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La Libia, parte della nazione araba e del mondo islamico

di Claudio Mutti* - 11/06/2009

 
 



Collocazione della Libia nel mondo arabo

Per quanto la Libia faccia parte del Maghreb, ossia dell'”Occidente” arabo, assieme alla Tunisia, all'Algeria e al Marocco, la sua posizione risulta tuttavia periferica rispetto ad esso; anzi, come si può leggere in una tesi di diploma in Scienze politiche presentata dieci anni fa all'Università di Toulouse (A. Benantar, De l'existence d'un sous-système arabe), "la Libia è integrata nel Maghreb, tuttavia la frequenza e la continuità dei suoi rapporti politici con il Mashreq [l'”Oriente” arabo, quello che dalla Siria e dalla Mesopotamia si estende a tutta la penisola arabica] la portano ad essere parte attiva del Mashreq". E al Mashreq la Libia apparterrebbe anche per via del ruolo che essa riveste nell'intreccio delle relazioni interne al mondo arabo. Anche il geografo egiziano Gamâl Hamdân considera la Libia come un paese che solo sotto il profilo antropologico e culturale può esser detto maghrebino, mentre rientra nell'ambito del Mashreq per quanto concerne le caratteristiche naturali (geologia, rilievi,clima). "La Libia - scrive Hamdân - continua ad essere l'ingresso del Maghreb e la porta del Mashreq" (J. Hamdân , Al-jumhûrîyya al-'arabîyya al-lîbîyya: dirâsa fî 'l-jughrâfîyya al-siyâsîyya, "La Repubblica Araba Libica: studio di geografia politica", 'Alam al-kutub, Il Cairo 1973, p. 104). Secondo altri ancora, la Libia apparterrebbe, con l'Egitto e con il Sudan, alla "regione del centro" (al-iqlîm al-wasat), cioè alla regione della valle del Nilo, che risulta centrale in quanto situata tra il Maghreb propriamente detto e la parte di mondo arabo situata nel Vicino Oriente.
Insomma, in ogni caso la Libia occupa una posizione centrale tra i due insiemi subregionali arabi, il Maghreb e il Mashreq, ragion per cui essa si configura come un elemento di unione tra le due ali - occidentale e orientale - del mondo arabo.

Importanza strategica della Libia
La consapevolezza geopolitica di questa posizione, nonché dell'importanza geostrategica ad essa collegata, emerge in maniera chiarissima nei discorsi di Gheddafi, il quale parla della Libia, con le sue "mille miglia di litorale mediterraneo", come di una "testa di ponte" del mondo arabo e dichiara: "L'importanza strategica della Libia non è venuta meno in conseguenza del fatto che la rivoluzione ha smantellato le basi inglesi e americane, poiché la Libia continua ad essere di enorme importanza strategica per gli Stati occidentali in caso di conflitto internazionale e per il dominio del Mare Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra al canale di Suez. (...) La posizione della Libia è fondamentale per chi intenda esercitare un controllo sul Mediterraneo e sul Nordafrica, di cui la Libia rappresenta l'antemurale" (Al-sijil al-qawmî, Bayânât wa khutab wa ahâdîth al-'aqîd Mu'ammar al-Qadhdhàfî,"Registro Nazionale, Dichiarazioni, discorsi e interviste del colonnello Mu'ammar Gheddafi", volume annuo, n. 17, 1985-1986, Centre Mondial des Etudes et Recherches du Livre Vert, Tripoli 1986, p. 961).

