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Lungo le rotte delle pipelines: una fase intricata

di Gianni Petrosillo - 14/07/2009


Lungo le rotte delle pipelines che attraverseranno l’Europa, da est ad ovest, si auspica nasceranno
coalizioni geopolitiche di tipo nuovo. Inoltre, cosa ancor più determinante, si spera che sulle
direttrici energetiche s’innestino processi di riconfigurazione dei rapporti di forza tra le potenze
continentali e tra queste e il paese centrale (gli Usa), il quale considera ancora l’area europea, se
non come un mero prolungamento del suo spazio vitale, almeno come una piazzaforte avanzata da
dove tener sotto stretto controllo l’evoluzione della situazione ad est (Russia in primo luogo).
Benché Obama si stia presentando al mondo come il presidente del cambiamento, come colui che
invertirà il corso della politica militarista di Bush, grazie ad una più inclusiva “diplomazia del
sorriso”, gli obiettivi strategici americani saranno tutt’altro che ridimensionati. Ciò che cambia è la
tattica con la quale gli americani tenteranno di risistemare alcune faccende delicate, senza mutare la
strategia di fondo, quest’ultima sempre orientata alla preservazione e all’allargamento ad est della
propria influenza egemonica.
Facciamo pure fare un esempio. Il neo presidente americano si è recentemente recato a Mosca per
discutere col suo omologo russo di riduzione delle testate nucleari e di cooperazione internazionale.
I giornali hanno commentato positivamente l’evento parlando di svolta storica, finalizzata a
ripristinare relazioni più distese tra i due paesi. Ma i russi sanno bene che si tratta di un trucco.
Appena qualche mese fa, la Nato ha condotto una esercitazione militare in grande stile nella
Lapponia svedese dove per 10 giorni sono stati impegnati “2000 soldati, una portaerei e 50 caccia,
per esercitazioni belliche nei vicini e contestati territori artici…la scelta del luogo dove tenere le
esercitazioni di guerra, riflette la crescente importanza strategica della regione artica, che contiene
circa un quarto del petrolio e del gas naturale del pianeta.” (A. Lattanzio. “I piani di guerra della
NATO per l'Estremo Nord). Non è un caso che, soprattutto il mar Baltico (da dove passeranno i tubi
del North Stream), sia al centro delle premure della Nato. Queste operazioni militari (e ricordiamo
anche quelle tenutesi in Georgia alla fine del maggio scorso) hanno un unico obiettivo: provocare la
Russia per costringerla ad abbassare i toni e ridimensionare le proprie mire in aree che gli USA
ritengono indispensabili per salvaguardare la propria sicurezza nazionale.
Gli attriti crescenti nel settore energetico, proprio in funzione della costruzione dei gasdotti che
collegheranno ai rubinetti russi l’Europa del nord (con il progetto North Stream che, dalla Russia,
via mar Baltico, raggiungerà la Germania) e l’Europa del sud (con il progetto South stream che
trasporterà il gas naturale russo attraverso il mar nero passando dalla Bulgaria per raggiungere Italia
e Austria), stanno indispettendo gli americani i quali contavano, con il progetto alternativo Nabucco
(che, nelle intenzioni dei paesi aderenti dovrebbe convogliare il gas dall'area del Caspio in Europa,
bypassando Russia e Ucraina), di togliere clienti e influenza a Mosca.
Come si può ben capire, non è soltanto una questione di business and money. Già dai tempi di
Mattei, attraverso gli importanti accordi nel settore estrattivo e distributivo, si potevano
condizionare le scelte di politica estera dei governi e stabilire contatti politici tra gruppi dominanti
che andavano ben oltre le ragioni del mercato.
Non dimentichiamo poi che profitto e denaro costituiscono la linfa per attivare piani strategici
orientati alla potenza, da sviluppare su un piano prettamente (geo)politico.
