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Teoria dell'infocaos. L'effetto farfalla

di Alessio Mannucci - 06/07/2009






È il concetto base della teoria del caos.

Lo scrittore Ray Bradbury, quello di "Cronache Marziane" e "Fahrenheit 452",in un suo racconto del 1952, "Rumore di Tuono", narrava le disavventure di
un uomo tornato da un viaggio nel tempo ignaro del fatto che una farfalla si era appiccicata alla suola dei suoi stivali causando imprevedibili
ripercussioni spazio-temporali. Ne hanno tratto proprio il film "Butterfly Effect" (che originalità), e in un altro film di Peter Hyams, quello di
"2010 L'anno del contatto", che è il seguito di "2001:Odissea Nello Spazio" di Kubrick.

Il caos stà tornando prepotentemente alla ribalta. Come se non bastasse quello che ci stà ammazzando.

Il padre putativo dell'effetto farfalla è però considerato il fisico e metereologo Edward Lorenz, che il 29 dicembre 1979 presentò alla Conferenza
annuale della American Association for the Advancement of Science una relazione in cui ipotizzava che il battito delle ali di una farfalla in
Brasile, a seguito di una catena di eventi imprevedibili, potesse provocare una tromba d'aria nel Texas.

Ma come gli era venuta in mente questa idea apparentemente così bizzarra per non dire folle ?

Nel corso di un programma di simulazione del clima, Lorenz fece
un'inaspettata quanto importante scoperta: una delle simulazioni climatiche
che stava adottando si basava su dodici variabili e contemplava anche
relazioni di tipo non-lineare. Lorenz scoprì che, ripetendo la stessa
simulazione con valori leggermente diversi (una serie di dati veniva prima
arrotondata a sei cifre decimali, e successivamente a tre), l'evoluzione del
clima che in questo modo veniva elaborata dal computer presentava proprio un
effetto farfalla: modelli climatici completamente differenti si alternavano
e si sovrapponevano in modo inspiegabile.

Questo spiega perché le previsioni meteorologiche, sebbene descritte con le
equazioni deterministiche della fisica fluidodinamica e termodinamica, ed
elaborate con raffinate tecniche di calcolo eseguite da super computer,
producono risultati sempre molto approssimativi.

Fu così che Lorenz scoprì il caos.

Se avesse letto la Teogonia di Esiodo non si sarebbe tanto meravigliato.

Il problema era che ne stava fornendo una prova scientifica, la prova del
caos.

Fu un duro colpo per la comunità scientifica mondiale che andò letteralmente
nel Panico.

Questa scoperta rischiava di mandare all'aria tutti i piani deterministici
di rigida irrigimentazione delle società. Se si cominciava a spargere le
voce che in un qualsiasi sistema complesso (cioè tutti) piccole differenze
nelle condizioni iniziali producono una catena di eventi non prevedibili,
che senso avrebbe più avuto qualsiasi tentativo di instaurare un sistema
stabile e ordinato ?

E se fossero venuto a saperlo le masse, questa orda selvaggia di animali
domestici da tenere al guinzaglio, che cosa sarebbe potuto succedere ?

Sarebbe stato un bel casino.

Ecco allora entrare in gioco una grande furbata: i modelli caotici. Spesso,
per spiegare il comportamento di un sistema (come la crescita della
popolazione o le variazioni climatiche) si ricorre ad un modello. Un modello
è una riproduzione semplificata della realtà, ossia un'astrazione che prende
in considerazione solamente le principali caratteristiche di quello che è il
reale oggetto di studio, omettendone altre. Tuttavia, un modello, sebbene
limitato, in quanto non riproduce completamente la realtà, permette di
esaminare gli aspetti più importanti di un problema. In fondo è esattamente
quello che fà la nostra mente quando si trova ora in questa ora in quella
situazione, agisce in base a dei modelli mentali, non è in grado di poter
valutare tutte le variabili che entrano in gioco, perché sono infinite.

