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I momenti felici scorrono via leggeri come se fossero tessuti nella trama dei sogni

di Francesco Lamendola - 23/06/2009

 


È un'osservazione non certo originale quella che, mentre i momenti difficili della vita ci pesano addosso come macigni e sembra che ci stringano il cuore in una stretta di ferro, per non più lasciarlo andare, quelli felici scorrono via leggeri e impalpabili con una tale velocità, da lasciarci quasi increduli di averli realmente vissuti.
Eppure, anche a costo di sfiorare la banalità, vale la pena di riflettere in maniera approfondita su questo fatto, perché le sue implicazioni sono enormi per la nostra vita. Dobbiamo dedurne che avevano ragione Epicuro, Leopardi e tutti i grandi pessimisti della storia del pensiero, e che la vita è fatta in gran parte di noia o dolore; mentre solo poco, pochissimo è riservato alla gioia, ammesso che quest'ultimo non sia solamente il nome che noi diamo alla speranza di un bene futuro (e, di fatto, irraggiungibile) o a una breve tregua nei mali presenti? Perché, se così fosse, le inevitabili conclusioni sarebbero solamente due: o la vita è frutto del caso, e vi dominano l'assurdo e il dolore; oppure non lo è, e allora vi sovrintende una forza odiosa e malefica.
Per non estendere eccessivamente il campo della nostra riflessione, trascuriamo, per ora, il problema del male, del quale, del resto, ci siamo largamente occupati in parecchi precedenti articoli; e concentriamo la nostra attenzione sulla questione della fugacità del bene, da noi sfiorata, ad esempio, nel saggio «Malinconia e platonismo nel "Sogno di una notte di mezza estate"», o nell'articolo «Ogni persona che abbiamo amato è una pianta che stormisce al vento nel giardino della nostra anima» (sempre consultabili sul sito di Arianna Editrice).
Sì: malinconia è la prima parola che viene alla mente, quando si riflette sulla labilità, sulla elusività di quei rari, rarissimi momenti nei quali la nostra anima, dopo tanto cercare e soffrire, sembra aver trovato una pozza d'acqua fresca nel deserto più afoso, e quasi non osa credere alla sensazione di felicità e di magico benessere che l'attraversa come un fremito, donandole come una seconda, insperata giovinezza, proprio allorché si era sentita ormai vecchia e logora.
Momenti; istanti: si vorrebbe fermare il tempo; si sa, si intuisce che passeranno veloci, e non ritorneranno più; e l'esultanza della gioia presente, già si mescola impercettibilmente con la tristezza del prossimo distacco, della inevitabile partenza. Perché questo sembra essere il nostro destino terreno: dover sempre rimetterci in cammino, con i piedi sempre più stanchi e sanguinanti, dopo ogni sosta felice, dopo ogni fuggevole promessa di pienezza e di appagamento.
Si vorrebbe trattenere quei momenti, stringendo forte le dita; si vorrebbe riuscire a trattenerli per sempre, o almeno per un altro poco: momenti sublimi, di estasi, quando la ruota del tempo si ferma d'incanto e la nostra anima è rapita in alto, lontano, in una dimensione infinitamente più libera e gioiosa: come se le pesanti catene che ci trasciniamo appresso ogni giorno, e con fatica sempre crescente, fossero cadute di colpo, restituendoci uno straordinario senso di leggerezza, di spontaneità, di armonia.
Perché questa, appunto, sembra essere la suprema ironia delle cose: che mentre non ci vuole nulla per abituarsi alla felicità, e non appena la si è sfiorata, si crede di non si potrà mai più farne a meno; alla noia e al dolore non ci si abitua mai, ed essi ci pesano in maniera insopportabile, attimo dopo attimo, come se la nostra anima fosse fatta in modo da non potervisi abituare mai, come se fosse fatta solo per gioia, che pure bussa così raramente alla nostra porta…
Oppure siamo noi che non sappiamo riconoscerla per tempo, e non siamo solleciti ad aprirle la porta?
Sia come sia, il fatto è quello: mesi ed anni di sofferenza sono interrotti da qualche raro sprazzo di gioia purissima, sublime: ed ecco, il magico momento se ne sta già andando, ha già preso congedo da noi, silenziosamente com'era arrivato.
