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Il legame tra cultura e cibo

di Jeremy Rifkin - 22/06/2009

  
"Non credo che si stia affrontando con la serietà necessaria questo momento di crisi globale". L'economista e saggista statunitense di fama internazionale, sembra scoraggiato e pessimista mentre parla di crisi alimentare, Ogm, dieta mediterranea e priorità per l'agricoltura globale. Dal portale del Mipaaf Quali sono i temi cui si dovrebbe dare priorità per lo sviluppo futuro dell'agricoltura mondiale?
L'agricoltura, insieme all'allevamento di bestiame e al consumo di carne hanno un impatto sull'effetto serra e il clima maggiore di quello di tutti i sistemi di trasporto messi insieme. L'allevamento del bestiame è all'origine del 90% dell'anidride carbonica, del 60% dell'ossido di azoto e del 37% del metano rilasciati in atmosfera. Pachauri, premio Nobel e presidente del Consiglio delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, alla domanda su quale dovesse essere la prima cosa che le persone possono fare per affrontare il problema del clima non ha risposto "Usate meno la macchina o spegnete le luci", ma: "Mangiate meno carne". È stato ignorato. Il primo passo quindi sarebbe cominciare a considerare questi problemi nella loro gravità.
Si intende tassare le emissioni di gas da edifici, industrie e auto. Perché non farlo anche per le emissioni di metano e di ossido di azoto, che derivano dagli animali e che sono più inquinanti? Lo scorso anno il Dipartimento statunitense dell'agricoltura ha emesso una circolare con la quale raccomandava di tassare le emissioni di metano. L'amministrazione Bush li ha messi a tacere. Recentemente la Danimarca ha varato una tassa su allevamenti e metano. Dovremmo seguire il suo esempio.

Risorse idriche, alimentazione ed energia. Tre emergenze che la crisi ripropone con forza. Come può l'agricoltura fare la sua parte nella risoluzione di questi problemi?
Il Foro intergovernativo sul mutamento climatico (Ipcc) ha pubblicato il quarto rapporto sullo stato della biosfera e sui cambiamenti climatici nel 2007.
2500 scienziati, 125 Paesi, 20 anni di lavoro sono serviti a dirci che avremo un aumento della temperatura di 3° C solo in questo secolo. Se ciò accadesse, la temperatura sarebbe la stessa di tre milioni di anni fa, quando il mondo era diverso. Abbiamo avuto cinque periodi di estinzione biologica e dopo ciascuno di essi ci sono voluti 10mila anni perché si ricostituisse la biodiversità andata perduta. Stiamo assistendo al tramonto della seconda rivoluzione industriale, e di un sistema energetico basato su carbone, gas, petrolio ed uranio, senza cogliere la gravità del momento. La crisi è reale e dobbiamo affrontarla. Esiste però una soluzione.

Quale?

La Dieta Mediterranea: frutta, verdura, poca carne. È una dieta salutare che permette una vita sana e duratura e, allo stesso tempo, protegge ambiente e clima. I Paesi del Mediterraneo devono farsi avanti e far sentire la loro voce. E' un'ottima occasione per l'Italia, Paese arbitro della cultura mondiale, con una storia secolare, per guidare il dibattito sull'agricoltura. Esiste una correlazione molto forte tra cibo e cultura: se sai ciò che si mangia in un luogo, capisci la cultura di quel luogo. Il cibo è un'estensione dei valori culturali. Una società all'apice della catena alimentare, nella quale si consuma molta carne, non si preoccupa del pianeta, della biosfera, degli animali, dei poveri. Una società in basso nella catena alimentare, come quelle dove è nata la Dieta Mediterranea, pensa alla qualità della vita e ad un consumo equo delle risorse disponibili.

Lei sostiene che la "cultura della bistecca" abbia amplificato il problema della fame nel mondo. Che cosa proporrebbe per cambiare rotta?
Un milione e mezzo di mucche in giro per il mondo occupano il 26% della terra disponibile e sono responsabili di buona parte dei cambiamenti climatici. Un'agricoltura fondata sull'allevamento di bestiame è meno efficiente di un motore a combustione interna. Per produrre 453 grammi di carne ci vogliono 4 kg di mangime. Un ettaro coltivato a verdura produce 10 volte le proteine che si otterrebbero dalla carne dell'animale che mangia nello stesso campo. Il consumo di carne della famiglia media statunitense, composta da quattro persone, equivale a sei mesi di utilizzo di un'auto.
Molti dichiarano che dobbiamo cambiare il nostro sistema di trasporti, migliorare la nostra edilizia, ma nessuno, fra 175 Paesi e altrettanti governi, parla di questo problema.

