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Iraq: il Parlamento contro la svendita del petrolio iracheno

di Ornella Sangiovanni - 24/06/2009


Non c’è pace per il ministro iracheno del Petrolio, Hussein al Shahristani, ormai sotto tiro da tutte le parti. Dopo essere stato accusato - principalmente dai kurdi, ma non solo - di politiche fallimentari che scoraggerebbero gli investimenti stranieri in Iraq, ora gli attacchi sono di segno opposto.

A una settimana dal previsto annuncio dell’assegnazione dei contratti relativi al primo round di gare d’appalto, che vedrebbero le compagnie petrolifere internazionali entrare in Iraq dopo oltre 30 anni, a Baghdad infuria la polemica – e domani Shahristani dovrà presentarsi a riferire in Parlamento.

La posta in gioco, in questa prima tranche di gare, sono otto giacimenti in totale: sei di petrolio e due di gas: quelli petroliferi sono già tutti in produzione, e rappresentano una parte assai consistente delle riserve petrolifere accertate dell’Iraq.

Ai vincitori delle gare - le compagnie in lizza sono una trentina, per l’Italia l’ENI e il Gruppo Edison – andranno contratti cosiddetti “di servizio”, dove la società straniera viene pagata per il lavoro fatto, senza partecipare agli utili della produzione. Contratti che, tuttavia, hanno una durata di 20-25 anni.

Sono accordi che suscitano molte perplessità, all’interno della stessa industria petrolifera irachena.

Le voci di dissenso sono autorevoli: un duro attacco è arrivato da Fayadh al Nema, direttore della South Oil Company, la compagnia di Stato che gestisce i giacimenti del sud - dove è concentrato il grosso della ricchezza petrolifera del Paese.

“I contratti di servizio incateneranno l’economia irachena, ammanettandone l’indipendenza per i prossimi 20 anni. Sperperano le entrate dell’Iraq”. Più chiaro di così Nema non poteva essere, e non  è il solo a essere contrario agli accordi.
Anche in Parlamento l’opposizione è diffusa, mentre all’annuncio dell’esito del primo round di gare – il 29 e 30 giugno – mancano ormai pochi giorni.

Uno spreco di denaro

Shatha al Musawi, una deputata della coalizione sciita di maggioranza, la United Iraqi Alliance, si fa forte del parere degli esperti, secondo i quali fare entrare le multinazionali a operare nei giacimenti inclusi nella prima tranche sarebbe uno spreco di denaro – dato che si tratta di giacimenti nei quali l’Iraq ha già investito – e molto – dal 2003 a oggi.

“Dicono che l’Iraq finora ha speso circa 8 miliardi di dollari … e che non è ragionevole dopo tutti questi soldi e il lavoro intrapreso che le compagnie straniere si prendano questi giacimenti e partecipino alla produzione irachena”, dice la Musawi alla Reuters. “Ecco perché il Parlamento ha deciso di ospitare il ministro del Petrolio e questi esperti in una seduta speciale per sentire che cosa hanno da dire”.

La seduta è fissata per domani, 23 giugno, e con Shahristani a riferire dovrebbero esserci Nema e Idris al Yassiry, il direttore della Iraq Drilling Company, la società di Stato che gestisce le trivellazioni.

Sarà molto interessante ascoltare cosa ha da dire Nema, in particolare: il direttore della South Oil Company infatti ha chiesto al ministro del Petrolio di annullare il primo round di gare d’appalto.

Quasi tutti i sei giacimenti petroliferi offerti sono nel sud, e molti sono giacimenti cosiddetti “super-giganti”, ovvero con riserve che vanno dai 5 miliardi di barili in su. Fra questi ci sono Rumaila, Zubair, e West Qurna.

Production Sharing Agreements camuffati?

I deputati iracheni vogliono che il ministro del Petrolio spieghi quali benefici porterebbe l’ingresso delle compagnie straniere. Vogliono inoltre che venga chiarita la natura degli accordi: nominalmente contratti “di servizio”, ma sono ancora in molti a temere che possa trattarsi di una sorta di Production Sharing Agreement camuffati – ovvero quei contratti, i preferiti dalle multinazionali, che consentono alle compagnie straniere di partecipare alla produzione. E che in Iraq quasi tutti – sindacati del settore petrolifero, opinione pubblica, una gran parte dei parlamentari - vedono come il fumo negli occhi.

Tutti, tranne i kurdi, che li hanno adottati come unica tipologia di contratto nella loro legge petrolifera regionale.

E kurdo è Ali Hussain Balu, il presidente della Commissione parlamentare sul petrolio e sul gas, che ha più volte attaccato in passato Shahristani, accusando lui e il suo ministero di politiche fallimentari.

E che ancora una volta coglie l’occasione - sottolineando che il Parlamento ha il potere di “ostacolare, annullare, o sospendere” qualunque legge promulgata dal governo.

Potrebbe bloccare anche l’assegnazione dei contratti nel primo round di gare, gli chiedono? Sì, risponde il deputato kurdo, “questo è quello che prevediamo”.


Fonti: Reuters, The Independent, Bloomberg News