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Iraq, Le major petrolifere sbattono la porta in faccia a Baghdad

di Ornella Sangiovanni - 02/07/2009

 
Una gara d’appalto petrolifera in diretta televisiva – che vede inglesi e cinesi, insieme, tornare a lavorare in Iraq per primi, dopo oltre 30 anni nei quali le compagnie straniere nel Paese mediorientale non avevano più potuto mettere piede.

Un consorzio guidato dalla britannica BP, che comprende anche la China National Petroleum Corporation (CNPC), si è aggiudicato la fetta più grossa della torta che Baghdad aveva messo in palio nel primo round di gare d’appalto: Rumaila, una mega-giacimento che si trova nel sud del Paese, e ha riserve stimate in quasi 18 miliardi di barili.

Ma BP e CNPC sono le uniche compagnie petrolifere straniere che andranno a lavorare in Iraq – almeno per il momento.

Perché per il resto le cose sono andate male – dato che tutte le altre società che avevano presentato le loro offerte hanno rifiutato le condizioni poste dagli iracheni, sbattendo in sostanza la porta.

Diretta TV per la “trasparenza”

Ieri a Baghdad: la conclusione – molto attesa – del primo round di gare d’appalto: in ballo otto giacimenti (sei di petrolio e due di gas) che vengono offerti agli investimenti stranieri – per la prima volta - con contratti “di servizio” della durata di 20 anni. Fra le compagnie prequalificate dal ministero del Petrolio – una trentina – ci sono tutte le grosse major, e molte società nazionali.

C’è suspense, perché ancora non si sa quali abbiano deciso di partecipare alle gare – che sono state precedute da molte polemiche, nonché dall’opposizione dei sindacati iracheni del settore petrolifero, e persino da quella della South Oil Company – la compagnia di Stato che gestisce i giacimenti del sud, dove è concentrato il grosso della ricchezza nazionale.

C’è la diretta televisiva perché il governo di Baghdad vuole far vedere che c’è “trasparenza”, che tutto viene fatto alla luce del sole.

“Questi contratti sono necessari per la ricostruzione dell’Iraq”, dice il premier Nuri al Maliki, aprendo la seduta. “Sono a vantaggio degli iracheni e delle compagnie”.

Il ministro del Petrolio, Hussein al Shahristani, sotto tiro da tutte le parti, dice alla TV di Stato irachena: “”Il nostro obiettivo principale è aumentare la nostra produzione petrolifera da 2,4 milioni di barili al giorno a più di 4 milioni nei prossimi cinque anni” – un aumento, sostiene il ministro, che nell’arco di 20 anni porterà nelle casse del governo ben 1,7 trilioni di dollari.

Alle compagnie, straniere, invece - sottolinea Shahristani, come per rispondere alle polemiche e alle critiche che gli sono state rivolte - andranno solo 30 miliardi di dollari. Il resto, aggiunge il ministro, “è una quantità enorme che finanzierà progetti di infrastrutture in tutto l’Iraq: scuole, strade, aeroporti, abitazioni, ospedali”.

Si parte. Il primo giacimento è quello di Rumaila: si trova nel sud, ai confini con il Kuwait, e vede la sfida fra due consorzi di compagnie: uno guidato dalla britannica BP, assieme ai cinesi di CNPC, l’altro che ha come capofila l’americana Exxon Mobil, che si presenta assieme alla malese Petronas.

Ad aggiudicarsi la gara sono BP-CNPC: perché hanno accettato i termini del governo iracheno, ovvero di rivedere la propria offerta – al ribasso – accontentandosi dei 2 dollari al barile offerti da Baghdad, invece dei 3,99 che avevano chiesto.

La Exxon Mobil, invece, non ci sta: voleva 4,80 dollari al barile, più del doppio di quanto sono disposti a pagare gli iracheni.

Come funziona

E qui bisogna spiegare – in breve – come funziona.

Con questi contratti – che vengono definiti “di servizio” – la compagnia straniera non ha diritto a partecipare agli utili della produzione (a differenza di quanto avviene con i cosiddetti Production Sharing Agreement – PSA, i preferiti dall’industria petrolifera), ma viene pagata per il lavoro fatto.

Il ministero iracheno del Petrolio stabilisce una quota minima di produzione per ogni giacimento: la compagnia riceve un tanto al barile – la cosiddetta fee, nel gergo tecnico - solo dopo averla superata.

Nelle offerte, le compagnie includono la loro richiesta, che va messa a confronto con la cifra massima che il ministero iracheno del Petrolio è disposto a pagare.
E che nel caso delle gare di ieri si è rivelata sistematicamente più bassa – e di molto – rispetto a quanto le compagnie chiedevano.

E così, dopo l’assegnazione di Rumaila, i problemi continuano, e non si risolveranno tanto facilmente. Perché le compagnie si sfilano una dopo l’altra.