La Nazione Araba
Centrale del mondo arabo, nei primi anni seguiti alla rivoluzione del 1° Settembre 1969, la Libia si è proposta come centro propulsore dell'unità araba. "La Nazione Araba è un'unica nazione", dichiara Gheddafi il 28 marzo 1972 alla prima conferenza nazionale generale dell'Unione Socialista Araba.
L'Unione Socialista Araba, per citare le parole pronunciate dallo stesso Gheddafi il 28 marzo 1972, si ispira a "una dottrina d'avanguardia (...) che è stata applicata prima dall'Egitto, poi dalla Repubblica Araba Libica e dalla Repubblica del Sudan". In tal modo la rivoluzione del 1° Settembre 1969 veniva esplicitamente ricondotta ad una matrice nasseriana; d'altronde nel giugno del 1970 il Raìs Gamâl 'Abd en-Nâser si era recato in Libia e aveva detto, congedandosi dal popolo di Bengasi: "Sento che la Nazione Araba si riconosce in voi ed ha ritrovato la sua determinazione. Io vi lascio dicendo: 'Il mio fratello Mu'ammar al-Qadhdhâfî è il depositario del nazionalismo arabo, della rivoluzione araba e dell'unità araba'. Cari fratelli, che Iddio vegli su di voi per il bene della Nazione Araba. Che possiate passare di vittoria in vittoria, poiché le vostre vittorie saranno la vittoria dell'intera Nazione Araba".
L'idea dell'unità della Nazione Araba, fondamento del programma panarabo che 'Abd en-Nâser aveva lasciato in eredità a Gheddafi, viene proclamata in maniera esplicita nei discorsi pronunciati da Gheddafi nella fase iniziale della sua attività di capo politico e di teorico di una "terza via" ugualmente distante dalla democrazia capitalista e dal socialismo marxista.

L'Islam
Un libro intervista che uscì nel 1974 in francese (Kadhafi messager du désert, Biographie et entretiens par Mirella Bianco, Stock 1974; ed. it. Mursia 1977) Gheddafi assegnava alla Nazione Araba la missione storica di "lanciare l'appello all'Islam". Riconoscendo come cosa ovvia che "il Corano appartiene solamente alla Nazione Araba", Gheddafi affermava che era compito del nazionalismo panarabo rivitalizzare tutto quanto il mondo islamico, arabo e non arabo, a vantaggio del Terzo Mondo e dell'intera specie umana. "L'appello al nazionalismo arabo - diceva testualmente - si identifica con l'appello alla potenza dell'Islam".
In tal modo Gheddafi si contrapponeva a tutti quei teorici modernisti che a partire dai primi anni del Novecento avevano affermato, in maniera più o meno velata, che l'Islam aveva addormentato il mondo arabo col fatalismo, rendendolo incapace di affrontare le sfide dei tempi nuovi e causandone la decadenza. Gheddafi affermava invece che era vero esattamente il contrario: ossia che il mondo arabo era decaduto, sprofondando nell'ignavia, nell'impotenza e nella divisione, proprio perché aveva abbandonato l'Islam.
"L'Islam - dice Gheddafi - è la religione che procurò ai nostri antenati la gloria dei loro tempi. (...) Ciononostante, alcuni disprezzano tutto quanto è arabo e musulmano. (...) Noi dobbiamo ritornare alle nostre radici originarie, dobbiamo incamminarci di nuovo sul retto sentiero".
Nei discorsi degli anni Settanta, Gheddafi interviene più volte sull'importanza fondamentale della religione. "La religione - dice - è un fatto basilare nella vita umana e la stabilità dell'uomo riposa sulla religione". E ancora, in una conferenza stampa del 13 maggio 1973: "Non si può immaginare un uomo senza religione, poiché un uomo del genere sarebbe un idolatra. Noi abbiamo, grazie a Dio, una religione celeste e non adoriamo né un idolo, né un pupazzo di paglia, né un Dollaro, né una macchina".
Dell'Islam, in particolare, Gheddafi dice: "L'Islam prepara l'uomo a vivere sulla terra e dopo la morte fisica. Perciò i cittadini arabi devono aderire al concetto di giustizia, al fine di mantenersi sempre sul retto sentiero. L'Arabo deve restare fedele agl'insegnamenti dell'Islam, che sono idonei a guidare l'uomo sia su questa terra sia dopo la morte. Tali insegnamenti sono quelli che Dio ci ha trasmessi attraverso il Suo ultimo Messaggero, Muhammad (benedizione e pace su di lui)".
Gheddafi ribadisce inoltre la validità perenne del Corano, quindi la sua attualità: "Non ha nessuna importanza - dice - che il Corano sia stato rivelato al Profeta Muhammad (benedizione e pace su di lui) quattordici secoli or sono, poiché il Corano non è una teoria umana, ma sta al di là dello spazio e del tempo".
Infine riafferma il concetto islamico del dîn wa dawla, cioè dell'unità inscindibile di religione e politica, respingendo il principio dello Stato laico. "Nell'Islam - dice - non c'è nessuna separazione fra religione e politica. La separazione fra Stato e religione è d'origine occidentale. L'Islam non conosce una tale separazione".

