Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Tra Genova e L’Aquila. Due G8, due prospettive

Tra Genova e L’Aquila. Due G8, due prospettive

di Marco Bagozzi - 14/07/2009

Fonte: cpeurasia

 


 

Non pensavamo fosse possibile, ma anche il leader delle “tute bianche” del Nord-Est, Luca Casarini ha dimostrato di avere, tra un libro pubblicato con Mondadori e una protesta contro il governo iraniano, qualche sprazzo di lucidità.

Apprendiamo oggi, dalle colonne del Corriere della Sera, che ha preso coscienza della “fine del movimento” cosiddetto No-Global, sostenendo che le nuove prospettive delle relazioni internazionali serviranno per “riscrive le regole della globalizzazione”. Uno sprazzo di lucidità che ci coglie di sorpresa, da un personaggio che non più di qualche giorno fa si confermava organico al potere unilateralista protestando a favore degli insorti iraniani (cosa ci sia di “movimento di popolo” nel «fronte “verde” che ha sostenuto Mussavi è dunque composto dalle fasce medio-alte della società iraniana che sono vogliose di vedere la fine delle vertenza con l’Occidente per inserirsi nel sistema internazionale e che sono profondamente critiche con le misure socio-economiche del governo di Ahmadinejad che chiede loro di sostenere le spese del welfare, che questi ceti (analogamente a quanto avviene in tutto il mondo) vedono come uno spreco»1?).

Sono passati otto anni tra il summit di Genova e questo dell’Aquila. Gli scenari mondiali si sono completamente modificati.

Nel 2001 era da poco iniziata l’era Bush, l’11 settembre era ancora da venire, ma il Project for the New American Century (Progetto per un Nuovo secolo americano) ne aveva già stabilito le direttive espansionistiche ed imperialiste. La Russia era ancora in fase di ricostruzione (Putin al comando da poco più di un anno) dopo le sventurate politiche eltsiniane. Di fatto, il G8 di Genova rappresentava la vetrina mondiale della sudditanza planetaria al nuovo progetto espansionistico del capitalismo americano. Un teatrino in cui i “grandi” gettavano le basi, su comando, della strategia unipolare bushista, sia nel campo economico che in quello militare e politico.

Le proteste, pur se violente e sconsiderate, non potevano non causare in noi un certa “simpatia”: protestare contro quel G8 era giusto e sacrosanto (pur se mossi da questioni morali ed etiche completamente opposte, dal pacifismo estremo all’alter-globalismo).

Ma nel 2009 il mondo è radicalmente in evoluzione, rispetto ad allora:

- si sono ormai affacciate alla scena mondiale nuove potenze: il Brasile, la Russia, l’India e la Cina (il BRIC, acronimo che sta a definire i paesi che sembrano maggiormente sulla via del prossimo governo economico mondiale);

- la crisi economica ha necessariamente imposto la creazione di nuove regole economiche; la Russia è ritornata, anche nel campo militare una grande potenze2;

- l’Unione Africana, anche grazie alla presidenza di Muammar Gheddafi ha acquistato un importante potere diplomatico, soprattutto per quanto riguarda la politica mediterranea;

- dopo l’epoca unipolarista di Bush padre-Clinton-Bush figlio l’America ha scelto di mettere da parte le soluzioni di Hard Power per rivolgersi ad una più sofisticata azione di Soft power, che potrebbe portare a risultati ancora più devastanti, ma lascia, allo stesso tempo, ampi margini di manovra, che bisogna sfruttare nel migliore dei modi, alle altre potenze.

Con queste premesse il G8 (con l’allargamento futuro a G13 e gli inviti ad altri stati ed organizzazioni internazionali) dell’Aquila va necessariamente ricontestualizzato nella nuova prospettiva internazionale del multipolarismo, nel rimescolamento dei poteri mondiali a favore di grosse nazioni in contrasto con la centralità nord-americana, soprattutto modificando i rapporti di forza tra queste nazioni.

Ovvio che questa nuova realtà infastidisce non poco l’amministrazione americana, che anche aperta, apparentemente, al dialogo, ha, nell’ultimo mese, destabilizzato, in modo più o meno diretto, tre aree importantissime per quanto riguarda i futuri scenari internazionali. Mi riferisco alle proteste in Iran3, al golpe in Honduras4 e agli scontri etnici in Cina5, nello Xinjian. In particolare, le proteste in Cina hanno obbligato (forse anche su richiesta di un’infastidita delegazione americana) il presidente cinese Hu Jintao a ritornare in patria per seguire più da vicino i fatti, privando il summit di uno degli attori più determinanti per il futuro.

Un summit, quello dell’Aquila, ancora incompleto quindi. Oltre alla Cina (che ha lasciato in Italia un diplomatico di seconda fascia), mancavano, ad esempio, rappresentanze dell’ALBA (Alternativa Bolivariana per le Americhe) e dell’Iran. Nonostante ciò registriamo che questo G8 rappresenta con maggior realismo i nuovi scenari mondiali e non è la «corte riunita attorno al suo Imperatore» come erroneamente sostiene Pietro Ancona6.