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Roma come la Parigi di Balzac

di Gianfranco La Grassa - 14/05/2009

Mi piace riportare da Il Giornale del 13 maggio questo brillante articolo di Laura Cesaretti. Sia
chiaro che non c’è paragone possibile tra la giornalista, pur vivace, e il grande Balzac. La prosa è
diversa (e ovviamente inferiore), ma le vicende descritte con incisività ricordano quelle della Parigi
degli anni trenta (e dintorni) del XIX secolo. Non posso che ripetermi: “tutto torna seppur diverso”.
In ogni caso, la giornalista riprende notizie riportate da La Repubblica, una delle “Pravda” della sinistra.
Quindi la fonte non è sospetta. Credo sia utile conoscere questi retroscena di una politica
sempre più squallida, in cui risulta evidente la commistione (quindi l’inutilità della distinzione) tra
destra e sinistra. Ormai solo un perfetto idiota (che però non scuso più in nessun modo) può raccontare
ancora che tale porcaio è creazione di Berlusconi. Lo era anche quello della Parigi ottocentesca,
così simile? Basta con gli imbecilli e squallidi della sinistra, che semmai hanno maggiori responsabilità
con il loro lassismo, snobismo, buonismo di semplice “maniera”: falso come sono falsi questi
prodotti di un processo di “modernizzazione” selvaggia di cui adesso si fingono scandalizzati, mostruosi
intellettualoidi da quattro soldi fatti passare per geni da una classe dirigente imprenditoriale,
non a caso nuovamente guidata dalla Fiat. Una cloaca immane, a cielo aperto, in cui Berlusconi
semplicemente si muove più agile e con maggior senso della “modernità”; permettendosi persino
qualche guizzo di autonomia (per carità, pur sempre molto contenuto) rispetto a coloro di cui siamo
servi al 1000% (Usa e Israele). La sinistra, però, serva lo è fino al buco del c….!


<<<Roma Ecco a voi il nuovo «patto della crostata», destinato a costruire nuovi equilibri di potere
economico e anche a prefigurare futuri assetti politici. Il patto della crostata passato alla storia
fu siglato in casa Letta nel ’97 da Berlusconi, Fini, D’Alema e Marini. Dei commensali di allora al
nuovo tavolo ne resta uno solo, l’ex premier Ds. I nuovi interlocutori si chiamano Gianni Alemanno,
Pierferdinando Casini e il di lui suocero Francesco Gaetano Caltagirone, costruttore romano,
editore e finanziere di prima grandezza. O almeno, così la raccontava ieri Repubblica, in un pungente
editorialino nascosto nelle pagine romane ma firmato dal vicedirettore Massimo Giannini, in cui
si evocano addirittura le «prove tecniche di una futura maggioranza di salute pubblica postberlusconiana
». Orchestrate dal solito D’Alema.
La ricostruzione di Repubblica può essere forzata ma quel che è certo è che D’Alema, dopo la sconfitta
in Campidoglio e la fuoriuscita di Veltroni, vuol ricominciare dalla Capitale e dai suoi salotti
buoni ad essere protagonista nel Pd e nei «poteri forti» evocati da Giannini. A costo di litigare con
De Benedetti.
Tutto comincia da Acea, l’azienda romana che gestisce elettricità e acqua: un gigante da tre miliardi
di ricavi e 200 milioni di utili che ha come socio di maggioranza il Comune. E come socio al 7,5%
Caltagirone, cui fanno riferimento sia il presidente Cremonesi che l’ad Staderini, già Cda Rai in
quota Casini. Poi c’è il 10% detenuto dai francesi di Suez-GdF. Il sindaco di Roma ha cooptato nel
CdA Acea un rappresentate dell’opposizione: Andrea Peruzy. Che oltre a vantare incarichi in molti
prestigiosi Cda (da Alenia al Poligrafico a Crédit Agricole, azionista di Suez) è anche tesoriere della
Fondazione ItalianiEuropei. Un dalemiano doc, insomma, su una poltrona che volevano gli ex Ppi;
una nomina che ha scatenato le ire del Pd veltronian-franceschiniano. Le reazioni sono durissime, la
prima vittima predestinata è il capogruppo Pd in Campidoglio, il dalemiano Marroni ribattezzato «il
delegato del sindaco per i rapporti con l’opposizione» che dopo le europee dovrà probabilmente dimettersi.
Dice il senatore ex Ppi D’Alfonso: «D’Alema ha interpretato la lenta “digestione” della
sconfitta al Campidoglio come una paralisi irreversibile della classe politica romana Pd. E ha pensato
di inserirsi come una sorta di commissario, mettendo le sue bandierine nelle stanze del potere.
Una protervia incredibile, ma il blitz Acea è destinato ad essere annullato, e evoca inciuci con Alemanno
per favorire Caltagirone».
«Caltagirone non c’entra nulla. È una grande operazione politica, trattata direttamente con Alemanno.
Ci siamo infilati nella totale confusione che regna nel Pd e abbiamo proposto al sindaco un uo2
mo col curriculum di Peruzy» spiegano in casa dalemiana. Lo scopo? «De-veltronizzare Roma»
spodestando la rete rutellian-veltroniana.
Che Caltagirone non c’entri nulla è da dimostrare: con D’Alema, il suocero di Casini (peraltro azionista
del dalemiano MontePaschi) ha ottimi rapporti e solo qualche settimana fa i due si sono appartati
per un amichevole colloquio durante un pranzo in campagna. E in Acea il costruttore ha solidi
interessi, destinati a espandersi. Uno dei motivi, spiegano i dalemiani, per cui De Benedetti ce l’ha
tanto col «patto della crostata» siglato da D’Alema: anche l’Ingegnere, socio di Suez in Tirreno
Power, avrebbe interesse al business Acea. E il feeling tra D’Alema e Alemanno, che secondo Repubblica
ha fatto di Caltagirone «il dominus assoluto» di Roma, non gli piace. «E si capisce, una
volta gli bastava telefonare a Walter per avere ciò che voleva», malignano, «ma in politica si litiga e
poi si fa pace». Una volta conquistata la Capitale, D’Alema tornerà interlocutore necessario anche
per De Benedetti.>>>