Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il voto locale offre la vera dimensione dei rapporti di forza

Il voto locale offre la vera dimensione dei rapporti di forza

di Massimo Franco - 09/06/2009





Peruna manciata di ore, la battuta d’arresto del Pdl ha velato la sconfitta del centrosinistra alle europee. Le attese di un’affermazione clamorosa del governo, alimentate da Silvio Berlusconi, hanno permes­so al partito di Dario Franceschini di additare lo scarto fra quelle ambizioni e la realtà. La soglia psicologica del 40 per cento dei voti, mancata ampiamente dal presidente del Con­siglio, ha nascosto quella che sotto voce il Pd si era ripropo­sto di raggiungere: fra il 27 ed il 28, comunque ben sotto il 33,2 del 2008. Non solo: il panorama di macerie offerto da gran parte della sinistra europea ha contribuito al sollievo del Pd, deciso ad accreditarsi come uno dei grandi superstiti del 6 e 7 giugno. E da questo punto di vista lo è.
Ma il calo dei suoi consensi, non compensato del tutto dal successo dell’Idv di Antonio Di Pietro, sta emergendo nelle sue dimensioni reali. A renderlo vistoso è la geografia politi­ca che lentamente affiora dalle amministrative celebrate in­sieme alle europee: un quadro a dir poco in chiaroscuro, tale da ridimensionare gli entusiasmi sulla tenuta del progetto del Pd. I primi risultati trasmet­tono l’immagine di una ragnate­la di interessi e nomenklature locali, nella quale non esistono più rendite di posizione: per il fronte berlusconiano, ma so­prattutto per i suoi avversari che detenevano da decenni il potere in alcune zone del Paese. Oltre tutto, il centrosinistra partiva da posizioni di forza, che dopo cinque anni appaiono intaccate; ed accentuano la sen­sazione di uno smottamento progressivo nelle giunte. Alcuni dei feudi governati storica­mente dall’Unione prodiana mostrano smagliature. Il richia­mo di quello che la Lega ha definito «laburismo padano» spiega come mai il centrodestra si infiltri in Emilia Romagna e Toscana, conquistando consensi in classi sociali finora mo­nopolio della sinistra. In realtà come l’Umbria, regione di «giunte rosse», il Pdl fa registrare un successo imprevisto. E i dati diffusi ieri dall’«Istituto Carlo Cattaneo» di Bologna of­frono uno spaccato impietoso dei nuovi rapporti di forza.
Dicono che alle europee il Pd ha perso oltre 2,1 milioni di voti rispetto al 2004 (-21 per cento), e 4,1 milioni nel con­fronto con le politiche dell’anno scorso. Il partito di France­schini risponde ricordando che non contano solo i numeri, ma la tentazione berlusconiana di trasformare la consultazio­ne in un referendum su di sé: un’operazione risoltasi in «una musata», secondo l’espressione colorita di Piero Fassi­no. Si aggiunge che lo stesso Pdl perde circa 3 milioni di voti sulle politiche; e si fa presente che nel 2008 c’erano in lista col Pd anche alcuni esponenti radicali. Ma lo scambio di ac­cuse fra i due maggiori partiti tende ad interpretare con lenti bipolari una situazione dalla quale il bipolarismo esce un po’ indebolito.
La vittoria parallela della Lega e dell’Idv rende il problema delle alleanze particolarmente acuto. Bossi è fondamentale per la strategia berlusconiana: tanto più in vista delle regio­nali del prossimo anno. Il fatto che il ministro Roberto Calde­roli dica che i voti leghisti «si pesano e non si contano» anti­cipa la trattativa per la presidenza di alcune regioni del nord: sebbene riveli l’ammissione del mancato sorpasso sul Pdl in Veneto. Per il Pd, in parallelo, non solo rimane cruciale l’inte­sa con Di Pietro. Si ripropone anche il rompicapo di un colle­gamento con l’estrema sinistra. Per tutti, rimane l’incognita del ruolo dell’Udc centrista di Pier Ferdinando Casini, per ora paga di avere aumentato i voti su una linea difficile. Ep­pure, i due schieramenti non sembrano sul punto di romper­si.