Ma almeno la nostra mente è aperta e dinamica (almeno dovrebbe), pronta ad
interagire con le variabili che le si presentano, un modello statico no.
Verrebbe da chiedersi: ma se veramente sto caos è dappertutto, e i suoi
effetti sono imprevedibili, come riusciamo per esempio a mandare un razzo
sulla luna, o far decollare un aereo a una certa ora e farlo atterrare ad
un'altra da un dato luogo ad un altro con una certa regolarità ?

Rimane un mistero.

C'è da dire che non sempre questo è vero perché spesso si verificano degli
imprevisti, due navicelle dello Shuttle sono esplose per esempio, tanti
aerei non arrivano mai a destinazione, altri ti piombano perfino in casa.

Ma nella maggior parte dei casi l'uso dei modelli sembra funzionare. Come è
possibile ?

Bisogna considerare che ormai questi modelli sono super-sofisticati e da
quando è stato scoperto l'effetto farfalla hanno imparato a contemplare
anche la teoria del caos.

Ma non sono ancora affidabili al 100%. E probabilmente mai lo saranno.

Quelli del controllo e della sicurezza rimarranno sempre dei falsi miti.

STRANI ATTRATTORI

Lo studio dei fenomeni caotici è stato reso possibile dall'introduzione,
poco più di un secolo fa, di una geometrizzazione della meccanica ad opera
del matematico francese Henri Poincaré. Egli inventò il concetto di "spazio
delle fasi", uno spazio matematico immaginario che rappresenta tutti i
movimenti possibili di un sistema dinamico dato. Uno dei frutti
dell'innovazione di Poincaré è che nello spazio delle fasi appaiono delle
forme geometriche, dette !"strani attrattori", che permettono di
visualizzare la dinamica caotica del sistema, chiamata anche "geomentria del
caos". Una tipica geometria del caos è quella dei frattali (come ad esempio
la forma delle coste terrestri). Una delle proprietà più sorprendenti dei
frattali e la cosiddetta "invarianza di scala", ovvero mostrano una
struttura identica a qualsiasi livello di ingrandimento o di
rimpicciolimento.

La presenza di strani attrattori è invece considerata una particolarità dei
sistemi caotici chiamati "dissipativi" come il moto delle acque tumultuose
di un torrente di montagna, oppure di un forte vento. Ad esempio, per
seguire l'andamento della traiettoria di una pallina da ping-pong lanciata
in mare aperto, si prenderà in considerazione come "strano attrattore" la
superficie del mare. Tutti questi sforzi di modellare la realtà caotica,
sono stati fatti per cercare di "dare ordine al caos". Si è giunti alla
conclusione che anche in un sistema caotico si possono fare molte previsioni
e che un sistema caotico è anche un sistema intelligente, non opera cioè
solo in base al caso.

Questi complicati paradossi della fisica moderna hanno alimentato la
fantasia di molti scrittori di SF. Non a caso si è scelto di dare proprio il
titolo "Strani Attrattori" alla edizione italiana di Semiotext(e) (antalogia
di fantascienza radicale, Shake Edizioni), che raggruppava una serie di
mostri sacri come Ballard, Sterling, Shirley, Rucker, Gibson, Burroughs, e
molti altri minori, messi insieme da Hakim Bey r e R. Anton Wilson . A
rileggerli oggi ci si rende conto di come siano stati incredibilmente
superati dalla fantarealtà.

TEORIA DELL'INFOCAOS

Ma cosa c'entra tutto ciò con la rete ?

Alan Turing, uno dei padri delle prime teorie di Intelligenza Artificiale, e
anche della bomba atomica, in un suo saggio del 1950, "Macchine calcolatrici
e intelligenza", scriveva: "Lo spostamento di un singolo elettrone per un
miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la
differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l'uccisione di un uomo un
anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza".

