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Bisanzio, inizio della modernità. Né decadente né marginale, la storia imperiale continua oggi

di Luciano Canfora - 22/06/2009

Miti Un libro dello studioso Peter Schreiner capovolge la tradizionale visione di Costantinopoli
Bisanzio, inizio della modernità

Un’antica mappa della città di Costantinopoli, fondata nel 330 d.C., che fu per lunghi secoli la capitale dell’Impero Romano d’Oriente e venne conquistata dagli ottomani nel 1453
Dovrebbe essere ormai chiaro che il «millennio» bizantino è uno dei passaggi decisivi della civiltà: unico caso nella storia d’Europa, di trapasso graduale dall’antichità al mondo moderno Fucina delle élites
Le istituzioni culturali forgiavano i gruppi dirigenti dell’impero.
Esistevano centri di tipo universitario diversi da quelli che più tardi sorsero in Occidente: avevano poco di «statale» e molto di «privato»

La casa editrice Beck di Monaco di Ba­viera, quando non si lascia prendere da furori lato sensu ideologici, pub­blica ottimi libri di erudizione specie nel campo dell’antichità e della storia bizanti­na. Basti pensare alla encomiabile tenacia con cui ha mantenuto in vita la «Byzantinische Zei­tschrift », organo della bizantinistica mondia­le, nonché il grande e insostituibile Handbuch der Altertumswissenschaft in cui apparve, alla fine del secolo XIX, la tuttora preziosa Storia della letteratura bizantina di Karl Krumba­cher, padre fondatore della disciplina. Fu nel campo del diritto che la Casa, negli anni Tren­ta, commise qualche sproposito di cui dovette poi dar conto al tempo della amministrazione statunitense della Baviera (1945-47). Ma pre­sto tornò sulla strada maestra, solo tempora­neamente abbandonata.

Anche i grandi editori scientifici debbono però adeguarsi alle esigenze del mercato (co­me, un tempo, alle esigenze della politica): per esempio alla richiesta proveniente dalle università (che sono sempre meno «universi­tarie ») di poter disporre di agili sintesi su gran­di temi o su intere epoche storiche. E Beck lo ha fatto al meglio, affidando a grandi speciali­sti il non facile compito. Così sono apparse sin­tesi essenzialissime sui Celti o sugli antichi Germani, sull’antica Atene, e addirittura Alexander Demandt, lo storico della Freie Uni­versität, specialista e cultore di Oswald Spen­gler, si è cimentato per tali collane con una sin­tesi dell’intera storia universale, come aveva fatto a suo tempo, in Italia, Gianni Rodari in un bellissimo libro per ragazzi.
Al maggiore bizantinista tedesco, Peter Schreiner, Beck ha affidato un piccolo, ma denso e aggiornato libro su Costantinopoli: Co­stantinopoli, storia e archeologia (2007), che ora esce in italiano, nei «Piccoli Saggi» della Salerno Editrice (Roma) col titolo Costantino­poli. Metropoli dai mille volti e la presentazione — che è ben più che una presentazione — di Silvia Ronchey.
Non era un compito facile, già perché il tema stesso è considerato (a torto) settoriale e unicamente «specialistico». E invece dovrebbe essere ormai chiaro che il «millennio» bizantino è uno dei passaggi decisivi della storia: unico caso, nella storia d’Europa, di trapasso graduale dall’antichità al mondo moderno. Non era un compito affatto agevole perché si trattava di andare due volte contro corrente: non solo contro il pregiudizio della marginalità di quella storia, ma anche contro l’idea vulgata di Bisanzio come impero immobile, impegnato unicamente nella millenaria attesa di poter defungere. Era poi necessario tener conto delle molte novità che la ricerca ha prodotto e presentare le nuove acquisizioni in forma pianamente espositiva. E lo sforzo è riuscito.
L’autore chiarisce sin dalle prime pagine quanto poco sia sopravvissuto della città bizan­tina ed in quali limiti ristretti si possa parlare di «archeologia» in una città così radicalmen­te trasformata dalla sua successiva storia. Ma quando passa ai temi più controversi, per esempio quello riguardante le istituzioni cultu­rali che forgiarono i gruppi dirigenti dell’impe­ro, è molto efficace nel rendere accessibile una tematica controversa e sottile. E chiarisce in che misura si possa parlare di istituzioni di tipo «universitario», quanto diverse esse fosse­ro dalle università che sorsero poi a Occiden­te, quanto (poco) di «statale» e quanto (mol­to) di privato ci fosse in tali istituzioni. Né vie­ne trascurato il contenuto dell’insegnamento che lì veniva impartito.
Ed in pari tempo è lo stesso ruolo della capi­tale che viene storicizzato, alla luce, tra l’altro, di ricerche recenti e meno recenti sulla impor­tanza culturale delle province orientali dell’im­pero, perse per sempre alla metà del secolo VII a seguito della conquista araba e, di conse­guenza, sulla nuova centralità, anche cultura­le, in cui Costantinopoli venne a trovarsi pro­prio a seguito di tali perdite. «Tuttavia — com­menta Schreiner — proprio quel momento non era il più adatto perché le Muse esiliate recuperassero nella capitale l’importanza che avevano avuto nelle antiche roccaforti della cultura».
L’altra faccia di questo problema — che for­se esula da una trattazione incentrata su Bisan­zio e nondimeno la completa — è la durata o meglio la permanenza del greco nelle provin­ce orientali (Siria, Palestina, Egitto) pur dopo la conquista araba. Su questo punto ci sono in­dizi contrastanti. Certo, un grande storico ara­bo vissuto all’incirca al tempo del Boccaccio, Ibn-Khaldun, scrive nella sua Muqaddina («Prolegomeni storici») che il califfo Omar aveva imposto che in tutti i territori conquista­ti si parlasse e si scrivesse unicamente l’arabo del Corano e che gli altri idiomi venissero ban­diti. Ma questa direttiva non si realizzò mai in modo granitico. Nella fattispecie le tracce scrit­te, attestanti l’uso del greco durano ancora ben oltre la conquista: si possono vedere, a ri­prova, le ultime tavole dell’album storico pale­ografico edito da Medea Norsa a Pisa nel 1939 ( La scrittura letteraria greca). Ed è ben noto che Hunain Ibn-Ishaq, nel suo commento a Ga­leno, descrive la collaborazione con altri dotti operanti ad Alessandria intorno al testo del grande scienziato di Pergamo. Insomma il gre­co si conservò anche fuori dell’impero e il con­tatto con l’impero rivale ebbe, nei secoli IX-X e oltre, reciproci, benefici, effetti culturali.
Schreiner conclude la sua ricostruzione ri­cordando l’ombra delle profezie escatologiche che prevedevano la fine della «città delle mera­viglie », la fine della Costantinopoli imperiale. Filofei profetava, secoli più tardi, che dopo la fine della seconda Roma sarebbe subentrata la terza Roma (Mosca) «e una quarta Roma non ci sarà». Formulazione efficace nel significare quanto la storia dell’impero apparentemente immobile di Bisanzio si prolunghi in realtà sin nel nostro presente.