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USA: la sorte oscura dei finanziamenti al Pakistan

di Michele Paris - 21/05/2009

 

Alla domanda posta qualche giorno fa dai membri del Congresso circa un possibile aumento dell’arsenale nucleare pakistano negli ultimi mesi, il capo di Stato Maggiore americano, ammiraglio Mike Mullen, ha risposto con un secco “Sì”. Il giudizio lapidario espresso dal militare più alto in grado delle forze armate statunitensi ha ulteriormente alimentato i timori già sufficientemente diffusi sull’ambiguità del governo di Islamabad e sull’avanzata dei ribelli islamici in questo paese, nonostante qualche successo militare ottenuto recentemente su questo fronte. Il persistente dirottamento dei fondi che giungono da Washington per la lotta al terrorismo nelle aree tribali del nord-ovest riporta alla luce ancora una volta gli errori di un appoggio incondizionato garantito al Pakistan già dall’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle. Così come rivela la fallimentare strategia americana, troppo spesso incurante delle priorità geo-politiche di un paese che continua a sentirsi minacciato da una stretta mortale, rappresentata dall’alleanza tra l’arcinemico di sempre - l’India - e l’Afghanistan.

Uno dei temi caldi dibattuti durante la visita alla Casa Bianca del presidente pakistano Asif Ali Zardari ai primi di maggio, era stata appunto la sorte delle circa cento armi nucleari che si stima siano attualmente possedute da Islamabad. Con i Talebani che si erano installati nei distretti di Swat e Buner - quest’ultimo ad una manciata di chilometri dalla capitale - l’eventualità che l’arsenale nucleare sarebbe potuto finire nelle mani sbagliate aveva sollevato l’allarme degli Stati Uniti. La controffensiva dell’esercito pakistano delle ultime settimane ha contribuito poi ad un relativo allentamento della pressione, anche se la situazione per l’immediato futuro appare tutt’altro che rassicurante, in particolare se non verranno affrontate le questioni strutturali relative al rapporto tra USA e Pakistan.

I rischi profilati dall’ammiraglio Mullen e da una serie di analisi dell’intelligence a stelle e strisce, non potranno in ogni caso che influire pesantemente sulle decisioni del Congresso, che dovrà deliberare a breve sullo stanziamento di altri 3 miliardi di dollari destinati all’addestramento e al rifornimento delle truppe pakistane nei prossimi cinque anni. I finanziamenti in ambito militare dovrebbero inoltre accompagnarsi a quelli riservati all’assistenza civile e che ammontano a oltre 7 miliardi di dollari. Somme considerevoli che i parlamentari americani, sempre più diffidenti nei confronti della caotica situazione in Pakistan, difficilmente sceglieranno di scongelare senza precise e più stringenti condizioni. A poco d’altra parte sembrano servire le rassicurazioni della Casa Bianca, la quale garantisce che gli aiuti indirizzati al Pakistan saranno utilizzati per operazioni di contro-terrorismo e non, invece, dirottati verso altri scopi, come il potenziamento dell’arsenale nucleare.

Le uniche somme già erogate da Washington e che abbiano a che fare con il nucleare pakistano, sono per ora i circa 100 milioni di dollari destinati ad un programma top secret, che dovrebbe consentire alle autorità di Islamabad di rendere più sicuri i depositi dove viene conservato il proprio arsenale, così da evitare che finisca nelle mani di Talebani o gruppi affiliati ad Al Qaeda. Risulta difficile tuttavia garantire la destinazione finale dei nuovi aiuti americani, soprattutto se essi non verranno vincolati a precise condizioni, come preferirebbero la Casa Bianca e le stesse autorità pakistane. A rendere ancora più probabile un utilizzo distorto dei finanziamenti americani, c’è anche il ridimensionamento forzato nell’anno in corso del budget pakistano riservato alla gestione del programma nucleare, in seguito alla crisi economica globale.

Nonostante questo quadro le attività legate al nucleare in Pakistan appaiono in pieno fermento. Ad un programma che impiega già decine di migliaia di operatori, il paese - guidato dal marito dell’ex premier, assassinata nel dicembre 2007, Benazir Bhutto - sembra stia aggiungendo una serie di nuovi reattori per la realizzazione di armi di nuova generazione. Il tutto operando in maniera pressoché indisturbata sul mercato nero e installando impianti in siti pericolosamente prossimi alle aree occupate o minacciate dai ribelli talebani. L’imbarazzo in cui si trova l’amministrazione Obama, costretta ad assicurare miliardi di dollari in nuovi aiuti per cercare di stabilizzare un’area definita dallo stesso presidente come cruciale per la lotta al terrorismo, è ulteriormente amplificato dal suo tentativo di far approvare un trattato internazionale che impedisca la produzione di materiale fissile. Estremamente scarse sono infatti le possibilità di spingere in questa direzione un Pakistan tuttora dominato dall’ossessione della minaccia indiana. Tanto più che, assieme a Israele e la stessa India, il Pakistan è uno dei paesi che non ha ancora sottoscritto il Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP).

