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L'economia ecologica oltre la crisi e nel post sviluppo

di Marinella Correggiai - 08/07/2009

La crisi dell'economia finanziaria e reale in Europa ha ridotto del 4-5% le emissioni di CO2. Non è un fenomeno volontario, né da parte dei governi né da parte dei cittadini. Ma potrebbe andare nella direzione dell'economia ecologica. Questo è quanto ha detto con ottimismo Joan Martines-Alier dell'Università autonoma di Barcellona al convegno internazionale "Economia ecologica e crisi" organizzato dall'associazione A Sud e dal progetto europeo Civil Society Engagement with Ecological Economics- Ceecec. "Spesso pensiamo che l'Europa sia più avanzata sulle lotte ambientali - ha sottolineato Alier - invece la maggio parte di queste avvengono nel Sud e abbiamo da imparare. Là ci sono le proposte più costruttive dell'economia ecologica". E anche al tempo stesso le situazioni più estreme di abusi, come sottolinea la campagna per la creazione di una Corte penale internazionale per i crimini ambientali.
Per Giuseppe De Marzo di A Sud, partner italiano del progetto Ceecec, "siamo ora a uno stadio di accumulazione del capitale originaria che chiamerei inedita e terminale, per la sua ampiezza mai vista e perché compromette le condizioni della stessa esistenza. Un'accumulazione che non si regge solo sul controllo delle risorse energetiche e naturali ma tende a proletarizzare altri miliardi di persone: due eserciti, uno per produrre e l'altro di riserva, così il lavoro è reso ancora più succube. I processi di proletarizzazione coincidono con i processi di inurbamento: 50 anni fa viveva in città il 10% delle persone, ora oltre il 50%. Privatizzazioni e megaprogetti hanno messo in moto un esercito di contadini che prima vivevano della terra. Si pensi al recente caso di Singhur, in India, dove a fronte di duemila posti di lavoro creati in una fabbrica di automobili in joint venrute Tata-Fiat, 30mila contadini avrebbero perso il lavoro". Gli "spostati dalla crescita distruttiva" sono chiamati migranti ambientali ma sono vere e proprie vittime di conflitti ambientali. Proprio l'accumulazione originaria inedita e terminale che mette a rischio la base stessa della vita e proletarizza sempre più esseri umani ha innescato centinaia di conflitti ambientali. Ma nei luoghi dove c'è conflitto ci sono già esperimenti in cui società in movimento (De Marzo preferisce questa espressione a quella di "movimenti della società civile") hanno vinto evitando megaprogetti, ma hanno anche capito che ci si deve spingere oltre. Il post-sviluppo.

Già, cosa si immagina oltre la crescita economica? Il Buen vivir, Ben vivere, Sumak Kawsak in lingua andina, che è, anche logicamente, l'obiettivo degli esseri umani e che le comunità indigene sudamericane hanno trovato voce e canali per veicolare. Anche grazie al "costituzionalismo sperimentale", ad esempio in Bolivia ed Ecuador dove dopo una fase di totale privatizzazione e secoli di dominio delle classi dominanti occidentali, è stata riscritta la Carta costituente e ora questa serve da base per la partecipazione, la pluralità. Così si legittima la democrazia che altrimenti è un feticcio. "Occorre ridefinire le alleanze per costruire un presente che sappia durare nel futuro. Il Buen vivir non si basa sull'economia capitalistica di mercato ma in gran parte sull'economia locale e solidale" ha concluso Giuseppe De MArzo.

Sul rapporto fra accademici e società in movimento, Walter Peng dell'università di Buenos Aires è stato molto chiaro:"Per cambiare questo stato di cose occorre l'azione popolare; l'economia ecologica è uno strumento".

