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A Londra nessuno fa più shopping

di Mattia Bernardo Bagnoli - 26/05/2009

  
 
Le attenzioni erano tutte concentrate sul primo trimestre: ecco, s'intravedono i primi segnali di una schiarita, dicevano gli aruspici della grande economia. E invece niente. Fumata nera - anzi nerissima. Nei primi tre mesi dell'anno il Pil della Gran Bretagna ha fatto segnare un secco meno 1,9%. Non andava così male dal 1979.

La ripresa, insomma, pare proprio un miraggio africano. Ma non è solo il prodotto interno lordo a destar preoccupazione. I consumi, infatti, sono in caduta libera: la gente non spende più. Un vero e proprio dramma collettivo per la nazione che ha fatto dello shopping un culto di massa.

I dati parlano chiaro. L'indice di spesa, nel primo quarto, è crollato dell'1,2%. Sembra poco? Era dal 1980 che non si registrava una contrazione tanto rilevante. Più che i negozi, però, a pagare il peso della crisi sono ristoranti e alberghi: meno 5,1%. E non è un caso. Gli stipendi in Gran Bretagna si sono infatti contratti negli ultimi quattro mesi di oltre un punto percentuale.

Tra riduzioni delle ore, volontarie o imposte, part-time, ferie forzate, scatti salariali bloccati, bonus tagliati, o riduzioni dello stipendio belle e buone, i soldini alla fine del mese sono sempre meno. E se il denaro non circola, il Pil non sale. Ecco allora che le recenti parole del cancelliere dello Scacchiere Alistair Darling, «la crisi sarà alle nostre spalle a partire dal prossimo Natale», paiono all'improvviso un po' troppo azzardate.

I problemi, infatti, non sono finiti. Le rilevazioni raccontano di una contrazione anche negli investimenti nel settore industriale - meno 3,8% - e nelle esportazioni. Che nei primi tre mesi dell'anno sono crollate del 6,1%. Un dato davvero preoccupante, visto che pure la sterlina, da un anno a questa parte, è scesa ai minimi storici. Se neppure una riduzione della valuta di circa il 30% riesce a dare respiro all'export ecco che i guai iniziano a essere davvero grossi, strutturali. Segue una riflessione.

«Se da un lato il Regno Unito dovrebbe aver passato il punto più grave della recessione», spiega al Times Jonathan Loynes, esperto di Capital Economics, «qualunque ripresa non potrà far altro che poggiarsi su basi molto fragili». Oltre a un aspetto quantitativo - punti di Pil - ce n'è dunque uno qualitativo - tenuta del tessuto economico sul lungo periodo.


Vi sono riprese e riprese. Quella vaticinata in Gran Bretagna per adesso convince poco. E infatti l'agenzia di rating Standard & Poor's, nel dare le "pagelle" ai paesi, ha modificato il suo giudizio sul debito del Regno Unito da «stabile» a «negativo».

Le nazionalizzazioni di Rbs, Northern Rock, Hbos, nonché le misure anticrisi messe in atto dal governo di Londra attingendo alla ricchezza della nazione, il debito appunto, iniziano a reclamare il conto. La preoccupazione è che sul futuro della Gran Bretagna, e della sua ripresa, pesino la spesa fuori controllo e i "pagherò" emessi dal governo per assicurare i titoli tossici custoditi nella pancia delle banche della City.

«Con la disoccupazione in continuo aumento e il prospetto sempre più probabile di una stretta al regime fiscale dopo le prossime elezioni - dice Colin Ellis, di Daiwa Securities - sembra proprio che passerà un bel torno di tempo prima che la Gran Bretagna possa tornare a godere di un periodo di crescita stabile e robusto».

Non tutto però pare perduto. Alcuni segnali di ottimismo, infatti, si fanno pur largo in questa coltre di cattive notizie. Le aziende, ad esempio, nel primo quarto dell'anno hanno fatto registrare un bel segno più nella costruzione di riserve pari a un controvalore di 3,7 miliardi di sterline. Una buona notizia, visto che nel quarto predente la tendenza era del segno opposto - in quel caso 3,6 miliardi erano andati in fumo.

Poi, per tornare sul fronte dei consumi, non tutti i settori arrancano. Le scommesse e il gioco d'azzardo, dice l'ufficio di statistica nazionale, sono in fortissima espansione. I britannici, visti i bassi tassi ormai raggiunti dai libretti di risparmio, hanno forse deciso di investire il loro denaro in corse di cani e visite al casinò.