Nel congresso della American Association for the Advancement of Science
tenutosi nel febbraio 2004 a Seattle, Jon Kleinberg, professore di scienza
dei calcolatori alla Cornell University, ha proposto una nuova (?) teoria,
dell'infocaos: "Come può un e-mail in Brasile provocare il crollo delle
azioni della borsa di New York ?".

Una provocazione ?

SEI GRADI DI SEPARAZIONE

Negli anni '60, un pionieristico lavoro del sociologo Stanley Milgram,
dimostrò che nel mondo ogni persona è collegata alle altre da una media di
circa sei persone diverse.

L'idea fu sfruttata anche dal bel film di Fred Schepisi del 1993.

È il cosiddetto fenomeno del piccolo mondo (Small World Phenomenon) che
recentemente ha incontrato nuovo interesse grazie ad una serie di studi che
invece di prendere in esame i legami sociali fra individui tramite la posta
tradizionale (così come l'esperimento originario di Milgram) considera le
tecnologie internet-based (l'e-mail su tutte).

SOCIAL NETWORKING

Dato che oggi sempre più persone sono interconnesse grazie alle tecnologie
della comunicazione, è sempre più facile essere in contatto con altre
persone usando come intermediari amici, amici di amici, amici di amici di
amici e così via (fino ad una media di 6) che raggiungiamo tramite e-mail,
chat, siti, SMS ecc...

Da questa teoria dei 6 gradi di separazione improvvisamente tornata in auge
è nata l'idea dei "social networks" e del "data mining", cioè di analizzare
le dinamiche sociali che si creano tra le comunità virtuali mediante
software specializzato.

Ma a quale scopo ?

Siamo alle solite: si cerca di sondare costantemente il caos
socio-informativo che anima la rete per ricavare informazioni utili a fini
lucrativi e speculativi. Ci sguazzano le industrie dell'entertainment, della
finanza, del commercio, e, manco a dirlo, è un settore di particolare
interesse anche per le forze di psicopolizia (non c'è niente che li spaventa
più del caos).

Ma nessuno si chiede perché a questa facilità di comunicazione e stragrande
quantità di informazione da cui siamo sommersi non corrisponde una maggiore
qualità di relazione, e perché invece aumentano l'incomunicabilità e la
psicopatologia.

È solo colpa dell'infocaos ?

EFFETTO DISCONNESSIONE

Questi quesiti ahnno alimentato l'opera di due grandi artisti e visionari
come James Ballard e David Croneberg. Vi ricordate "Crash ?", il film di
Cronenberg tratto dal libro omonimo di Ballard. Trattava proprio dell'
"effetto disconnessione". Cosa dicevano in sostanza: la tecnologia in sè è
solo un mezzo, può comportare sia un progresso che un regresso, a seconda di
come e perché viene utilizzata.

In particolare, usando la metafora della fusione tra uomo e automobile,
mettevano in guardia da quello che stava avvenendo già all'epoca: con il
presunto progresso della tecnologia stava aumentando l'alienazione
dell'individuo e la perdita del contatto con la realtà, da cui derivavano
gravi psicopatologie e un generale disfacimento di valori e delle relazioni
umane. Altro che potenziamento della comunicazione. Qui stà andando tutto a
schifio: telefoni cellulari, computers, viaggi spaziali, tutto questo non ci
stà mettendo affatto in maggiore connessione ma in maggiore disconnessione.

Era il tema anche di "Hello Denise", una divertente commedia di Hal Salwen.
Ma anche, ancora prima, negli anni '80, di "American Psycho", di Bret Eston
Ellis. Per dire che di segnali di allarme ne avevamo già ricevuti.
L'incomunicabilità è stato il tema centrale di tutto il cinema di
Michelangelo Antonioni. Ma forse quella che per tanto tempo abbiamo ritenuto
essere grande arte, tanto grande non era.

