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Da topo gigio a topo grillo

di Carlo Bertani - 14/07/2009

 


Quando abbiamo letto la notizia, siamo precipitati in un baratro d’incredulità: davvero, Beppe Grillo, pensa di “dare una scossa” alla classe politica italiana candidandosi alla segreteria del PD? Dopo aver apostrofato Veltroni, per mesi, “Topo Gigio”?
La prima ipotesi è che la mossa del comico genovese non sia altro che l’ennesima trovata pubblicitaria, tanto per aumentare la sua “audience” (ultimamente, un po’ appannata) nell’iperspazio mediatico.
Personalmente, assegniamo a questa ipotesi la maggior parte dello share, ma ce ne possono essere altre: perciò, by-passiamo la trovata pubblicitaria poiché come tale va trattata. Per queste cose, si rivolga a Berlusconi, che è gran maestro di cerimonia nel trasfigurare il nulla della politica nei successi mediatici.

L’Aquila insegna. Da Beppe, non ce lo saremmo proprio aspettato.

Passiamo allora a scandagliare la seconda ipotesi, ossia che Grillo ritenga di conseguire – se non proprio il successo – almeno un discreto successo, al punto d’entrare nel congresso PD ed accalappiare qualche voto da parte dei delegati.
Perché ci limitiamo a “qualche voto” e nulla più?
Poiché Grillo, pur riconoscendogli d’aver compreso la necessità di una rivoluzione nell’asfittica politica italiana, ha sbagliato clamorosamente bersaglio, ed il suo agire non porterà ad altro che ad una sconfitta, e che sconfitta.
Il “bersaglio” individuato – per Grillo – è forse quel partito nel quale confluirono ampi settori del PDS e la sinistra DC? Se è quello, bisogna riflettere che, dell’impostazione primigenia, non è rimasto nulla.
Se quel partito, quando nacque – nemmeno due anni or sono – poteva contare sul 33% dei votanti, oggi ne raccoglie solo più il 25%: Grillo s’è domandato il perché?

Gli elettori del PD che immaginavano quel partito “aperto e leggero” – pronto ad interloquire con il “popolo della sinistra”, e da troppi anni bastonato proprio dai governi della cosiddetta “sinistra” (né più e né meno che da Berlusconi) – se ne sono andati da tempo. Chi è rimasto?
Chi vota per tradizione e non se la sente di “tradire”, chi vota “tappandosi il naso”: soprattutto, è rimasto il partito degli affari, quella pletora di propinqui i quali, sotto varie forme, s’aspettano che quel partito sia in grado di fornire loro quelle glorie che, da soli, non riescono a perseguire.
Credere di riuscire a superare le “primarie” (se le faranno) o, peggio ancora, presentarsi di fronte all’assemblea congressuale con la speranza d’uscirne vivo, è un sogno che lasciamo agli ingenui.
Vorremmo sapere come farà Grillo – da sempre (a suo dire) il Conan il Barbaro contro gli inceneritori – a convincere una platea d’amministratori del PD che s’aspettano soldi su soldi dal gran (mal)affare del business “incenericolo”, della bontà del riciclo dei rifiuti.
E aspettano quei soldi perché sanno d’esser circondati: senza l’alleanza con la sinistra radicale, il centro sinistra non potrà mai diventare maggioranza nel Paese (come fu in passato) e, siccome lo sanno benissimo, i soldi dei vari business sul territorio servono loro come l’ossigeno per un malato grave, poiché sono destinati a governare solo più realtà marginali. Le ultime elezioni amministrative insegnano: senza l’apporto di quel 10% circa che sta a sinistra (e che Di Pietro intercetta in minima parte), alle prossime regionali perderanno anche il Piemonte e la Puglia, per citare solo due regioni fra le altre. In pratica, al PD rimarranno Bologna, Firenze e dintorni (forse).

Di più: credere di riuscire a percorrere la via maestra, fino ad una poltrona importante del PD, significa sottovalutare proprio quella mancanza di democrazia insita nella politica italiana, laddove (a destra come a sinistra) si creano le fortune politiche partendo dalle assemblee dei liberi muratori.
Con le volte che ha additato, sul suo blog, il perverso andazzo, oggi se ne scorda? Rilegga meglio ciò che, negli anni, ha scritto (lui o chi per lui).

