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Quando il mondo va in briciole. La depressione infantile e adolescenziale è in aumento

di Manuela Trinci - 22/06/2009



Troppi bambini e ragazzi melanconici, annoiati e inappetenti: la depressione infantile o «malattia degli affetti» sembra dilagare: pandemia o diagnosi facili?

Conquista il cuore col suo comportamento da perdente, Charlie Brown, il bambino dalla testa tonda che sempre ha bisogno di incoraggiamento, che sempre è tormentato da colpe e avvilimenti.
LA SINDROME DI CHARLIE BROWN
Non casualmente, quindi, lo psichiatra americano Symonds coniò per i ragazzini depressi il termine di «sindrome di Charlie Brown» proprio per poter spiegare, anche ai non addeti ai lavori, un quadro clinico sovrapponibile a quello del personaggio di Schulz, famoso per l’accettazione di un’esistenza candidata al fallimento e alla solitudine. E se ancora negli anni Ottanta si guardava in maniera interlocutoria a questa «malattia degli affetti» nei bambini, oggigiorno si vive in una sorta di allarme baby-depressione, amplificato dai soliti, inattendibili, dati statistici che vanno dal 4 al 7 al 12% nell’età scolare sino al 27,5% in adolescenza. Un vero e proprio boom del «male bambino» capace di far impallidire il pur notevole successo ottenuto nel medioevo dalla peste nera! Eppure è vero, anche i lattanti - se privati di affetti e sicurezze - esprimono difensivamente il loro congelamento affettivo attraverso il corpo, con disturbi del sonno, eczemi, disappetenza..., mentre per i ragazzini nell’età della ragione sono la noia cronica che li affligge, le crisi di pianto o di incontenibile eccitamento, i loro giochi che si abbozzano e mai decollano, i loro disegni dai paesaggi aridi, la mancanza di investimento e piacere, la ricerca tanto del «castigo» quanto della rassicurazione di essere amati, a far pensare di essere di fronte a piccoli melanconici, a bambini che davanti a un «dolore mentale» forte e insostenibile si «proteggono» con sentimenti di impotenza, disperazione e rassegnazione. Una modalità, dunque, di capitolazione e di ritirata. Ed è in questi termini difensivi che in ambito clinico si parla attualmente di depressione infantile, anche se, purtroppo, il vocabolario terapeutico imperante che ha contaminato il linguaggio di tutti i giorni ha reso la stessa depressione infantile una diagnosi dai confini slabbrati, una easy-etichetta gergale che rende più agevole sia il trattamento di comportamenti problematici sia quella ricerca di identità, tramite diagnosi, più rassicurante del balsamo di tigre! Ma non solo. Questa specie di oscura pandemia oltre ad aver creato un allarme generalizzato e paralizzante in genitori e insegnanti che sentono figli e allievi sempre sull’orlo di crisi, crolli e suicidi, ha fatto perdere di vista quale sia il limite fra i sentimenti normali di inadeguatezza, impotenza o colpa o rassegnazione, fra le temporanee reazioni depressive alla «perdita» e al dolore, fra bambini che entrano ed escono dallo stato affettivo depressivo (per poi arrivare a quella che gli psicologi chiamano una normale capacità di preoccuparsi e di ripare) e quello che possiamo considerare la fisionomia reale (quanto molteplice) del disturbo depressivo stesso.
SPACCATI IN DUE
Recuperare allora per i bambini un abbecedario degli affetti, una grammatica della vita interiore, contro quel pericoloso conformismo, che ha fatto della depressione il «male di crescere», diviene urgente. Per i più piccoli sbucano dai librini legioni di draghetti, conigli e pulcini e ranocchi dal muso lungo e mucche di pessimo umore che con le loro titubanze e inadeguatezze, danno voce e declinano quei malinconici sentimenti che ogni bambino sperimenta nella sua quotidiana «fatica di crescere». Per riprendersi, dunque, modi creativi di vivere la tristezza come la gioia, la sofferenza come la letizia, non mancano all’appello, in molti racconti o romanzi, neppure schiere di ragazzini o ragazzine introversi e solitari, tristi o abbattuti. Ragazzini che si sentono, magari, spaccati in due per la separazione dei genitori, o ragazzini che per il loro anomalo aspetto o per il cattivo andamento scolastico, o per un amore infelice si ritrovano con il mondo in briciole, oppure che si sentono rallentati in un mondo senza futuro.
Visioni multiple e polifonie dove non di rado si intrecciano il «dolore morale» dei figli all’umore malato, al disturbo mentale, dei genitori, la tragedia della guerra con lo svuotamento dei progetti di vita, le considerazioni serie con i consigli pratici: «Se sei depresso - suggerisce Charlie Brown - è d’aiuto appoggiare la testa al braccio e fissare il vuoto!»