Questo, almeno, è ciò che potrebbero testimoniare moltissime persone, se avessero abbastanza coraggio per guardarsi dentro con lealtà e sincerità e se rinunciassero ad autoingannarsi, raccontandosi una versione della propria vita che non ha nulla a che fare con la realtà.
Eppure…
Il problema è che, probabilmente, la maggior parte di quelle stesse persone hanno impostato il proprio cammino esistenziale in maniera talmente inautentica, da non essersi mai rese conto che la felicità e il benessere interiore sono il premio che la vita stessa concede ai coraggiosi, agli onesti, ai leali: a tutti coloro che cercano con umiltà e con retta intenzione; che non sono disposti a svendersi; che sono disponibili a rimettersi in discussione ogni giorno, ogni ora, fino all'ultimo, pur di restare fedeli alla chiamata dell'Essere.
Una delle esperienze più ineffabili per un'anima spirituale, oltre alla meditazione e all'illuminazione interiore, è quella dell'incontro con un'altra anima spirituale, perché subito si sorvolano gli aspetti grossolani dell'esistenza e si arriva dritti al cuore delle cose. Si giunge, cioè, quasi d'un solo balzo, a quel luogo incantato verso cui tutta la vita dell'anima anela, fin dal primo momento in cui essa apre lo sguardo sul mondo: il calore, l'accoglienza, il senso di completezza che proviene dal contatto con qualcuno che ci capisca d'istinto, sino alle pieghe più intime e profonde del nostro essere; che ci legga dentro così bene, come coloro che frequentiamo abitualmente, ma superficialmente, non saprebbero fare mai, neppure nello spazio di mille anni.
Di questo, soprattutto, l'anima spirituale ha sete: di sentirsi capita; di sentirsi accolta; di sentirsi completata, arricchita, e, soprattutto, amata per se stessa, e non per le infinite esteriorità che fanno la delizia e l'unica preoccupazione delle anime materiali.
Un poeta come Shakespeare, un filosofo come Kierkegaard, un regista come Bergman lo avevano capito bene; ecco perché tante loro opere sono ambientate in una notte di mezza estate: perché mai come allora, quando l'aria fresca di giugno accarezza la pelle e le piante stormiscono alla canzone della vita che torna a fiorire, e il cielo è tutto pieno di voli di rondini; mai come allora, le anime spirituali si sentono trasportate in una magica dimensione, e, se hanno percorso dei sentieri che le hanno indotte ad incontrarsi, provano l'esultanza di aver rotto il cerchio di ferro dell'isolamento, della solitudine esistenziale, e di essere entrate a contatto con l'essenza profumata e segreta l'una dell'altra.
È un momento di stupore, di euforia, quasi di incredulità. Uno di quei momenti nei quali, di colpo, tutti i dolori, le angosce, le paure sembrano sparire per incanto, come fantasmi che dileguano al tocco di una bacchetta magica. Le cose paiono farsi improvvisamente più vivide; più intense le emozioni; più palpabili i silenzi; più rapide e gioiose le vibrazioni.
Si danno poche esperienze, in una vita umana, più poderose di questa: superare d'un colpo le barriere della reciproca diffidenza, della reciproca solitudine, e trovarsi così, quasi come portati da un tappeto magico, nella stanza più riposta e splendente di un'altra anima, affine alla nostra, venuta ad incontrarci sulle strade polverose della vita, non per caso o per distrazione. No, non può trattarsi di un caso, quando due anime affini s'incontrano.
Eppure, quei momenti sublimi sono gravidi di pericoli: perché forte è la tentazione di aggrapparsi l'uno all'altro, come due naufraghi i quali, dopo tanta angoscia e tanta solitudine, ora temono di lasciarsi sfuggire la salvezza a portata di mano, e si abbandonano a movimenti convulsi, affannosi e goffi… col risultato, magari, di farsi reciprocamente del male, sciupando nel modo più misero l'opportunità di farsi del bene.
Se vi è un insegnamento implicito nel fatto di vivere, infatti, non può essere che questo: che si viene al mondo per amare, dopotutto, e non per odiare; per cercare di farsi del bene gli uni con gli altri, e non del male; per sforzarsi di capire e, se possibile, perdonare, e non per serbare rancore e cercar di fare inciampare l'altro.
Sembrerebbe una verità così semplice, così ovvia: invece, basta guardarsi attorno anche solo per un attimo, per rendersi conto che la maggior parte degli esseri umani non è riuscita a comprendere nemmeno questa semplice, umile verità.