L'India è un terreno interessante quanto l'America Latina. Tuttavia, come ha detto Simron Jit Singh, ricercatore in Austria, "l'India, ad esempio è tuttora una economia estrattiva, che ha già usato troppo il proprio capitale di risorse e non per il consumo interno ma per l'esport. Un'economia estrattiva ricava poco denaro per molto danno. Il mio paese d'origine deve muovere migliaia di tonnellate di materiali (magari anche terra e rocce nelle attività estrattive di minerali) per guadagnare un dollaro, l'Europa molto meno. I paesi occidentali sono meno esauriti in quanto a risorse e meno inquinati anche perché vivono alle spalle di paesi come l'India".

Dall'altro non solo i movimenti o meglio "la società in movimento" hanno vinto diversi conflitti ambientali, con megaopere sospese a decine nella stessa India, ma i poveri stanno dimostrando capacità di reazione e invenzione recuperando antiche tradizioni. Supriya Singh del Cse (Centre for Science and Environment) ha spiegato che "povertà e distruzione ambientale sono due lati dello stesso problema", e in questo contesto limite intere aree e i loro abitanti si sono mobilitate per la gestione dell'acqua - sul lato non solo dell'offerta ma anche della domanda. Con misure intelligenti e drastiche sono riusciti a ricostruire le risorse idriche e con quelle l'agricoltura e con quella la vita di diversi villaggi, "e da quelli non si emigra più!". Ed è interessante , una svolta, il nuovo National Rural Employment Guarantee Act , legge che per ridurre la povertà rurale garantisce un centinaia di giorni lavorativi pagati a ogni nucleo familiare. La Legge mira anche a usare queste giornate per la riforestazione e la creazione di cisterne per la raccolta dell'acqua. Il CeeCec attraverso il Cse intende applicare i metodi dell'economia ecologica nella valutazione dei benefici asociali, economici e ambientali di quell'Act in diversi distretti indiani.

Ovviamente in America Latina le proposte per uscire dall'economia fossile non mancano: si pensi alla sfida lanciata dal governo e delle organizzazioni socioecologiche per la moratoria dell'estrazione del petrolio nel parco nazionale Yasunì.

Le lotte del movimento antiminerario ecuadoriano con imponenti mobilitazioni recenti e future vedono in alleanza "i popoli indigeni che da sempre sostengono il buen vivir come idea e pratica di sviluppo armonioso e gli ecologisti urbani che incontrandone la visione hanno dato loro forse una forma per esprimersi" ha spiegato Omar Bonilla Martinez di Accion Ecologica Ecuador. Perché "i saperi indigeni hanno validità universale, possono aiutare anche altrove a uscire dalla crisi dell'egoismo, dello sfruttamento e del consumismo estremo. La vera soluzione alla crisi è nella piccola produzione contadina e indigena e nell'economia locale, nei vincoli di solidarietà nel tenersi ai margini da parte di certe comunità.". Ma Omar Bonilla Martinez ritiene anche che gli stessi paesi sudamericani "rivoluzionari" contraddicendo le stesse costituzioni che hanno varato (ad esempio quella dell'Ecuador rende la natura un soggetto giuridico, continuino a servire l'altrui crematistica non abbandonando l'economia estrattiva finalizzata all'export anziché superare la civiltà del petrolio.

Del resto l'Occidente, crisi a parte, continua a chiedere, petrolio come minerali e metalli, alberi come soia per gli animali. E certo mentre nel Sud si muovono le masse, nel nord i conflitti ambientali sono ancora spesso affetti da sindrome Nimby e portati avanti da minoranze, e i modelli di consumo continuano a parassitare il resto del mondo. Tom Bauler della Libera università di Bruxelles nelle sue inchieste ha verificato che la popolazione belga ha idee vaghe su quel che sia uno stile di vita sostenibile.

Tuttavia minoranze anche nel Nord si muovono. Il Comitato regionale rifiuti della Campania, con Anna Fava, amareggiato dal recente decreto 90, dimostra la "deriva antropologica della borghesia industriale, oggi del tutto parassitaria" grazie ai fondi per gli inceneritori, un vero impedimento alla soluzione del problema dei rifiuti in una terra ormai avvelenata e con una popolazione avvilita".