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L’enigma dei geroglifici in quel misterioso libretto che divise il Rinascimento

di Nuccio Ordine - 09/06/2009

    
 

 
 
Nuccio Ordine ricostruisce la passione degli umanisti fiorentini per i geroglifici che, grazie alla diffusione del codice dei Hieroglyphica di Orapollo, scatenò nella cultura rinascimentale italiana ed europea l’interesse per la civiltà dell’antico Egitto. Sembra che i Hieroglyphica di Orapollo sia un’opera redatta nel V secolo d.C. in un circolo di sapienti che cercava di recuperare una scrittura di cui si era perso l’uso e il significato. Gli umanisti erano affascinati dal supposto carattere sincretico dei geroglifici perché per loro rispecchiava la comune matrice di sapienza divina presente nel cristianesimo, nel paganesimo classico e nella religione egizia. Nell’età moderna convissero due letture dei geroglifici: una ermetica, che li indicava come strumento per “nascondere” dietro ai simboli un sapere per pochi iniziati, e una razionale, che li considerava il mezzo per “svelare”, attraverso le immagini, concetti troppo complessi per le persone comuni.

Un linguaggio universale capace di raffigurare attraverso gli ideogrammi direttamente le cose e i concetti senza bisogno di ricorrere alle parole? Oppure una grafia segreta in grado di occultare ai profani profondi misteri filosofici e religiosi?
L’interesse per i geroglifici (termine greco con il significato di «lettere sacre incise») scatena nel Rinascimento una straordinaria attenzione per la cultura egizia che investe diversi campi del sapere: dalla filosofia alla teologia, dall’arte all’emblematica, dalla letteratura all’architettura. L’ammirazione degli antichi per i sapienti del mitico Egitto trova un facile terreno di coltura nell’umanesimo fiorentino. Proprio a Firenze, nel 1422, il viaggiatore Cristoforo Buondelmonti porta con sé, dall’isola di Andros dove lo aveva comprato, un prezioso codice dei Hieroglyphica di Orapollo [...]. L’opera conosce uno straordinario successo e, dopo una notevole circolazione manoscritta in latino, viene pubblicata per la prima volta nel 1505 da Aldo Manuzio a Venezia per essere successivamente tradotta e ristampata a più riprese nel Cinquecento e nel Seicento.
Le scarse notizie sull’autore e sul presunto traduttore (di nome Filippo) contribuirono ad accrescere l’alone di mistero intorno al prezioso libretto. Orapollo di Nilopoli viene identificato da alcuni con il dio Horus, da altri con un grammatico egizio vissuto sotto Teodosio II, da altri ancora con un egiziano attivo durante il regno di Zenone. Il testo però sembra essere stato concepito nel V secolo dopo Cristo, in un ambiente di eruditi che cercavano di recuperare una misteriosa scrittura di cui ormai si erano perse le tracce. I Geroglifici di Orapollo — che ora si possono leggere in edizione bilingue, con una buona introduzione, a cura di Mario Rigoni e Elena Zanco (Rizzoli) — contengono un’accurata esegesi di 189 segni suddivisi in due libri. La struttura dell’opera [...] si fonda su tre livelli: l’interpretazione del geroglifico, l’immagine che gli viene associata e un’esegesi del rapporto simbolico tra immagine e significato. E proprio nella terza parte si riscontrano una serie di spiegazioni puramente arbitrarie. Per l’autore gli ideogrammi hanno soltanto un significato simbolico: si limitano a rappresentare una cosa o un concetto affine a questa cosa. Bisognerà aspettare Champollion (1822) per capire che gli ideogrammi sono anche segni fonetici e che molto spesso vengono utilizzati come vere e proprie lettere per comporre parole. Ma, nonostante la mancata distinzione tra ideogrammi e fonogrammi, il testo di Orapollo riesce in alcuni casi ad avvicinarsi comunque ai significati dell’antica scrittura geroglifica. Questa confusione diventa ancora più evidente nel passaggio dal I al II libro. Se nella prima parte è possibile riscontrare una maggiore affinità con la cultura egizia, nella seconda parte molte spiegazioni simboliche affondano le radici in una tradizione tardoellenistica, già ampiamente conosciuta nella cultura europea. I testi di Orapollo, come ha ben spiegato Umberto Eco, vengono letti dagli umanisti come «inediti» benché siano presenti nella tradizione occidentale. Basti pensare all’uso che dei geroglifici farà Francesco Colonna nella sua Hypnerotomachia Poliphili, apparsa nel 1499 da Aldo Manuzio con un prezioso corredo di ben 168 xilografie anonime. Qui alcune immagini, pur chiamate geroglifici, non hanno niente a che fare con la tradizione egizia, ma sono invenzioni dell’autore o addirittura imitate da un antico fregio romano collocato nella Chiesa di San Lorenzo in Campo Verano a Roma. [...]
Il carattere sincretistico dei Geroglifici risponde perfettamente al disegno di Marsilio Ficino, traduttore in latino di Plotino e del Corpus Hermeticum. Per il neoplatonismo fiorentino, infatti, le affinità tra la cultura egizia, il paganesimo e il cristianesimo mostrano una comune radice di un’originaria sapienza divina, di cui i geroglifici sarebbero espressione attraverso un linguaggio esclusivamente simbolico capace di esprimere l’idea concreta e divina delle cose create.
All’interno di questo doppio e contraddittorio movimento, che caratterizza anche il dibattito rinascimentale sui miti e sulle antiche fabulae, i geroglifici diventano, nello stesso tempo, strumento per «nascondere» dietro le immagini un antico sapere divino e strumento per «svelare» attraverso una scrittura universale per immagini ciò che difficilmente l’uomo avrebbe potuto capire. Una visione ermetica (Ficino, Valeriano) e una visione «razionale» (Alberti, Erasmo) che convivono intrecciandosi e condizionando anche artisti (si pensi a Leonardo, Dürer, Vasari, Mantegna, Tiziano) o architetti (si pensi ai numerosi obelischi con geroglifici realizzati nella Roma di Sisto V [...]). Ma il mito degli Egizi servirà, più tardi, anche a Giordano Bruno per mostrare i limiti del cristianesimo: i cristiani, infatti, hanno commesso il grave errore di separare divinità e natura, mentre i sapienti sacerdoti egizi avevano identificato la divinità nella natura legandola in maniera indissolubile a una dimensione esclusivamente umana e terrena.