Un’altra ipotesi è quella che, avendo compreso che il PD sta oramai percorrendo il “miglio verde”, Beppin da Zena abbia meditato d’impossessarsi della futura svendita. Cun poche palanche, se piggiemu tüttu.
Ipotesi peregrina: una futura svendita all’asta del PD, vedrà in prima fila – pronti ad alzare la posta – Rutelli, Casini & Co. La sinistra? Si perderà per l’ennesima volta in partitucoli senza futuro né progetti, come hanno già fatto i Socialisti, i Verdi, Comunisti e merce varia. O avariata?
Che al prossimo congresso vinca Franceschini, oppure Bersani, il percorso del PD è segnato: è solo una questione di tempi, ma – in completa assenza di rinnovamento (hanno, addirittura, “pregato” Chiamparino di non presentarsi, di non disturbare i manovratori, figuriamoci la Serracchiani!) – ed oggi…sarebbero pronti ad accettare Grillo? Oppure Grillo crede ancora alla democrazia interna dei partiti? Invece di fare spettacoli in giro per l’Italia, sarebbe meglio se si recasse a qualche recita parrocchiale: per rivedere Cappuccetto Rosso.

Il progetto – segreto di Pulcinella – dopo l’abbandono di Berlusconi (per “tradimento”, per età, per troppe “escort”…) è quello di una grande centro leggermente spostato a destra, ipotesi benedetta dai poteri forti di Confindustria, da Bankitalia, dal FMI, dalla massoneria internazionale, dalle finanze vaticane.
Tutti insieme, appassionatamente, per togliere quel poco che resta agli italiani e consegnarlo nelle mani delle banche e dei boiardi di Stato (adesso abbiamo la “class action” ma…peccato! Non è retroattiva, e Tanzi e Cagnotti la faranno franca).

Non crediamo una parola sull’onestà politica – e, a questo punto, anche intellettuale – di Beppe Grillo poiché, solo un paio d’anni or sono, avrebbe avuto la possibilità di fondarlo lui stesso quel partito, sicuro di raggiungere un discreto successo. E non lo fece. Perché? Ci spieghi come mai, solo pochi mesi or sono, riteneva impraticabile la strada di un partito nazionale e servivano solo liste locali. Cos’è, cambiato il vento?
Di più: a parole, confermò la sua fiducia a Beha e Veltri per la “Repubblica dei Cittadini” (o prime “Liste Civiche") per poi sconfessarli una settimana dopo, quando i due si davano da fare per raccogliere adesioni, sul blog. Replicò il copione con “Il Bene Comune” di Montanari, al punto che Montanari stesso sul suo sito, i primi tempi, pubblicò un video (oggi scomparso) dal titolo eloquente: “Grillo, perché?”.

Ciò che più ci disturba e c’infastidisce – a questo punto – di Grillo è che ripercorre lo stesso sentiero, puramente mediatico, di Berlusconi: è diventato un –Berlusconi, una copia al negativo (algebricamente) del Cavaliere. Perché?
Poiché, se si è meditato un poco sul baratro che abbiamo di fronte, sulla sparizione d’ogni forma di democrazia da questo Paese, la soluzione che proprio non serve è ripartire con un “Konducator buono” o roba del genere.
C’è bisogno di un lungo percorso di ricostruzione democratica – le scorciatoie portano solo ad altre cantonate – e deve essere un sentiero di riflessione, prima che politica, culturale, sul quale puntare per ricostruire le basi culturali e cognitive che sono la base della politica, non l’orpello.

Ho sempre sostenuto che questo percorso abbia il suo luogo deputato sul Web, ma tenendosi ben distanti dai quei carcinomi che sono gli attuali partiti politici, poiché si nutrono di basi culturali che sono distanti anni luce da un nuovo “sentire”, da quel che veramente serve per ricostruire le basi comunitarie di un Paese distrutto nella sua essenza sociale.
A questo punto, riteniamo che l’ipotesi pubblicitaria sia la sola a rimanere in campo: mia, Grillo, nun vegnì a piggiarce pà ‘u cü.