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Freedom Borromeo

di Paolo Barnard - 06/06/2009

 


Cosa ci fa la nuova arrivata del fronte antagonista di sinistra a braccetto con gli occulti manipolatori mediatici della destra americana? Mi fa ridere, pena e desolazione allo stesso tempo. Poiché per l’ennesima volta nella compagine che ‘resiste’ al ‘regime’ di Berlusconi si colgono slabbrature talmente grottesche da farci disperare. Ormai l’antagonismo di cui parlo è disposto a tutto, ma proprio a tutto, pur di riuscire a incidere un segnetto nella fiancata dell’irraggiungibile bolide politico del Cavaliere. Arrivano persino ad aggrapparsi alla bandiera di una delle peggiori macchine di propaganda neoconservatrice, imperialista, neoliberista, occulta e prezzolata d’America. E la sventolano colmi di gaudio, come fosse una luce di giustezza mondiale (e di sinistra), non sapendo neppure di cosa parlano.

Nella foto: Beatrice Borromeo

Sono infatti incappato in un video tratto dalla trasmissione Tetris di La 7 del 15 maggio, dove Beatrice Borromeo (spalleggiata da Padellaro e De Magistris) sferrava attacchi all’Italia berlusconiana e alla sua pessima informazione. Ed ecco, puntuale, il mantra: “Nel rapporto della Freedom House sulla libertà d’informazione, l’Italia dei media è considerata un Paese non libero…”. E giù a dire che la Freedom House qui, che la Freedom House là, che la Freedom House su, che la Freedom House giù, e così via. Mi sono saltati i nervi, basta, ancora sta spazzatura della Freedom House? Ma hanno un’idea di chi stanno parlando? Solo perché suona americano, solo perché c’è la parola “Freedom”, questi pensano di star citando degli autorevoli Lumi dei diritti civili? E gli spettatori, poveretti, come sempre presi per il naso. Infatti sono ormai anni che ogni tanto fra i crocchi degli antagonisti italian-gill-trav-santoriani, in tv o nelle piazze, spunta l’immancabile mantra “il rapporto della Freedom House…”. Dio mio.

Chi conosce l’America sa che la parola ‘Freedom’ incastonata nel nome di una qualsiasi fondazione statunitense significa una sola cosa e solo una: esportazione nel mondo del libero mercato selvaggio, degli interessi corporativi americani, e con essi dei mezzi necessari per imporli, fra cui le bombe da 500 libbre, quelle Cluster e il braccio mortifero del Fondo Monetario Internazionale. Cioè miseria, disperazione, menzogne, sfruttamenti indicibili, stragi, e sofferenze per generazioni. Eccovi la Freedom House.

Fondata come gruppo di pensiero non profit nel 1941, si getta subito anima e corpo nella Guerra Fredda, al fine di promuovere “i valori democratici e di opporsi alle dittature sia di estrema sinistra che di estrema destra”. (1)

Le sbavature nell’approccio a quei valori si manifestano subito, ma è allo scoppio della guerra in Vietnam che trapela evidente la sua distorta visione dei concetti di giustizia e democrazia. La Freedom House dichiara infatti che il lascito storico americano di più di 70 anni di interferenze e di crimini nel Sud Est asiatico è “straordinariamente valido” (2). Le fosse comuni di oltre 2 milioni di filippini e di indonesiani trucidati direttamente o indirettamente dagli Stati Uniti non contano, evidentemente.

Da notare, prima di procedere, la sua forte contiguità con le maggiori lobby ebraico-americane pro Israele, come l’AIPAC o il B'nai B'rith (si veda più sotto).

I bizzarri (e tragici) lapsus nella sua integrità di ONG continuano. Negli anni ’70 e ’80, Freedom House lavora sodo presso l’UNESCO per minare il lavoro del New World Information and Communications Order, che era la versione del Terzo Mondo di un sistema di informazione alternativo a quello occidentale. Durante gli anni di Reagan, il gruppo si impegna per promuovere i ‘valori’ americani nel Centro America, e questo si traduce in un appoggio per il peggior terrorismo finanziato dagli USA che si ricordi, dalle squadre della morte del Salvador ai Contras del Nicaragua, responsabili dell’annientamento della società civile di quei Paesi (massacri e torture) al punto dall’essere condannati nel 1986 dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja come “terroristi” (USA inclusi). Si distinguono in questo due lobbisti della Freedom House, Bruce Cameron e Penn Kemble. Da notare che la Freedom House giudicò le elezioni salvadoregne di quell’epoca come “ammirevoli”, mentre gli Stati Uniti addestravano e armavano il battaglione Atlacatl dell’esercito del Salvador, che massacrò migliaia di contadini colpevoli di simpatizzare per i gruppi di opposizione. (3) (4) (5). Freedom House giudicò anche le elezioni razziste della Rodesia di Ian Smith come libere, e a questo si può aggingere solo un no-comment.

