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La Shell paga

di Michele Paris - 10/06/2009

 
 

Alla vigilia dell’inizio di un processo che minacciava di rivelare al mondo le proprie attività nel delta del Niger, la multinazionale Royal Dutch Shell ha acconsentito a versare la somma di 15,5 milioni di dollari per chiudere una battaglia legale intorno all’esecuzione del leader ambientalista nigeriano Ken Saro-Wiwa nel novembre 1995. La multinazionale anglo-olandese, pur continuando a dichiararsi estranea ai fatti, ha finito per patteggiare una somma enorme, nonostante nessuna compagnia sia stata finora condannata per violazione dei diritti umani secondo la legge americana che aveva permesso l’istruzione del processo di fronte ad una corte di New York. Accusato ingiustamente di omicidio, Saro-Wiwa venne impiccato dal regime militare allora al potere in Nigeria in seguito a pressioni esercitate dai dirigenti della Shell, infastiditi dalle continue proteste messe in atto dal suo Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni (MOSOP).

Il caso, iniziato già all’indomani della morte dell’attivista, scrittore e produttore televisivo nigeriano, rappresenta solo la più recente di una serie di sfide portate alle grandi compagnie petrolifere accusate di devastazioni ambientali e collusione con regimi dittatoriali nei paesi del Terzo Mondo. Il movimento fondato da Saro-Wiwa nel 1990 si era distinto fin da subito per la combattività con cui denunciava i danni provocati dalla Shell all’ecosistema in cui vivono le comunità del delta del fiume Niger, dove, peraltro, si susseguono tuttora episodi di violenza di gruppi militanti che danno voce alle popolazioni locali escluse dalla distribuzione delle ricchezze derivate dall’estrazione di petrolio dalle loro terre.

Nel maggio 1994, quattro anziani della minoranza Ogoni in disaccordo con i metodi di lotta del MOSOP venero uccisi nel corso di un raduno del movimento. Pur essendogli stato impedito dall’esercito nigeriano di partecipare a questa manifestazione, l’allora 54enne Saro-Wiwa, padre di quattro figli, venne arrestato per gli omicidi e successivamente impiccato assieme ad altri otto attivisti, tra le proteste della comunità internazionale.

L’organizzazione no-profit americana Center for Constitutional Rights, per conto di un gruppo di Ogoni e del figlio di Ken Saro-Wiwa, nel 1996 aveva allora sollevato l’accusa di crimini contro l’umanità nei confronti dell’ex presidente della Shell in Nigeria, Brian Anderson. Il colosso del petrolio ha speso così ingenti risorse negli ultimi tredici anni per cercare di bloccare il procedimento legale nei suoi confronti, finché lo scorso mese di aprile un giudice di New York ha deciso il definitivo rinvio a giudizio.

Secondo l’accusa, la divisione nigeriana della Shell avrebbe insistito con il regime militare al potere per reprimere le attività del MOSOP che minacciavano le sue operazioni di estrazione nel delta del Niger. Rappresentanti della multinazionale avrebbero addirittura concordato con il generale Sani Abacha - presidente della Nigeria tra il 1993 e il 1998 - l’esito del processo nei confronti di Saro-Wiwa. Brian Anderson avrebbe inoltre offerto a Owens Wiwa la liberazione del fratello, in cambio della cessazione di ogni attività ostile del suo gruppo verso la Shell.

Le operazioni in Nigeria della Shell, iniziate nel lontano 1937 e che ammontano oggi a circa il 40% della produzione petrolifera del paese, pesano in maniera notevole sulle attività globali della compagnia con sede a L’Aia. Secondo molti critici, per contenere il più possibile i costi di produzione, nel corso dei decenni la multinazionale avrebbe adottato pratiche estremamente dannose per l’ambiente, tra cui la combustione di gas sotterranei e la distruzione di foreste di mangrovie per la costruzione di oleodotti.

Ken Saro-Wiwa, al quale venne offerto il ministero del petrolio per chiudere un occhio sugli abusi delle grandi compagnie straniere e la connivenza del governo nigeriano, e il movimento da lui creato diedero vita fin dai primi anni Novanta a plateali proteste e dimostrazioni che coinvolgevano un numero sempre crescente di abitanti locali. Per stroncare ogni resistenza, la Shell fece ricorso a gruppi militari e paramilitari, già noti per ripetute violazioni dei diritti umani.

“La tenacia dimostrata dai nostri clienti in tredici anni di battaglia legale contro la Shell ha contribuito a fissare un principio di responsabilità che trascende la stessa multinazionale e la Nigeria. Le grandi compagnie, per quanto potenti, sono tenute a rispettare gli standard universali dei diritti umani”, ha commentato Judith Chomsky, uno degli avvocati del Center for Constitutional Rights. Il patteggiamento tuttavia non si è tradotto in un’ammissione di colpa. “Eravamo preparati ad affrontare il processo per dimostrare la nostra estraneità ai fatti”, ha sostenuto Malcolm Brinded, direttore esecutivo per le attività di esplorazione e sfruttamento della Shell. “Tuttavia, abbiamo ritenuto che la più giusta soluzione fosse quella di garantire un futuro migliore al popolo degli Ogoni”.

Il pagamento di 15,5 milioni di dollari sarebbe infatti, secondo la Shell, un “gesto umanitario” che dovrebbe risarcire la famiglia Saro-Wiwa, e quelle degli altri attivisti uccisi, per la loro perdita e per coprire le spese legali. Una parte del denaro inoltre - circa 5 milioni di dollari - finirà in un fondo denominato “Kiisi” (“progresso” in lingua Ogoni), destinato a progetti educativi e ad altre iniziative a favore delle popolazioni del delta del Niger.

Le prove raccolte a carico della Shell in ogni caso apparivano chiare. Tra di esse, ricordano i legali delle famiglie nigeriane, ci sarebbe una lettera della stessa compagnia che attestava l’accordo al pagamento di un compenso a favore di una unità dell’esercito della Nigeria per alcuni servizi resi. La transazione finanziaria, avvenuta in seguito ad un’operazione nel villaggio di Korokoro nella quale un uomo rimase ucciso, risultava essere un “gesto di gratitudine ed un segnale di disponibilità per futuri incarichi”.

Grazie al patteggiamento milionario, la Shell ha così evitato un imbarazzante processo pubblico che era stato reso possibile grazie all’Alien Tort Claims Act, una legge americana approvata sul finire del XVIII secolo, verosimilmente come strumento per combattere infrazioni del diritto doganale internazionale da parte dei governi esteri, e negli ultimi anni utilizzata per perseguire nei tribunali degli Stati Uniti violazioni dei diritti umani avvenute all’estero.

Come già ricordato, le corporation finora chiamate in causa non sono mai andate incontro a condanne. Lo scorso anno, ad esempio, la Chevron venne assolta dall’accusa di complicità nell’omicidio di alcuni cittadini nigeriani che nel 1998 avevano occupato una petroliera della compagnia californiana in segno di protesta per le sue attività. Nel 2004 invece la Unocal - altra corporation petrolifera di stanza in California - patteggiò il pagamento di una somma imprecisata per evitare un processo nel quale era accusata di aver impiegato lavoratori ridotti in schiavitù per la costruzione di un oleodotto in Birmania negli anni Novanta.