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Jackson e dintorni

di Paolo De Gregorio - 06/07/2009



Nessuno può dubitare della enorme importanza che negli ultimi 40 anni ha
avuto il consumo di massa della musica nel formare la “cultura” dei giovani e
cambiare i loro comportamenti e le loro più intime convinzioni.
Basterebbe osservare come la musica rock ha agito nello sbloccare i corpi
irrigiditi dalle formalità e dalle regole della musica classica e melodica,
liberando una gestualità personale, una sensualità libera da abiti e modelli
costrittivi, attuando una rivoluzione sessuale ed estetica epocale, attingendo
a ritmi di origine africana che hanno in sé profonde pulsioni di liberazione e
di sensualità.
Purtroppo accanto a questa valenza culturale positiva, criticata dai preti
come “musica del diavolo”, perché superava tutti i modelli sessuofobici imposti
dalla chiesa, ben presto si è accostato, il consumo di droghe, pratica
suggerita dai comportamenti personali delle rockstar, dai contenuti delle
canzoni (sex-droug-and rock and roll) e dalle mode nate nelle suggestioni dei
grandi concerti che veicolavano il concetto che musica e sballo vanno
insieme. 
Dalla fine degli anni 60 in poi questo grande fenomeno della rivoluzione
musicale è stato preso saldamente in mano dalla grande industria anglofona, che
oltre a macinare profitti economici, si è resa conto che la piacevolezza delle
droghe, la rivoluzione sessuale, le luci sfolgoranti dei grandi concerti,
portavano i giovani sul terreno dell’edonismo e del consumismo, abbandonando
per sempre impegno politico, lucidità, razionalità.
Nello stesso periodo storico, un altro grande fenomeno sociale di massa
cambiava completamente pelle, lo Sport, che veniva piegato alle esigenze del
capitale che ne faceva uno sfolgorante spettacolo, introduceva il denaro come
sinonimo di successo, favoriva l’uso di sostanze chimiche per vincere ad ogni
costo, e così fiancheggiava il modello musicale, ingabbiando la maggior parte
dei giovani nella sua “cultura”.
Sfido chiunque a negare che nella formazione mentale delle ultime generazioni
vi siano elementi di maggior peso delle suggestioni musicali e di quelle
sportive.
La vecchia e giusta identità classista, che divideva il mondo tra sfruttatori
e sfruttati, fu sgretolata da quella “omologazione culturale” che già Pasolini
aveva percepito, ad opera di chi puntò sulla emozionalità, sul consumo di
droghe, sul sesso, sull’avere invece di essere, sul consumismo, con il potere
dei poteri che è sempre stato quello della proprietà dei mezzi di
informazione.
La prova provata di queste affermazioni è che il potere politico in Italia è
stato preso da un monopolista dei media e contemporaneamente presidente di una
grande società di calcio.
Arrivando a Jackson e alla sua triste fine, non credo che lui abbia milioni
di fans per la sua voce o per la sua presenza scenica. Credo invece che la cosa
sia semplicemente identitaria, ossia che milioni di persone si identificano
nella sua personalità disturbata, triste, che non vuole essere nero e che
pretende di diventare bianco con innumerevoli interventi chirurgici, quindi un
personaggio che sfida e cambia la natura, un personaggio dalla sessualità
ambigua ed indefinita che si lascia la porta aperta a qualunque esperienza, una
persona ricchissima e spendacciona, ma che da tanti miliardi non ha ricevuto
felicità.
La musica, i soldi, i farmaci e le droghe di cui faceva uso, le accuse di
pedofilia, le sale operatorie per diventare bianco, non sembrano il vissuto di
una persona felice e il vero problema è capire come e perché milioni di persone
si identifichino con questo personaggio se non arriviamo alla conclusione che
vi sono milioni di persone irrazionali, infelici, sbandate, impasticcate, che
trovano l’unico punto fermo in chi gli assomiglia.
Ho appreso di alcuni suicidi in suo nome e questo rafforza in me la
convinzione che la musica c’entra fino ad un certo punto, e la ricerca è quella
di trovare una identificazione nella sensibilità di un personaggio famoso nel
totale deserto dei punti di riferimento e di valori.