Sul sito dell’organizzazione si legge: “Martedì 4 aprile 2000, ospiteremo un dibattito sulla repressione a Cuba. Moderatore Otto Reich, membro del nostro direttivo” (6). Il nome di Otto Reich sicuramente non vi dice nulla, ma ecco di chi si tratta: “Otto Reich, nel 1987 nominato ambasciatore per l’amministrazione Reagan in Venezuela, poi con l’elezione di Bill Clinton ritiratosi a vita privata come lobbista per l’industria di armamenti Lockheed-Martin e per le distillerie Bacardi, che secondo il New York Times lo avrebbe pagato 600.000 dollari per il suo lavoro di accanito anti-castrista … infine Reich riemerge ai pubblici uffici nel 2002 come Assistente Segretario di Stato per l’Emisfero Occidentale, nominato personalmente da George W. Bush che per l’occasione dovette usare un trucco al limite della legalità per scavalcare l’opposizione a quella nomina da parte del suo stesso Senato. La folgorante carriera di questo personaggio è ancora più sorprendente se si considera che già nella prima metà degli anni ottanta, in qualità di Capo dell’Ufficio dei Diplomazia Pubblica di Ronald Reagan, era stato posto sotto accusa dal General Accounting Office del Congresso americano per frode e per uso illegale di propaganda illecita, ed era stato infatti rimosso dall’incarico. Ma Otto Reich macchinava fianco a fianco con i grandi nomi dello scandalo Iran-Contras, come Elliott Abrams e Oliver North, che furono per lui un potente lasciapassare per le stanze alte del potere, e fu proprio nella sua funzione di ambasciatore statunitense a Caracas che si adoperò per far ottenere a Orlando Bosh (terrorista nel mirino del Dipartimento di Giustizia USA, nda) un visto d’entrata per gli Stati Uniti”. (7)

Nella Board of Trustees della Freedom House compare una certa Diana Villiers Negroponte. Questa è la moglie di John Negroponte, che come ambasciatore americano in Honduras fu il principale sponsor del Battaglione 3-16, altra macchina di sterminio e di torture di civili, e non risulta che la consorte abbia mai denunciato quegli orrori. Diana ha anche lavorato per la Camera di Commercio USA nell’introduzione del famigerato accordo NAFTA, che in breve è un accordo di libero commercio e sfruttamento a sangue del lavoro sottopagato dei messicani, oltre che una mina nel cuore del sindacalismo di tutto il nord America.

Nella medesima Board of Trustees della Freedom House hanno militato i più noti neoconservatori del club di George W. Bush, come Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, Jeane Kirkpatrick, Samuel Huntington, Zbigniew Brzezinski and Malcolm Forbes Jr., fra gli altri. Adrian Karatnycky, un direttore esecutivo della Freedom House, scrisse nel 2004 sul Washington Post un editoriale dove giudicava il colpo di Stato che depose il presidente di Haiti Jean Bertrand Aristide (democraticamente eletto) come “la caduta di uno pseudo democratico”. Da notare che nei mesi che seguirono l'isola fu travolta da repressioni sanguinarie. Si ricorda ai lettori che Karatnycky rappresentava un’organizzazione che dichiara di difendere “i valori democratici e di opporsi alle dittature”. Nelle sue fila apparve nel 2000 anche l’ex capo della CIA James Woolsey. (8)

Ancora pillole dorate per la Borromeo e soci: Zbigniew Brzezinski (ex consigliere per la sicurezza nazionale di Carter, nda) è stato a busta paga della Amoco, che nel 1997 aveva ricchi interessi petroliferi in Azerbaijan. Ma l’ Azerbaijan di Geidar Aliyev era un incubo dei diritti umani e questo non figurava benissimo, per cui che fare? Brzezinski si piazzò alla Freedom House ed ecco che nel suo rapporto sulla ‘libertà’ nel mondo l’ Azerbaijan di colpo salì di merito, cosa che verrà poi diligentemente sbandierata al Congresso USA per tacitare i critici. (9) E stando nell’Est europeo e nelle ex repubbliche sovietiche, l’opera di propaganda e interferenza della Freedom House si dispiega al suo meglio, con finanziamenti occulti ai candidati pro Libero Mercato e ai gruppi di attivisti di destra più affidabili, dalla Serbia all’Ukraina e oltre. (10) Infine la ciliegina sulla torta: la Freedom House ha criticato il governo tedesco nel 2001 per aver messo fuori legge la propaganda nazista su Internet, poiché tale mossa “violava la libertà stampa”. (11) Ora, si può discutere di questo caso, ma rimane bizzarro che questa organizzazione si sbracci per difendere gli esaltatori di Auschwitz e Sobibor ma non i civili torturati a morte dell’America Centrale. Vi sarebbe molto altro, ma non posso dilungarmi.

