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G8: sparato (a salve) il primo colpo sul clima

di Diego Barsotti - 13/07/2009





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Il fatto positivo è che questo impegno è stato sottoscritto dagli Stati Uniti. Di negativo c’è però che proprio a causa degli Usa, e della difficilissima trattativa in seno al Congresso statunitense per far passare la legge sul cap & trade, è stata inserita la funesta frase “o ad anni più recenti"...





LIVORNO. Che cosa dobbiamo pretendere dal G8 lo abbiamo detto nell’editoriale di ieri. Che cosa avremo ottenuto lo diremo domani. Ma intanto già oggi è possibile fare una stima a spanne di quel che è accaduto nella prima giornata di negoziati e alla luce di questo capire che cosa è lecito attendersi, già dagli incontri di oggi, dove il G8 attraverserà la sua camaleontica trasformazione prima in G14, poi nell’incontro ancora più ampio con il Mef, Major economic forum.

g8-fumettoSe è indiscutibile che solo in quest’ultima sede (il Mef appunto) potranno nascere accordi veramente cogenti, è pur vero che il primo passo compiuto ieri sul clima è un bicchiere quasi tutto vuoto, ma è sempre qualcosa in più al bicchiere tutto vuoto a cui ci aveva abituato il mai rimpianto Bush.

Analizziamo nel dettaglio quello che da molti giornali, televisioni e siti internet è stato annunciato come il primo grande risultato del G8, ovvero questo “accordo sul clima”. In realtà i leader dell’economia mondiale – ad esclusione di un paio di ‘trascurabili’ defezioni come Cina e India! – hanno convenuto di inserire la seguente frase nella dichiarazione sul clima: l’impegno a «dimezzare entro il 2050 le emissioni di gas a effetto serra rispetto al 1990 o ad anni più recenti».

Il fatto positivo è che questo impegno è stato sottoscritto dagli Stati Uniti, per la prima volta disposti a trovare una strada comune per rispondere ai rischi derivati dalle conseguenze dei cambiati economici. Di negativo c’è proprio che a causa degli Usa, e della difficilissima trattativa in seno al Congresso statunitense per far passare la legge sul cap & trade, è stata inserita la funesta frase “o ad anni più recenti”. Ovvero che invece di prendere a riferimento per i calcoli di riduzione il 1990, come previsto dal primo (e pur considerato lasso) Protocollo di Kyoto, e dal pacchetto clima Europeo, gli Usa potranno partire dal 2005 che è anche l’anno fissato da Obama per raggiungere il compromesso con il congresso. Il che tradotto in numeri molto più semplici significherebbe una riduzione di poco più del 4% delle emissioni rispetto al 1990. Ma questi calcoli ovviamente, benché reali e anche molto tristi, saranno poco diffusi tra i cittadini ai quali sarà data in pasto la ben più ridondante storia del “dimezzamento“.

Ma come se questo non bastasse a frustrare il percorso verso uno sviluppo sostenibile ed un’economia ecologica, c’è appunto il niet di Cina e India, che non “frenano” come forse troppo ottimisticamente titola Repubblica, ma proprio inchiodano e anzi mettono la retromarcia, anche se l’ennesimo compromesso studiato in questi mesi ipotizzava come soluzione che la riduzione di almeno il 50% delle emissioni mondiali fosse raggiunta grazie a una riduzione dell’80% nei paesi già industrializzati e di solo il 20% nei Paesi in via di sviluppo.

Il no di Cina e India pare, però, spiegabile con una certa diffidenza e mancanza di fiducia, motivate da una considerazione e da due attese molto concrete. La considerazione è che finora gli impegni e le promesse nei più svariati campi sono state abbastanza disattese dai ”grandi” tradizionali. E le attese? Da una parte Cina e India aspettano che sia rispettata la promessa fatta alla Conferenza di Bali del 2007 di aiuti finanziari e tecnologici che invece non sono mai arrivati,e che, almeno in parte, potrebbero essere accordati oggi dal Mef, dall’altra c’è una sorta di sfida: vediamo cosa davvero riuscirete a fare sul fronte della riduzione delle emissioni da qui al 2020. A quel punto (forse) saranno disponibili a trattare su cifre e impegni.