Autarchia intelligente, cioè modelli produttivi fondati sull'identità e le produzioni nazionali, che non escludano l'applicazione di dazi. Sembra questa la nuova direzione della politica agricola americana, e non solo. Qual è la sua opinione?
Più che parlare di tariffe punitive è bene parlare di incentivi capaci di creare opportunità per tutti. Ogni Paese deve poter sostenere l'autosufficienza a livello locale, ma anche la condivisione a livello continentale. Questo è quello che dobbiamo fare. Le nostre politiche agricole non sono fondate su questo principio. Sono fondate su interessi personali, regionali, nazionali. Bisogna ridiscuterle, come si sta facendo per quelle economiche.

La povertà ha un costo sociale, oltre che economico, non più sostenibile. L'Europa ha predisposto un piano di sostegno degli indigenti, che vede l'Italia in prima fila. Quali strumenti hanno i paesi industrializzati per migliorare il futuro di queste persone?
Il 40% dei terreni coltivati serve a produrre mangimi per gli animali e non cibo per gli uomini. Siamo circa sei miliardi di persone e arriveremo ad essere nove miliardi. La produzione ed il consumo di carne potrebbero quindi raddoppiare, e costringerci ad usare l'80% dei campi per nutrire gli animali che devono nutrire i ricchi.
Questa è una delle grandi ingiustizie del mondo e il motivo per cui siamo impantanati nella crisi. 250 milioni di persone rischiano di morire di fame, 850 milioni sono sottonutrite. Eppure, il 40% della terra disponibile viene usato per nutrire gli animali, perché i ricchi dei paesi industrializzati possano mangiare carne e, come spesso accade, morire di malattie correlate al consumo di carne. Le politiche agricole adottate a livello globale sono talmente schizofreniche da risultare patologiche. Eppure continuiamo a garantire sussidi per la produzione di mangimi: sono sussidi elargiti all'ineguaglianza, sussidi dati ai ricchi a scapito dei poveri. Non possiamo più permettercelo.

Rita Levi Montalcini ha sostenuto che "chi teme gli Ogm è un superstizioso". Lei non è d'accordo. Perché? E soprattutto ci sono alternative reali?
Gli OGM non sono un bene per l'umanità. Quando si prova a impiantare un gene nelle piante o negli animali da altre specie biologiche, si ignorano i sentieri scelti dall'evoluzione.
Quando in un pomodoro si inserisce il gene che protegge un pesce dal gelo, si fa qualcosa che nelle colture tradizionali non si può fare. E' possibile creare incroci tra specie simili ma non tra specie animali e vegetali.
Gli OGM inoltre vanno di pari passo con i brevetti. Se la Monsanto e le altre multinazionali scoprono nuove informazioni sui geni, li brevettano ed essi diventano così loro proprietà intellettuale. Non avremmo mai permesso ai chimici di brevettare gli elementi della tavola periodica quando li hanno scoperti. E anche i geni sono scoperte della natura. Per migliaia di anni i contadini hanno usato i semi ottenuti da un raccolto per quello successivo. Ora invece un manipolo di multinazionali chiudono a chiave i codici genetici dei semi di tutto ciò che mangiamo.
Trovo invece interessanti le nuove ricerche della Monsanto, della Syngenta e della Bayer rivolte alla Marker Assisted Selection (MAS), che io approvo. La MAS consente di prendere una varietà di grano o di mais, tracciare la sua mappa genetica e capire la funzione di ciascun gene. Così é possibile utilizzare parte di quei geni per ottenere varietà utili, ad esempio resistenti al freddo, di quella stessa pianta.

Quale contributo può dare l'Italia al dibattito mondiale in corso sull'agricoltura?
In ogni Paese del Mondo, a parte gli USA, c'è un legame molto forte tra cultura e cibo. Le scelte alimentari, il modo in cui si coltiva, in cui si sostengono le proprie regioni agricole, come si presenta il cibo sono estensioni dirette della propria identità. Il cibo non è solamente una merce: è anche condivisione. E gli italiani possono insegnarci molto al riguardo. Il governo italiano può mostrarci la strada giusta da seguire, quella della Dieta Mediterranea. E spero che lo faccia.

da Mipaaf