Le compagnie si sfilano una dopo l’altra

Nord Iraq: giacimenti di Kirkuk e Bai Hassan. Ci vuole attitudine al rischio perché si trovano in una provincia contesa fra arabi e kurdi – con il Governo Regionale del Kurdistan che ha già fatto più volte la voce grossa.

Infatti poche compagnie si sono lanciate. Per Kirkuk, c’è solo la Royal Dutch Shell, che storicamente ha messo gli occhi su questo giacimento. Ne vale la pena perché le sue riserve sono stimate in quasi 8 miliardi di barili.
 
La compagnia anglo-britannica chiede quasi 7,90 dollari a barile, il governo iracheno ne offre 2.

A Bai Hassan le cose vanno ancora peggio: il gruppo guidato dall’americana Conoco Phillips vuole ben 26,70 dollari a barile – Baghdad è disposta a offrirne solo 4.

Si passa a Maysan: si tratta in effetti di tre giacimenti (Fakka, Buzurgan, e Abu Gharab), che vengono offerti come un unico blocco. Sono nel sud-est del Paese, e anche qui c’è un solo concorrente: un consorzio cinese con la CNOOC per capofila, che comprende anche la Sinopec. I cinesi chiedono 25,40 dollari al barile, gli iracheni sono disposti a pagarne solo 2,30.

Zubair e West Qurna Fase 1 – due grossi giacimenti nel sud – fanno più gola.

Per il primo (che ha riserve stimate in 4,1 miliardi di barili) sono in gara quattro consorzi – fra cui uno che ha come capofila l’italiana ENI. Gli altri tre sono guidati rispettivamente da BP (ancora), dall’indiana ONGC, e dalla statunitense Exxon Mobil.

West Qurna: i gruppi in gara sono cinque - capofila la francese Total, la russa LUKOIL (che aveva firmato un contratto ai tempi di Saddam, poi annullato, ma non ha mai perso le speranze di riaverlo), la spagnola Repsol, e poi di nuovo la Exxon, e i cinesi di CNPC, che già lavorano ad Ahdab – nella provincia di Wasit, nel sud.

Ma l’affollamento dura poco.

Il consorzio guidato dall’ENI vince la gara, ma si ritira, dopo aver visto che gli iracheni vogliono pagare solo 2 dollari al barile, a fronte dei 4,80 che erano stati chiesti.

Tutti gli altri gruppi respingono le offerte di Baghdad: le loro richieste erano anche 10 volte tanto.

Per i due giacimenti di gas non va meglio.

Il Gruppo Edison – italiano – che mirava ad Akkas, nella provincia di al Anbar presso il confine con la Siria, ha fatto cadere la propria offerta.

Per Mansuriya invece offerte non ce ne sono proprio state. E’ nella provincia di Diyala, e, apparentemente, non ci vuole andare nessuno.

Shahristani soddisfatto, il Consiglio dei ministri respinge le nuove offerte delle compagnie

E ora che succede?

Il governo iracheno non ha fatto una bella figura, e Shahristani, il ministro del Petrolio che questi contratti aveva fortemente voluto, è più esposto che mai.

Anche se ostenta sicurezza. Negando che la gara sia stata un fallimento, insiste che l’obiettivo primario del suo governo – aumentare la produzione di petrolio dagli attuali 2,4 milioni di barili al giorno a più di 4 milioni nei prossimi cinque anni – verrà raggiunto.

“Sono molto soddisfatto, perché da Rumaila produrremo oltre 4 milioni di barili al giorno”, dice.

Secondo il ministro del Petrolio, le compagnie straniere avrebbero gonfiato le loro richieste per coprire i costi della sicurezza.

Comunque sia, non è finita bene.

Alla fine della giornata di ieri, il ministero del Petrolio ha chiesto alle compagnie di rivedere le loro offerte.

Le nuove offerte, che non sono state rese pubbliche, sono state presentate al Consiglio dei ministri, che oggi le ha respinte – dando il via libera invece al contratto BP-CNPC per Rumaila.

Il portavoce del governo di Baghdad, Ali al Dabbagh, ha detto alla Agence France Presse che a sviluppare i due giacimenti di gas, Akkas e Mansuriya, saranno le compagnie di Stato irachene. Forse la stessa soluzione sarà adottata per il giacimento petrolifero di Kirkuk.

I commenti che arrivano dall’industria petrolifera non sono teneri.

“E’ una grossa delusione”, dice alla Reuters Samuel Ciszuk, analista della IHS Global Insight. “L’Iraq aveva legato tutto il suo sviluppo a questo round di licenze … il fatto che sia stato assegnato un solo giacimento è molto deludente. E’ un flop”.

Fonti: Reuters, Associated Press, Agence France Presse