MEDIA ECOLOGY

Il netattivista Alexander Galloway, ex Rhizome, membro del collettivo RSG,
tra gli autori del software artistico Carnivore, attualmente docente di
"Media Ecology" alla NY University, proprio in questi giorni (vedi
Neural.it) ha pubblicato un testo dedicato alla questione.

Si chiede Galloway: "Quanto la struttura condiziona il contenuto ?" (e
viceversa).

Per riprendere un tema dibattuto su questa lista: siamo sicuri che la rete
(o anche una micro-rete come una mailing-list), si fà da sola ?

I protocolli di rete, la serie di regole che consentono l'intersezione e la
comunicazione tra i vari nodi, senz'altro determinano forma e struttura, ma
ai contenuti chi ci pensa ?

Prendiamo ad esempio una rete sociale reale costituita da esseri umani. Per
strutturarsi e prendere forma sarà necessario prima di tutto servirà un
luogo di incontro, un'isola nella rete, un nodo, un punto di aggregazione,
ad esempio un raduno, una cena, una festa, nel caso della rete un sito, una
mailing-list, una chat. Poi occorrerà stabilire un protocollo di
comunicazione, una lingua comune, se no non ci si capisce.

Secondo Galloway, gli attuali protocolli di comunicazione (come il tcp-ip ad
esempio), più che liberare e creare maggiori possibilità d'interazione,
servono a implementare forme di controllo. Il ché è vero solo in parte.
Perché se a regnare è l'infocaos, così come regna il caos nel mondo reale,
nessuno è e sarà mai in grado di controllarlo in modo totale, anche se
sicuramente ci provano.

Dobbiamo prendere atto che si combatte una "guerra infinita", non solo di
informazione, ma anche di protocolli di comunicazione. Una guerra in cui
sono in gioco relazioni di potere, ideologie, tecniche, tattiche: tutto
concorre alla continua ridefinizione dell'infrastruttura fisica e
metafisica, hardware e wetware. D'altronde, proprio lo scardinamento degli
standard di comunicazione imposti dalle corporations è l'obiettivo
dichiarato delle pratiche hacktiviste.

Con quali risultati ? Dare via libera all'infocaos ?

CYBER SOCIAL CIRCLES

Ogni movimento che avviene nella rete è computabile, si può cioè descrivere
mediante modelli matematici. Anche le più minime variazioni, i rimbalzi di
e-mail e gli scambi di file nelle reti peer to peer. Fà tutto parte
dell'infocaos, la vera anima della rete. Molti net-artisti, in concorrenza
con l'FBI, hanno provato a dargli una forma.

Tra questi, c'è chi ha proposto una "socio-visualizzazione" del magma
caotico delle mailing-list. Si chiama Social Circles, a cura di Marcos
Weskamp e Dan Albritton, e ha preso di mira alcune note mailing lists come
quelle di Rhizome e Microsound.

Ma a che ci serve tutto ciò ?

Per il momento è solo un'intuizione, una provocazione, che mette in risalto
appunto la natura caotica del networking, ma che nello stesso tempo cerca di
trarne un senso estetico, prova a tracciare una mappa di orientamento
nell'infocaos.

Ed è proprio quello che ci serve.

FARI NELLA RETE

Al convegno della AAAS, nel corso delle sessions relative all'analisi
matematica delle strutture comunitarie di internet, sono venuti fuori una
serie di algoritmi di calcolo studiati per dare conto del modo in cui si
organizzano i gruppi sociali su internet e anche del tipo di percorso fatto
dalle e-mail "bufala" o spam che dirsivoglia.

Studiando la crescita delle reti rispetto al tempo e le strategie dei
co-autori di articoli scientifici, Kleimberg è giunto alla conclusione che
internet stimola la diffusione di idee e di saperi quando diventa lo
strumento utilizzato da alcuni opinion leader per mantenersi in contatto con
diversi gruppi sociali (più o meno influenti). Newsgroup, siti,
mailing-list, web, forum e, più recentemente, blog, contribuiscono ad
amplificare l'audience e la discussione di determinati argomenti.