La rivoluzione culturale. questa proclamata adesione alla tradizione islamica nasce la "rivoluzione culturale" libica, proclamata il 16 aprile 1973. Di "rivoluzione culturale", Gheddafi aveva già parlato il 19 dicembre 1971, nel discorso pronunciato nella moschea principale di Tripoli. "La rivoluzione culturale - aveva detto - non è affatto venuta dalla Cina. L'Islam la ha preconizzata da secoli. Noi dobbiamo orientarci verso una rivoluzione spirituale e culturale, una rivoluzione che avvenga all'interno di noi stessi, in modo che ciascuno di noi possa incamminarsi sul retto sentiero". Il 13 maggio 1973 definirà la rivoluzione culturale libica come "una depurazione dello spirito arabo".
L'obiettivo della rivoluzione culturale doveva consistere, secondo le parole dello stesso Gheddafi, nel respingere tutte le ideologie d'importazione, per recuperare l'identità culturale specifica della Nazione Araba, che è intimamente legata all'Islam. In una conferenza stampa tenuta il 13 maggio 1973, Gheddafi dice: "Noi non inventiamo nulla di nuovo, ma semplicemente ritorniamo alla nostra autenticità, alla nostra identità e alle nostra vera visione del mondo, operando in tal modo un ritorno alle origini".
Cito testualmente alcuni brani del discorso del 16 aprile 1973. "Dovrà prevalere la dottrina veridica, che è quella che emerge dal Sacro Corano. Dovrà esserci spazio soltanto per quelle idee in cui si manifestano il vero arabismo, il vero Islam, così come esso fu originariamente rivelato da Dio. Quanto alle concezioni travianti e sospette importate dall'Est e dall'Ovest, concezioni settarie e reazionarie, esse dovranno venire spazzate via, poiché sono contraddittorie nella loro essenza. Dovrà prevalere soltanto il pensiero che emerge dal Libro di Dio, autentica espressione di Islam, di arabismo, di umanità, di socialismo e di progresso. (...) Noi siamo contro il capitalismo e il comunismo; basta con la putrida ideologia del capitalismo, basta col marxismo ingannatore (...) Fra noi non c'è nessuno spazio per i settari che vogliono dominare il popolo attraverso il loro partito. (...) Mai più questo popolo dovrà avere bisogno di partiti o di un demagogo che sventoli ipocritamente la bandiera del Vangelo, del Corano o di credi e ideologie capitaliste, comuniste e simili. Il popolo è stanco delle teorie di destra e di sinistra; esso ha un bisogno spaventoso di infrangere le sue catene per dare via libera alla propria volontà. (...) La libertà non deve essere monopolizzata da una classe in nome del popolo. Nemico è chi reclama la libertà per se stesso, per la sua famiglia, per la sua cricca o per gli affiliati al suo partito: un tale nemico deve essere annientato. Non ci deve essere spazio, nella nostra società, per gli iscritti di alcun partito, né per corrotti capitalisti o reazionari (...) Non ci deve essere posto per l'ipocrita, l'opportunista, il regionalista, il separatista, il membro di un partito corrotto".

* Stralcio della relazione presentata al Seminario di Eurasia tenuto a Reggio Emilia il 25 Ottobre 2008