson Publishers 1995, p.8

 

[2] Sull’estensione del dibattito in proposito vd. W.Hamilton, Is Jesus the Messiah? , IUniverse 2002, passim

[3] Lc. 2:11

[4] Gal. 1:6; Eb. 9:11

[5] Isa. 52-53

[6] W.Hamilton, Citato , pp. 21-46

[7] J. D. Pentecost, J. Danilson, Jesus the Savior: The Meaning of Jesus Christ for Christian Faith, Westminster John Knox Press 2001, passim

[8] J. Pelikan, Jesus Through the Centuries: His Place in the History of Culture, Yale University Press 1994, pp. 46-49

[9] Ad esempio in I Tess. 4

[10] Mc.13

[11] Ivi, p.52

[12] M. R. De Haan, Studies in Revelation, Kregel Classics 1998, pp.12-78 passim

[13] Apoc.13. Per altro, tale numero, lasciando da parte le più fantasiose e disparate congetture in seguito su esso formulato, è unicamente un espediente ghematriaco per indicare il termine “Il Nemico”.

[14] Apoc.6

[15] Apoc.8:7-13; 9:1; 9:13-14; 10:7

[16] Apoc.16:2-17

[17] Apoc.19:2

[18] Apoc. 19:15

[19] J. Walvoord , Daniel: The Key to Prophetic Revelation, Moody Publishers 1989, pp.11-13

[20] V.Verbrugge, Early Church History, Zondervan 1998, passim

[21] P.L. Gavrilyuk, The Suffering of the Impassible God: The Dialectics of Patristic Thought , Oxford University Press 2004, pp.96-114

[22] Epifanio, Panarion, 48-49

[23] J.L. Walls, The Oxford Handbook of Eschatology, Oxford University Press 2007, passim

[24] Origene, De Principiis, II

[25] L.Sudbury, Nicea:What It Was, What It Was Not, Newburgh Press 2009, pp. 81 ss.

[26] Agostino d’Ippona, De Civitate Dei Contra Paganos, III-XIV passim

[27] G. O’Daly, Augustine’s City of God: A Reader’s Guide, Oxford University Press 2004, pp.101-136

[28] Ivi, pp. 67-81

[29] Ivi, pp. 142-145

[30] Agostino d’Ippona, Citato, XI, 21-24

[31] W. C. Placher, A History of Christian Theology: An Introduction, The Westminster Press 1983, passim

[32] J. Tulloch, English Puritanism And Its Leaders: Cromwell, Milton, Baxter, Bunyan, Kessinger Publishing, LLC 2005, pp. 28-49

[33] S. Hunt, Christian Millenarianism: From the Early Church to Waco, Indiana University Press 2001, pp. 91-163 passim

[34] O. Chadwick, The Reformation, Penguin Books 1990, passim

[35] Ivi, pp. 61-62, 78-79, 93

[36] H. Belloc, How the Reformation Happened, TAN Books and Publishers 1992, pp.14-17

[37] M.A. Noll, Turning Points: Decisive Moments in the History of Christianity, Baker academic 1997, pp. 286-287

[38] G. O’Daly, Citato, p.62

[39] M.A. Noll, Citato, p. 294

[40] A.C. Morewater, An History of the Millanaristic Thought, Harper Co., 1988, pp.234 ss.

[41] S.Hutton, “Mede, Milton and More: Christ’s College Millenarians”, in J.Cummins, Milton and the Ends of Time, Cambridge University Press 2003, pp. 94 ss.

[42] A.C. Morewater, Citato, pp. 238-239

[43] Ivi, p.240

[44] J.W.C. Wand, Anglicanism in History and Today, Nelson 1962, pp. 211-215

[45] Citato in D. G. Hart, J.R. Muether, Seeking a Better Country: 300 Years of American Presbyterianism, Lincoln 2007, pp. 26-27

[46] Ivi, p. 94

[47] J.Edwards, Concerning the End for Which God Created The World, in E.Hickman (a cura di), The Works of Johnatan Edwards, Diggory Press 1837-1984, p. 176

[48] J.Ward Howe, The Battle Hymn of the Republic, Hal Leonard 1998

[49] Citato in R.J. Pestritto, Woodrow Wilson and the Roots of Modern Liberalism, Rowman & Littlefield Publishers, Inc. 2009, p. 165

[50] A.C. Morewater, Citato, pp. 256-259

[51] S.L. Cook, Prophecy & Apocalypticism, Augsburg Fortress Publishers 1995, pp.16-17

[52] Come riporta G.Cunico, Il millennio del filosofo: Chiliasmo e Teleologia Morale in Kant, ETS 2001, p.41

[53] K.Mark, F.Engels, Manifesto del Partito Comunista, cap.II

[54] B.Russell, The Practice and Theory of Bolshevism (1920), in B.Russell, The Basic Writings of Bertrand Russell, Routledge 2009, pp. 191 ss.

[55] J.Weiss, Jesus’s Pro