Quello che ci serve sono delle cyber-bussole. Dei punti di riferimento, dei
fari nella rete.

Surf or Die si diceva, surfa o muori, ma non possiamo surfare all'infinito
altrimenti finiremo per affogare. Ogni tanto dobbiamo pur approdare su
qualche isola, sentirci al sicuro da qualche parte, stabilire dei contatti,
radicarci su un territorio, anche se ciberspaziale.

Per poterlo fare abbiamo bisogno di fari che ci indichino la direzione, la
rotta da seguire. Non a caso "kubernetes" in greco significa timoniere,
colui che dirige la navigazione, non colui che và alla deriva. C'è una
differenza sostanziale tra navigare e naufragare.

I KNOW YOU GOT SOUL

Torniamo alla nostra isola-cena-festa-raduno. Poniamo che in qualche modo
siamo riusciti a stabilire un contatto e un protocollo di comunicazione,
riusciamo a capirci in qualche modo. Tutto ciò, e già sarebbe un grande
risultato, non è ancora sufficiente per far nascere una comunità.

Cosa serve ancora ? Ci serve una piattaforma comune, ovvero un ideale
comune.

Deve entrare in gioco una competizione e una selezione naturale. Perché
questo sia possibile è necessario un confronto e anche un conflitto, un
incontro-scontro. Ma per confrontarci-scontrarci dobbiamo anche guardarci in
faccia, negli occhi.

Questo in rete non può avvenire. Quali sono gli occhi e le facce che si
incontrano in rete ?

Sono visi senza volto. Sono occhi virtuali. Per il momento sono perlopiù
occhi testuali. Ma chi ci vieta di dargli un corpo, anche se virtuale,
costruendoci e personalizzandoci degli avatar grafici ?

Nessuno.

Ma tanto, poi, ciò che conta sono i contenuti. Tutte le forme sono solo un
illusione. È l'anima che deve manifestarsi.

Quindi per riassumere brevemente:

IL CAOS È SOVRANO

Il caos (e l'infocaos) è sovrano, lo è sempre stato e sempre lo sarà.

Non c'è alcun bisogno di alimentarlo, si alimenta da solo, siamo tutti
agenti del caos.

E neanche di liberarlo, perché nessuno può imprigionarlo.

Il caos nasce in realtà dal sistema stesso. Ordine e caos sono
indissolubilmente legati e in continua evoluzione.

INTELLIGENZA CONNETIVA

In una rete neurale, così come in una rete informatica, l'accrescimento
della potenza e della qualità di elaborazione non cresce proporzionalmente
all'aumento dei nuovi neuroni-nodi, ma piuttosto al crescere del numero di
connessioni che si stabiliscono tra essi.

Ciò che possiamo provare a fare allora è cercare di dare un ordine al caos
(e all'infocaos).

Costruire dei protocolli più funzionali.

Tracciare delle mappe di orientamento.

Mettere in connessione corpi e menti.

Illuminare la navigazione.

INTELLIGENZA COLLETTIVA

Si credeva che sarebbe bastato liberare l'infocaos per fare emergere una
"intelligenza collettiva".

Così non è stato.

È emerso il lato oscuro dell'infocaos: l'information overload (che produce
disinformazione) e la ciber-psicopatologia (varie forme di net-addiction e
in generale un aumento dell'incomunicabilità e un abbassamento nella qualità
delle relazioni).

Se non la riforniamo di intelligenza individuale, più che un'intelligenza
collettiva emergerà una sempre maggiore "stupidità artificiale".

GHOST IN THE MACHINE

Senza un'anima non ci sarà mai alcuna intelligenza.

Allora diventiamo tutti più responsabili.

animiamoci e rianimiamoci.

La rete non si fà da sola. Siamo noi la rete.