Divenuto un fondamentale alleato di Washington nella guerra globale al terrorismo lanciata da George W. Bush dopo l’11 settembre, il Pakistan aveva iniziato a godere dei generosi contributi di un governo americano ben presto disposto a chiudere un occhio di fronte al deterioramento della situazione interna al paese già tra il 2001 e il 2002. Il costante trasferimento delle risorse provenienti dagli Stati Uniti per rinforzare le proprie truppe posizionate al confine orientale con l’India, ha caratterizzato praticamente l’intero rapporto tra il predecessore di Obama e il deposto presidente pakistano Pervez Musharraf. A questo proposito, le polemiche negli USA avevano iniziato ben presto a diffondersi, fino ad esplodere in seguito alla pubblicazione dei risultati di un’indagine del 2007, nella quale si evidenziava come decine di milioni di dollari erano andate a rimborsare spese gonfiate per carburante, munizioni ed altre voci.

Nel quadro dei cosiddetti “Coalition Support Funds” inoltre, gli Stati Uniti si erano impegnati a indennizzare, questa volta con svariati miliardi di dollari, le spese sostenute dal Pakistan per presunte operazioni militari volte a combattere le attività terroristiche nelle aree tribali al confine con l’Afghanistan. Tra le proteste del Congresso per la fallimentare strategia americana in Pakistan, nel dicembre dello stesso anno erano stati addirittura congelati circa 50 milioni destinati ad aiuti militari, nell’attesa che l’allora Segretario di Stato Condoleezza Rice potesse garantire quanto meno il ritorno alla democrazia, dopo che appena pochi giorni prima Musharraf aveva revocato lo stato di emergenza nel paese.

Il presidente Obama ha infine inaugurato il proprio mandato lo scorso mese di gennaio, ordinando una revisione completa della strategia americana in Pakistan e Afghanistan. Gli esiti ancora non si conoscono completamente, ma risulta chiaro come questi due paesi rappresentino per gli USA il teatro principale della lotta al terrorismo. Nonostante l’annunciato maggiore impegno da parte americana di agire in concerto con i vertici di Islamabad nello sforzo bellico contro i militanti islamici (pur senza impiegare direttamente le proprie forze armate sul territorio pakistano), l’aumento negli ultimi mesi delle vittime civili pakistane per gli attacchi sferrati dai mezzi aerei pilotati a distanza (droni) ha contribuito non poco al crescente sentimento di sfiducia verso gli Stati Uniti diffuso tra la popolazione locale.

Parlando in questi giorni alla stampa estera, Hillary Clinton ha ammesso quanto meno l’incoerenza della politica del proprio paese nei confronti del Pakistan durante gli ultimi 30 anni. La titolare del Dipartimento di Stato ha ricordato la partnership con il Pakistan negli anni Ottanta per l’addestramento e il finanziamento dei mujahideen afgani in funzione anti-sovietica e, una volta finito il conflitto, il disimpegno di Washington, che ha finito per alimentare l’estremismo islamico nell’intera area. Un’evoluzione che, prima del 2001, aveva portato all’appoggio del governo pakistano al regime dei Taliban a Kabul per costituire un contrappeso ad un’eventuale aggressione indiana sul fronte orientale.

Le collusioni più o meno velate dell’esercito di Islamabad e, soprattutto, del potente servizio segreto pakistano (ISI) con la guerriglia islamica, sono però rimaste anche dopo il cambiamento di alleanze, segnato dall’invasione americana in Afghanistan nell’Ottobre del 2001. Atteggiamento puntualmente criticato dai governi occidentali, ma chiaramente dettato dalla principale preoccupazione geo-strategica del Pakistan, costituita sempre dall’India.

L’abbandono dei progetti di rafforzamento del proprio arsenale nucleare e lo spostamento di una parte delle forze armate dal fronte indiano a quello afgano, per controbattere l’avanzata talebana che minaccia l’esistenza stessa dello stato pakistano, dovrà così passare attraverso una normalizzazione dei rapporti con Nuova Delhi e una maggiore chiarezza delle relazioni, finora non sempre trasparenti, tra la stessa India e l’Afghanistan. Nel suo sforzo per venire a capo di una situazione esplosiva, Obama dovrà tenere conto del quadro complessivo per evitare che le vicende di una guerra che egli stesso ha già legato indissolubilmente alle fortune della propria amministrazione non finisca per segnare piuttosto il totale fallimento della sua politica estera nella regione.