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Libano: analisi di una sconfitta

di Eugenio Roscini Vitali - 15/06/2009

 
 

Se si pensa che solo un anno fa le strade di Beirut erano teatro di violenti scontri e che il paese sembrava destinato ad una nuova guerra civile, il risultato delle ultime elezioni è la dimostrazione pratica che nel vicino Medio Oriente qualche cosa sta cambiando. Un esito che ricopre una doppia valenza politica: da una parte premia la strategia del dialogo e la ricerca del compromesso pacifico tra arabi ed israeliani promosso dalla nuova amministrazione americana, dall’altro dimostra che oggi Hezbollah non è il gruppo terroristico dipinto dai servizi segreti israeliani, il braccio armato dell’estremismo islamico alle dipendenze di Damasco e Teheran, ma una forza politica indipendente capace di saper affrontare la sconfitta scaturita da una consultazione elettorale libera e democratica.

Nei numeri, oltre all’eccezionale partecipazione che ha visto un’affluenza alle urne pari al 55% - in crescita rispetto al 45,8% delle consultazioni del 2005 - a vincere e ad aggiudicarsi 71 dei 128 seggi del Majlis al-Nuwwab, l’Assemblea Nazionale libanese, è stata l’alleanza “14 marzo”, il blocco filo occidentale formato dai sunniti del Movimento del futuro di Saad Hariri, figlio del primo ministro assassinato nel 2005, dai drusi del Partito socialista progressista di Walid Joumblatt, dai cristiani delle Forze libanesi di Samir Geagea e dalla Falange di Amine Gemayel. Alla coalizione denominata “8 marzo”, formata dai partiti sciiti, Hezbollah ed Amal, e dalla Corrente patriottica libera, il movimento cristiano del generale Michel Aoun, sono invece andati 57 seggi, un numero sufficiente per fermare ogni possibile revisione costituzionale e mantenere il contatto con vasti strati della società.

A conferma che l’alleanza “8 marzo” rimane il punto di riferimento di una larga parte della popolazione musulmana - il 40% dei libanesi è sciita mentre i cristiani costituiscono il 25% circa dell'intera popolazione - c’è il fatto che insieme ad Amal, nei distretti a maggioranza sciita, nella parte meridionale ed orientale del paese, la formazione guidata da Hassan Na’srallah è riuscita a far eleggere tutti i suoi candidati e in molti casi ha raccolto fino al 92% dei consensi. Le elezioni hanno anche rivelato la disillusione dell’elettorato cristiano che, non credendo più in un’elite politica capace di grandi battaglie, ha preferito travasare parte dei suoi voti al di fuori dei movimenti tradizionali, punendo alcuni leader delle formazioni che hanno sostenuto la Corrente patriottica libera di Aoun, quali Issam Abu Jamra e Jubran Bassil del partito Tayyar o Elie Skaff del blocco politico Takattul.

Nel complesso, Hezbollah deve parte della sconfitta proprio al Generale che pur avendo battuto l’alleato Nabih Berri a Jezzine, Walid Jumblatt a Baabda, ed il presidente Michel Suleiman a Jbeil, ha perso a Beirut e Zahleh e ha comunque subito una drastica riduzione dei consensi a Zghorta, pochi chilometri a sud est di Tripoli, e in molti altri distretti dove la compagine aounista era data per vincente. Michel Aoun, che in parlamento controllerà il blocco cristiano più ampio, è uscito dalle elezioni più forte ma con l’appoggio cristiano in sensibile declino e il fatto che in molti hanno preferito votare contro di lui conferma le sue scarse doti di aggregazione. E’ per questo che, rispetto al 2005, i margini sono diminuiti a tal punto che in molti distretti a maggioranza cristiana per battere la concorrenza ha avuto bisogno del voto sciita.

I risultati elettorali del 7 giugno vanno comunque visti anche attraverso l’Accordo di Taif, l’intesa firmata il 22 ottobre 1989 delle varie comunità etniche libanesi che, dopo 15 anni di guerra civile, hanno fatto del confessionalismo l’elemento cardine del sistema politico del paese. L’Accordo ha stabilito un assetto istituzionale, giuridico ed amministrativo in cui il principio ordinatore si basa sul peso demografico e sociale dell'appartenenza religiosa e quindi blinda l’elezione di qualsiasi parlamento al presenza di una componente cristiana e musulmana paritetica, con 64 seggi ognuno da suddividere all’interno delle rispettive confessioni religiose: 34 deputati cristiano maroniti, 27 sunniti e 27 sciiti, 14 greco ortodossi, 8 drusi, 5 armeno ortodossi, 2 alawiti, un armeno cattolico, un protestante ed uno rappresentanza per ogni altra minoranza. Bisogna poi ricordare che proprio per un’equa divisione dei poteri, la Costituzione riserva comunque la Presidenza della Repubblica ad un cristiano maronita, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ad un musulmano sunnita e quella della Camera dei Deputati ad uno sciita.

Per Saad Hariri, primo nome della lista dei papabili alla carica di primo ministro, sarà quindi arduo costituire un esecutivo che tenga fuori dalle cariche i delegati sciiti, soprattutto viste le prime dichiarazioni che parlano di un verdetto elettorale che in sostanza ha mantenuto lo status quo tra maggioranza e opposizione. A dirlo è Nabih Berri, presidente del Parlamento uscente che milita tra le fila di Amal e che probabilmente verrà confermato a capo della nuova assemblea; così come Na’srallah, Berri sostiene che l’unica soluzione praticabile è quella di un governo di unità nazionale nel quale la minoranza goda del diritto di veto. Un’ipotesi sostenuta anche dal generale Aoun che, pur avendo perso a Beirut e a Zahle, ha stravinto nelle circoscrizioni del Monte Libano e rimane quindi il più potente rappresentante della comunità cristiana libanese.

L’idea di un governo di unità nazionale, più volte respinta da Hariri perché ritenuta anti costituzionale, potrebbe invece essere appoggiata dal leader druso, Walid Jumblat, che però pretende che venga fatta chiarezza sulla questione dell'arsenale di Hezbollah. Secondo Jumblat le armi, attualmente in mano alle milizie paramilitari sciite, dovrebbero essere incorporate dall'esercito regolare: un argomento che Mohammad Raad, capo gruppo di Hezbollah al parlamento, non ritiene “oggetto di negoziato”. Na’srallah non sembra infatti disposto a rinunciare a quella che lui stesso chiama “legittimità della Resistenza libanese”, una scelta del popolo che non appartiene ad un gruppo armato e che è stata confermata dal voto.

Oltre alla seconda guerra israelo-libanese, sul risultato delle elezioni pesano sicuramente i fatti del 2005; avvenimenti che sull’onda emotiva del momento hanno influenzato il percorso politico di un paese e che oggi possono essere visti in modo diverso. L’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri, la “Rivoluzione dei cedri”, la nascita del movimento politico che prende il nome dalla grande dimostrazione del 14 marzo, il ritiro delle truppe siriane e le elezioni politiche sono tutte vicende che avrebbero dovuto segnare il rapporto tra Hezbollah e il resto del paese ma che invece non hanno intaccato la forza di un movimento politico che molti additano ancora come gruppo terroristico; un sostegno che si è rafforzato con il conflitto del luglio 2006 e che ha consacrato la resistenza ad ultimo baluardo dell’indipendenza.