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La ricostruzione? Un esempio di shock economy

di Eleonora Martini - 09/07/2009

  
 
Si sono adeguati alla nuova vita sotto le tende della protezione civile con la dignità e la compostezza che tutto il mondo ha riconosciuto loro, ma ora gli aquilani davvero non ci stanno alla «propaganda di regime» che vuole far credere al mondo che tutto, nelle zone terremotate, è in via di risoluzione. Non ci stanno a perdere la loro città per come la conoscevano, a rinunciare alla loro storia, agli stili di vita consolidati nel tempo, ad una certa qualità dei rapporti sociali. In una parola, che piaccia o no, alla propria identità. Tradotto, con un tocco di ironico internazionalismo veltroniano: «Yes, we camp. And we don't go away». La scritta, che campeggia sotto la tenda del Forum per la ricostruzione sociale cominciato ieri a L'Aquila nel parco Unicef di via Strinella ribattezzato piazza 3e32, sarà riprodotta sulla collina di Roio questa mattina - e «i cecchini sono avvisati: si prega di non sparare» - dai comitati cittadini aquilani che hanno organizzato l'evento per parlare di diritti di cittadinanza, di «democrazia nello stato di emergenza», autorganizzazione e «ricostruzione dal basso». E per opporsi alla ricetta che gli Otto Grandi e passa stanno perfezionando per far uscire banche e potentati dal pantano economico mondiale usando le emergenze territoriali come trampolino di lancio. Lo hanno spiegato bene le delegazioni di cittadini dei presidi permanenti nati spontaneamente nelle zone delle emergenze sociali e delle crisi democratiche, da Chiaiano a Vicenza, dalla Val di Susa fino all'Argentina, che si sono confrontati nella sezione mattutina o gli economisti, i sociologi, gli urbanisti e i sindacalisti intervenuti nel pomeriggio.

«Vogliamo ricordare a tutto il mondo che qui, a L'Aquila, si vive ancora nelle tende e che questo è un crimine contro l'umanità», spiega Sara Vegni, una delle portavoci del comitato 3e32. Per loro, come per i tanti comitati cittadini, l'emergenza abitativa non sarà certo risolta neppure quando saranno consegnati gli «insufficienti loculi di cemento» in costruzione. Ma c'è di più, il caso dell'Aquila è tutt'altro che un problema solo locale: «È il paradigma di civilizzazione della shock economy» come spiega Giuseppe De Marzo, presidente di A Sud, che punta il dito contro chi vuole criminalizzare le «composite società in movimento», «il punto più alto della democrazia». «Il Piano Case per dare alloggio agli sfollati è un tipico caso di shock economy», aggiunge Maurizio Donato, docente di economia all'università di Teramo. «Un modello vincente che sfrutta la governance autoritaria - continua Donato - perché quello delle catastrofi è l'unico settore che riesce ormai a essere proficuo per il capitale». Per questo Donato propone agli abruzzesi di creare un osservatorio popolare che monitori i soldi della ricostruzione «costruendo una mappa dell'Aquila cui va sovrapposta una mappa dei bisogni dei cittadini».
E per ricostruire secondo le necessità dei residenti e non secondo l'imposizione dall'alto pro-speculazioni, occorre fermare il nuovo piano regolatore che Berlusconi tenta di far passare come la panacea di tutti i mali dei senzatetto aquilani. Lo ha proposto la rete dei movimenti cittadini, tanto più che ancora oggi solo in 5 dei 19 siti sono stati aperti i cantieri delle new town. Lottano contro questo nuovo skyline dell'Aquila i giovani architetti, urbanisti e geologi del collettivo 99 che vogliono «essere artefici della ricostruzione», cercando anche nuove forme di linguaggio per coinvolgere il più possibile la popolazione locale. Questo gruppo di giovani professionisti che in tre mesi è riuscito a mettere insieme molte delle energie migliori della città, cerca di preservare l'identità del capoluogo abruzzese - salvando il suo centro storico della grinfie della Fintecna - e contemporaneamente di progettare e realizzare «luoghi urbani strutturati di produzione di energie alternative».

È questa la democrazia, «un processo partecipativo» ormai sotto attacco da tempo, come ha spiegato Gianni Rinaldini, segretario generale Fiom. Lo si vede nelle vertenze dei lavoratori sulle piattaforme contrattuali, anche queste imposte in una logica emergenziale che sfrutta la crisi economica. Ed è un esempio di democrazia anche l'evento di ieri, di alto valore politico, come ha fatto notare in conclusione Gabriele Polo del manifesto che ha moderato il forum: «Democrazia come pratica e non come feticcio».