A volte, sono le aspettative esagerate che noi ci creiamo a proposito dell'altro, che trasformano la bellezza di un incontro nell'inferno dell'amarezza e del dolore; che distruggono il sincero desiderio di farsi del bene, e lasciano solo cenere e rovine fumanti; che trasformano i momenti sublimi in lunghi anni di rancore e di sofferenza.
Dovremmo domandarci, perciò, da dove vengano queste aspettative esagerate: solo così potremo comprendere i meccanismi perversi che possono rovinare una delle esperienze più belle che si diano nell'arco di una vita umana, l'incontro ravvicinato fra due anime.
Ora, se noi ci osserviamo in maniera spassionata e senza indossare vili travestimenti, senza indulgere in pericolose forme di autocommiserazione, dovremo ammettere che, spesso, all'origine di quelle esagerate aspettative vi è una sostanziale incapacità di accettarci e amarci per quello che siamo. Questa dinamica ci spinge a cercare negli altri quello che non riusciamo a trovare in noi stessi: accettazione e amore; e a rovesciare sulle spalle del prossimo un compito che, quanto a noi, non osiamo affrontare nemmeno con la punta delle dita: comoda scorciatoia, ma che non conduce da nessuna parte.
Nessuno può fare per noi, quello che noi non sappiamo fare per noi stessi; e quanto più saremo incapaci di guardarci dentro per ciò che siamo, accettandoci e amandoci, nonostante tutti i nostri limiti, tanto più saremo indotti a mascherare il nostro disamore per noi stessi dietro una maschera di falsa autosufficienza.
Con i trucchi, però, non si è in grado di sostituire la realtà: prima o dopo, il bisogno di trovare un autentico sostegno al nostro vuoto, alla nostra povertà interiore, ci spingerà verso le braccia di qualcuno, al quale delegheremo la responsabilità e l'impegno - praticamente impossibile da condurre a buon fine - di amarci e di accettarci al posto nostro.
E allora?
L'unica risposta costruttiva a questa situazione di stallo è di prendere atto che, nella vita dell'anima, non esistono scorciatoie; che non possiamo aspettarci di ricevere dagli altri più amore di quanto siamo disposti a concerne a noi stessi; che solo quando avremo imparato a camminare con le nostre gambe, potremo condividere un pezzo di strada con un altro essere umano - almeno nel senso più profondo della espressione.
Il vero incontro fra due anime non può essere quello fra due bisognosi; o meglio, non può essere solo questo: deve essere anche e soprattutto un donarsi reciproco, che sgorga da un equilibrio interiore già in una certa misura raggiunto, a prezzo dei propri sforzi, delle proprie cadute, delle proprie riprese. In altre parole, l'incontro profondo tra due anime è una faccenda per spiriti forti, non per spiriti deboli. La somma di due debolezze non produce mai una forza, una armonia, un bene reciproco; al contrario.
Non vogliamo dire, con questo, che il vero incontro di anime è una cosa riservata ai superuomini (o alle superdonne); tutt'altro. Vogliamo dire che la bellezza non si improvvisa; e che, per poter godere della bellezza dell'altro, bisogna prima essersi sforzati di realizzare la propria: con l'onestà interiore, con l'umiltà, con la capacità di mettersi in gioco.
Perché quando due anime spirituali s'incontrano, non vi è alcun bisogno di quella schermaglia in cui le anime materiali si attardano, timorose di esporsi, e quindi propense a dissimulare i propri sentimenti per esercitare una forma di controllo sull'altra. Le anime spirituali si espongono senza fare calcoli più o meno astuti, perché sono abbastanza leali con se stesse - e, di conseguenza, con l'altro - da mostrarsi apertamente per quello che sono.
Ed ecco che, in questa prospettiva, anche la fugacità dei momenti sublimi appare meno malinconica, meno ingannevole. Certo, i momenti sublimi durano lo spazio di un sogno: ma, nella dimensione senza tempo che si crea in un incontro fra due anime spirituali, un istante vale una eternità, e nessun rimpianto potrà offuscare la bellezza di quello che è stato; nessuna recriminazione; nessun ripensamento, rimorso o gelosia retrospettiva; nessuna sterile nostalgia.
Sono momenti destinati a durare per sempre, perché l'anima saprà custodirli gelosamente, e trasformarli in una rinnovata sorgente di energia per affrontare le lunghe, polverose strade della vita.