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Il XVII Rapporto Istat prova, ancora una volta, che la flessibilità non funziona

di Carlo Gambescia - 27/05/2009


Non è sede questa per una analisi approfondita del XVII Rapporto annuale sulla situazione del Paese nel 2008, oltre quattrocento pagine (http://www.istat.it/dati/catalogo/20090526_00/ ). Rapporto che fotografa un’Italia in regressione, segnata da famiglie in difficoltà economiche crescenti; padri che perdono il posto di lavoro fisso e si arrangiano con impieghi part-time o precari; Sud sempre in affanno per occupazione e redditi bassi. Ma soprattutto che la flessibilità non funziona.
Vorremmo qui solo evidenziare due punti, citando dalla Sintesi .
Primo punto:
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“L’aspetto più preoccupante del deterioramento del quadro occupazionale riguarda,da un lato, la riduzione degli autonomi(104 mila in meno nel 2008 rispetto al 2007), che interessa soprattutto i piccoli imprenditori dell’industria (tipografi, orafi,ebanisti, fabbri, marmisti), del commercio, degli alberghi e ristoranti e dei servizi alle imprese; dall’altro, la diminuzione dei dipendenti full time a tempo indeterminato nell’industria in senso stretto (50 mila unità in meno nella media del 2008).
Poiché gli effetti della crisi economica sull’occupazione non sono ancora del tutto dispiegati, i lavoratori temporanei (dipendenti a termine e collaboratori) sono tra
i più esposti, proprio a causa della durata predeterminata del contratto, che rischia di non essere rinnovato in presenza di una riduzione della domanda di lavoro. Questo gruppo di lavoratori, che tra l’altro ha una retribuzione media mensile netta del
24 per cento in meno rispetto a quella di un dipendente “standard”, non è composto soltanto da giovani alla prima esperienza di lavoro, ma anche da adulti con anzianità lavorativa più elevata, spesso con responsabilità familiari
. Per questo le conseguenze
sociali di una flessione dell’occupazione a termine meritano particolare attenzione e suggeriscono l’esigenza di tutele specifiche.Gli effetti della crisi si sono riflessi anche sulla struttura".
(Sintesi, p. 13. Il corsivo è nostro)
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Secondo punto:
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"Dopo una prolungata fase di discesa, nel 2008 la disoccupazione registra una crescita consistente. Tutti i margini di riduzione accumulati nell’ultimo biennio sono stati di fatto annullati e le persone in cerca di lavoro (1,7 milioni) sono più che nel 2006.
Al risultato hanno contribuito più gli uomini che le donne, più i “giovani” fino a 34anni che
gli adulti con responsabilità familiari (che sono però molto aumentati nell’ultimo anno), più il Centro e il Nord-ovest che il Mezzogiorno (che rimane comunque l’area con il più alto grado di concentrazione di persone in cerca di lavoro).
Gli effetti della crisi hanno contribuito a modificare l’area della disoccupazione. Nel 2008, i disoccupati sono per il 70 per cento persone con precedenti esperienze lavorative: per il 44 per cento sono ex occupati, ma per il 26 per cento sono inattivi che, verosimilmente a seguito del peggioramento delle condizioni economiche,si sono posti sul mercato del lavoro. Il restante 30 per cento sono persone in cerca di prima occupazione.
Nel 2008 la perdita del lavoro ha coinvolto maggiormente gli individui adulti (uomini in sette casi su dieci). Sia per i dipendenti sia per i collaboratori il motivo principale è la scadenza di un lavoro a termine. Il licenziamento, pur riguardando
solamente i dipendenti, dà conto del 30 per cento della diminuzione complessiva di posti di lavoro. I licenziati sono per il 65 per cento uomini e in sei casi su dieci hanno almeno
35 anni.
Queste modificazioni del mercato del lavoro hanno o potrebbero avere conseguenze importanti sulle situazioni familiari. Infatti nel 2008 le famiglie con presenza esclusiva di lavoratori temporanei sono 965 mila (838 mila con un solo occupato e 127 mila
con due o più occupati, dove complessivamente vivono circa 2,5 milioni di persone).
Le situazioni più critiche sono però quelle delle famiglie senza occupati in cui vivono una o più persone in cerca di lavoro. Nel 2008 riguardano oltre 530 mila famiglie,dove vivono poco meno di 1,5 milioni di persone. Anche le famiglie composte da genitori
e figli con un unico reddito da lavoro possono comunque trovarsi in difficoltà. Nel corso del 2008, ad esempio, si registra un forte incremento dei padri disoccupati nelle coppie con figli: vi si concentra oltre la metà dell’incremento dei disoccupati maschi
".
(Sintesi, p. 14. I corsivi sono nostri).
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Sono dati che parlano da soli. E che - ripetiamo - indicano una sola cosa: che il modello flessibilità non funziona. E che non funziona soprattutto in situazioni di crisi, come quella in atto.
Di più: la flessibilità non penalizza solo i giovani, ma anche coloro che hanno più di 35 anni e, cosa pià grave, con famiglia a carico: lavoratori percettori dell'unico reddito familiare che finiscono nel tritacarne della flessibilità: 1) perdono un lavoro non flessibile ( o quasi), in favore di altri lavoratori flessibili. 2) Dopo di che, se i post-trentacinquenni trovano lavoro - se lo trovano -, si tratta, ovvviamente, di un lavoro flessibile… 3) E così via, lungo la spirale dell’insicurezza sociale
Su queste basi il rischio di vedere raddoppiare da un anno all’ altro – causa crisi – il numero delle famiglie senza occupati non è poi così remoto. Anzi.
Infatti le famiglie con un solo occupato in lavori temporanei sono 838 mila ( circa 2 milioni persone). Molte di queste famiglie, se non saranno immediatamente cambiate le regole sul lavoro flessibile, rischiano - entro l'anno prossimo - di andare a fare compagnia a quelle 530 mila famiglie, senza occupati, dove attualmente vivono poco meno di 1,5 milioni di persone.
La flessibilità non funziona. E nelle situazioni di crisi si trasforma in una specie di moltiplicatore della disoccupazione.
Ci vuole tanto a capirlo?