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L'italia governata dai re degli appalti

di Francesco Erbani - 17/06/2009

  
 
Un libro inchiesta di Alberto Statera che denuncia una politica trasversalmente succube della speculazione e del saccheggio del territorio.

Nell'antica Mesopotamia fondare città era attività considerata divina. Sarà di questa specie la nuova città che potrebbe sorgere tra Dolo e Mirano, a cavallo delle province di Padova e Venezia, 560 mila metri quadri a poca distanza dal Passante di Mestre? Il nome circola già: Veneto City. Si innalzeranno torri di 150 metri accanto ad alberghi per mille posti letto, sale congressi, teatri, cinema, residenze. Motore finanziario saranno uffici regionali e centri direzionali. «Un sogno o un incubo?», si domanda Alberto Statera in Il termitaio. I signori degli appalti che governano l'Italia (Rizzoli, pagg. 197, euro 17, da oggi in libreria). Nel libro sfila la galleria dei nuovi e vecchi potenti oggi seduti su un'enorme catasta di cemento, da dove controllano i destini di un paese in cui la politica ha ceduto loro le armi. Quella politica che si riserva al massimo di regolare il traffico, ma senza troppa energia, e si ritrova d'accordo nell'assecondare interessi e appetiti, lasciando che il destino di città e territori sia governato dai più smaccati congegni speculativi.
In Veneto governa la destra di Giancarlo Galan e dei suoi alleati-rivali leghisti, ma sulla new town è d'accordo anche «un bel pezzo di sinistra», annota Statera. Che sintetizza in un elementare quesito il paradosso di un'iniziativa imposta dopo l'esaurirsi del radioso ciclo nordestino: «Tanti centri direzionali che cosa dirigeranno, a parte se stessi, in un deserto di iniziative imprenditoriali?».

Il reportage dal Veneto è esemplare del modo di fare inchiesta giornalistica proprio di Statera: documentazione ricchissima, raccolta ben al di là della cronaca superficiale, scrittura fluida e attraente. Ed è anche uno dei pezzi più gustosi fra quelli che Statera colleziona viaggiando dalla Milano dell'Expo alla Sardegna orfana di Renato Soru, dalla Roma governata dai Caltagirone e dai loro amici-nemici costruttori Toti, Mezzaroma, Scarpellini, fino al piccolo Molise in cui regna il clan di Michele Iorio, presidente della Regione del Pdl con sorella direttrice di distretto sanitario di Isernia, cognato primario e presidente dell'Ordine dei medici di Isernia, figlio medico chirurgo nell'ospedale di Isernia, cugino ex direttore del distretto sanitario di Isernia, moglie del cugino vicedirettrice sanitaria nel distretto sanitario di Isernia.
Dunque, il Veneto. A Vicenza - dove sta calando un villaggio per tremila soldati americani nell'area dell'aeroporto Dal Molin, un paio di chilometri dalla Basilica palladiana, unico spazio verde fino a Schio e Thiene - il sistema degli appalti è controllato da Amalia Sartori, ex socialista, ora Pdl, sconfitta dal democratico Achille Variati nella corsa a sindaco (Variati è un ex dc, fermamente contrario all'operazione Dal Molin). La Sartori è considerata, scrive Statera, «la mente del governatore Giancarlo Galan». Ed è il fulcro intorno al quale, durante la precedente giunta comunale di centrodestra, ruotavano costruttori, studi di progettazione e Irene Gemmo, presidente di Veneto Sviluppo, una finanziaria di proprietà della Regione, e socia di un'azienda che ha vinto l'appalto per l'ampliamento della Fiera di Vicenza, di cui sempre la Gemmo è socia sia con la sua società che con Veneto Sviluppo. «L'appalto l'ha vinto con il massimo ribasso?», si chiede Statera. No, con il massimo rialzo, perché a Vicenza, dove si progettano tangenziali e circonvallazioni per servire la base americana, il sistema è congegnato affinché si possa prevalere con il prezzo meno vantaggioso per l'ente pubblico. E come mai? Perché si inserisce nel bando «un punteggio altissimo per la valutazione estetica del progetto».
Il viaggio di Statera fra le termiti, insetti divoratori di danaro pubblico e di suolo, avviene seguendo «una trama fatta di malaffare trasversale, nella quale quel che resta dei partiti è ridotto a sponda degli affari e di consorterie per le quali i tradizionali concetti di destra e sinistra sono ormai un residuo giurassico». Teorico di questa società a suo modo post-ideologica è Alfredo Romeo, detto la Volpe, che saltella come gestore immobiliare fra Napoli, Milano e Roma, Genova e Pescara, e per il quale la magistratura napoletana ha chiesto l'altro ieri dieci anni di reclusione. Romeo non fabbrica solo servizi che vende ai Comuni, fabbrica anche carriere politiche: è lui che può trasformare un consigliere comunale in deputato e un deputato in sottosegretario.

Romeo è sbarcato anche a Firenze, dove una schiera di amministratori del Pd è inciampata nelle seducenti spire di Salvatore Ligresti, uno che sapeva bene come trattare con la politica quando ancora Romeo si pagava gli studi facendo il cameriere ed era iscritto al Pci. La Fondiaria-Sai è proprietaria dei 180 ettari della piana di Castello che, come a Vicenza il Dal Molin, è l'ultimo lembo di verde che interrompe la continuità cementizia verso nord-ovest. Ed è qui che dovrebbero sorgere edifici destinati a residenze e a uffici pubblici per un milione di metri cubi, risparmiando un'area da convertire a parco, che per molti era la foglia di fico che copriva l'inondazione di cubature. Ma anche il parco stava saltando, sacrificato per lo stadio di calcio voluto dai fratelli Della Valle. Su tutto questo indaga la Procura.
L'economia, dunque, non è più succube della politica, ricorda Statera, e si diletta nel saccheggio del territorio, risorsa non riproducibile. Le ultime pagine del libro Statera le dedica alla madre di tutte le inchieste giornalistiche su affari, politica e devastazione del suolo. Gennaio 1956: sull'Espresso diretto da Arrigo Benedetti esce il primo degli articoli di Manlio Cancogni sulla speculazione edilizia a Roma. Si intitola Capitale corrotta = nazione infetta. Da allora poco è cambiato, annota Statera. Ma, parafrasando Cancogni, il titolo giusto per il termitaio di oggi potrebbe essere Provincia corrotta = nazione infetta.