E’, quindi, la messa in discussione di rapporti di forza consolidati, conseguente all’apertura di
queste prospettive antiegemoniche (cioè anti-Usa), che genera grande scompiglio e caos sistemico,
tanto all’interno che all’esterno di ciascuna formazione sociale.
I gruppi nazionali più conservativi e reazionari saranno certamente indeboliti dalla rottura delle
vecchie alleanze perimetrate nell’ambito dell’egemonismo statunitense (con perdita delle loro
esclusive prerogative); questi insiemi dominanti, collegati agli Usa, osteggeranno finché potranno il
rinsaldamento di nuove cooperazioni con i paesi in recupero di potenza, scontrandosi in maniera
acerrima con gli altri gruppi nazionali che premono invece per il cambiamento.
Basti pensare alle diatribe sorte in Germania tra CDU/CSU (che ha alla propria testa la più
americana dei governanti europei, il cancelliere Merkel) e la SPD (la cui politica è influenzata da
alcuni uomini, come l’ex premier Shroeder, che, in questa fase storica, guardano alla Russia come
partner ideale per attivare politiche di maggiore autonomia) in occasione della vendita della Opel,
poi finita in mano alla cordata russo-canadese Magna che ha vinto la partita sull’ “americanizzata”
Fiat.
Stessa cosa in Italia, dove il rapporto simpatetico Berlusconi-Putin non piace ai gruppi bancoindustriali
della GF&ID (schierati insieme alla sinistra politica) i quali temono di perdere i loro
appannaggi, frutto di più di un cinquantennio di collaborazionismo con la potenza dominante.
In Francia, il gollismo sembra essere stato messo definitivamente da parte dal duo Sarkozy-
Kouchner che ha portato il paese d’oltralpe ad entrare organicamente nella Nato. Dal punto di vista
culturale Sarkozy si è messo ugualmente dalla parte degli americani legittimando la visione
occidentalocentrica della democrazia da esportare, anche con la deposizione militare dei dittatori
che non rispettano i diritti umani (vedere le dichiarazioni rilasciate da costui in occasione delle
proteste degli studenti iraniani). Ovviamente, non tutti i corpi speciali dello Stato francese sono
d’accordo con tale linea presidenziale e mutamenti di direzione restano, fortunatamente, sempre
possibili.
Descritta sommariamente la cornice di quest’epoca di trapasso, a sostegno di quanto detto, vi
propongo un articolo apparso su Il Giornale del 09.07.09, intitolato “Dalla Russia con calore”. In
questo pezzo vengono intervistati il supermanager di Eni, Domenico Dispenza e il portavoce di
Gazprom, Sergei Kupriyanov. Entrambi ribadiscono l’importanza strategica degli accordi stipulati
tra i due giganti del settore energetico, ma soprattutto, viene messa in risalto la decisività
dell’intervento dei rispettivi governi nella finalizzazione di dette intese commerciali. Il manager
italiano, inoltre, chiarisce che, al momento, il progetto russo-italiano (South Stream) e quello russotedesco
(North Stream) hanno chiuso le porte al Nabucco, economicamente non così conveniente e
di difficile realizzazione “politica”. Le condutture di quest’ultimo, difatti, dovrebbero attraversare
aree fortemente instabili che mettono a rischio gli investimenti. Inoltre, la Russia è riuscita a siglare
un accordo separato con l’Azerbaigian (sottraendo agli americani un grande fornitore) che mette a
rischio i “congrui” quantitativi di gas da trasportare necessari per ottenere profitti adeguati.
Certamente, gli Usa non si tireranno indietro per questi inconvenienti economici, perché, come già
detto, laddove sono in ballo interessi strategici non ci sono regole (di mercato) che tengano. La
guerra commerciale in corso è però solo l’antipasto di quello che potrà succedere nei prossimi anni,
allorché le trame economiche non riusciranno più a nascondere agevolmente, sotto la superficie dei
rapporti mercantili, il flusso conflittuale (politico) che innerva lo scontro tra agenti strategici per la
supremazia mondiale.