E questo scempio che è la Freedom House, è poi l’autrice del citatissimo rapporto Freedom of the Press di cui all’inizio di questo articolo, eternamente sbandierato dalla sinistra antagonista italiana come "autorevole". Vera è una cosa, e cioè che nell’edizione del 2008, che copriva il 2007 di Prodi, i nostri media erano stati promossi a "liberi". Ma ciò che interessa è leggere la motivazione della buona pagella che Romano si meritò. In essa la Freedom House ci sciorina soprattutto una lunga lista di insufficienze (gli effetti della legge Gasparri, la Censura Legale, la legge Mastella sulle intercettazioni, le intimidazioni contro i giornalisti, il conflitto d’interessi del Cavaliere, la perquisizione di D’Avanzo di Repubblica ecc.), e solo due o tre marginali sufficienze. E allora, ci si chiede, da dove viene la promozione a stampa “libera” del governo di centrosinistra? Sarebbe un mistero, se non fosse per quattro strane righe: “In gennaio, il governo Prodi ha approvato una legge che criminalizza la negazione dell’Olocausto, e altre forme di incitamento all’odio, con pene fino a 4 anni di carcere. In ottobre, le autorità avevano sequestrato delle bottiglie di vino con immagini di Hitler sull’etichetta”. Nessun commento negativo a questi fatti da parte di Freedom House, al contrario di quanto fecero nell’identico caso tedesco del 2001. Perché? Non è mia abitudine perdermi in dietrologie, ma non può sfuggirmi il fatto che oggi nella Board of Trustees di Freedom House siede Tom Dine, che è stato direttore per anni dell’AIPAC, la potentissima regina delle lobbies ebraiche americane. Saranno quelle quattro righe che hanno graziato i media dell’era prodiana nonostante la brutta pagella? (12)

Per finire, gli antagonisti italian-gill-trav-santoriani, Borromeo in testa, dovrebbero perdere due minuti per controllare gli archivi della Freedom House, e scoprire altre cose al limite dell’inverosimile. Per esempio: nella storia del loro rapporto annuale Freedom in the World, questa ONG pone la Bolivia come Paese “libero” dal 1982 al 2003 (con un solo anno di eccezione), e poi “parzialmente libero” dal 2003 al 2005. Chiunque abbia anche solo una conoscenza scolastica della storia delle dittature latinoamericane, comprende che questa classificazione è un insulto all’intelligenza; altrettanto lo è quella delle Filippine, dove anche gli orrendi anni del dittatore Ferdinand Marcos sono definiti “parzialmente liberi”, e ci sarebbe da ridere non fosse per il rispetto dei morti; il fondo del grottesco si tocca nei voti al Sudafrica dell’Apartheid, anch’esso "quasi libero" dal 1973 al 1994 (sic) secondo la Freedom House. Mi fermo qui. (13)

Si badi bene. Quanto appena dimostrato non può essere scartato come, in fondo, solo un peccatuccio veniale da parte dei nostri ‘paladini’ antagonisti e dei loro seguaci. Dimostra di nuovo la loro tendenza a una ingiustificabile superficialità nel nome del coro anti Cavaliere, e chi ci dice che non l’abbiano replicata in mille altri casi? Vi fidate di giornalisti che aderiscono acriticamente e senza verifiche alla ‘parrocchia’ più a portata di mano, e più screditata, pur di arrivare al loro scopo? Questi sono i metodi di chi fa scempio del giornalismo.

Dovete dirgliele queste cose, e tutte le altre contraddizioni e falle che vi capita di scorgere in loro (e in me). Dovete pretendere spiegazioni, perché se vi affidate a un carro sbilenco, nel fosso alla fine ci finite voi. Ma soprattutto perché voi meritate il meglio, visto che siete i protagonisti, cioè la gente.

Agite, e non scrivete a me. Quando ho denunciato il filosionismo di Marco Travaglio, col suo gravissimo corollario di immoralità e due pesi e due misure, ho ricevuto montagne di mail, ma un solo cittadino, solo uno, ha agito per chiedere conto a Travaglio. Lo stesso accade per ogni altra denuncia, mia e di altri. Ma così dove andiamo? E la prossima volta che sentirete dire "... la Freedom House!", spegnete il televisore. Per decenza.



Note

(1) Freedom House website: About us.
(2) New York Times, December 20, 1967
(3) The Decline of the Democratic Ideal, Noam Chomsky, Z Magazine, May, 1990
(4) Herman/Chomsky, Manufacturing Consent, Vintage 1994
(5) Paolo Barnard, Perché ci Odiano, Rizzoli 2006
(6) Freedom House to Censure China and Cuba at UN Human Rights Commission, Freedom House Website, March 28/2000
(7) Paolo Barnard, Perché ci Odiano, Rizzoli 2006.
(8) Diana Barahona, Monthly Review 01/07
(9) Counterpunch, Alexander Cockburn & Jeffrey St. Clair, 1998
(10) Eva Golinger, The Chávez Code, on the U.S. intervention in Venezuela, Olive Branch Press May 2006
(11) UN Committee on NGOs, 2001 Session, 29th Meeting AM
(12) http://www.freedomhouse.org/template.cfm?page=251&year=2008
(13) http://www.freedomhouse.org/template.cfm?page=5