Come mai i delinquenti seriali, fino a quando vengono scoperti, sono ritenuti bravissimi ragazzi? C’è qualcosa di sbagliato nel nostro modo di giudicare gli altri? Ce lo si chiede anche in questi giorni, dopo che la polizia ha arrestato, con prove pesanti come il Dna, il presunto stupratore di molte giovani donne, braccate nei loro garage condominiali, nei quartieri della cintura attorno a Roma.
Anch’egli - a sentire conoscenti e vicini - un «bravo ragazzo», disponibile gentile, ammodo. Perfino impegnato socialmente, dirigente di sezione in un partito parlamentare dell’opposizione.
È vero che da molto giovane, tredici anni fa, aveva già tentato di stuprare una vicina, minacciandola con un coltello; e il giudice l’aveva assolto, perché in quel momento «incapace di intendere e di volere». Da allora però non era accaduto più nulla di strano.

Impiegato amministrativo, un vero uomo d’ordine, tanto che la fidanzata l’aveva lasciato perché non aveva mai voglia di far nulla di speciale, e finiva che si vedevano poco. Un appartamentino Ikea, impersonale, come quello del protagonista di Fight Club (film cult di qualche anno fa) che però lì butta in aria il suo profilo di «uomo d’ordine» per fondare un movimento di club maschili di boxe, e finisce col trovare se stesso. Mentre l’impiegato romano non ha fatto nulla di strano, e si è davvero perso.
Naturalmente, questi personaggi irreprensibili celano poi nei loro sportelli le loro passioni proibite: in questo caso filmini su stupri e violenze. Quello è il ritratto di Dorian Gray nascosto nella soffitta, che la polizia trova nella sue perquisizioni.
Il profilo pubblico è un altro: irreprensibile, ordinato, e quindi socialmente apprezzato. È però corretta questa valutazione positiva? O qualcosa non torna, visto che con ordine e irreprensibilità si presentano anche criminali tra i più pericolosi, come quelli seriali?
L’apparenza ordinata e nelle regole è una specie di parola d’ordine («sono bravo, da me non devi temere nulla»), che fa sì che chi la pronuncia venga accettato, mentre chi offre di sé un’immagine aggressiva o caotica sia guardato con sospetto. Ha senso. Però proprio la storia dei delinquenti seriali ricorda anche altro.
La perfetta irreprensibilità, l’ ordine senza sbavature, non è nella natura umana. La psicologia parla di «Ombra», o di pulsioni aggressive e distruttive, la Chiesa di peccato originale, le religioni e filosofie orientali di karma: ogni visione profonda della personalità umana constata che in ognuno di noi c’è l’ordine e il disordine, l’irreprensibilità e la devianza, e l’equilibrio consiste appunto nel riconoscere entrambi, e dosarli in modo costruttivo, personalmente e socialmente proficuo.
L’aggressività e l’eros (che Freud collegava strettamente), una volta riconosciuti e legittimati daranno allora slancio alle nostre passioni, che verranno poi organizzate e trasformate in opere e stile di vita dalla razionalità e moralità (il «logos» secondo Jung).
Quando invece l’aggressività e la pulsione sessuale vengono negate, o perché troppo forti, o per strutture psicologiche moralistico-ossessive, o per entrambe le cose, l’individuo si trasforma nel «bravo ragazzo» senza ombre. La società e i vicini sono contenti, ma dovrebbero preoccuparsi perché, se rimossa, l’ombra si popola di fantasmi pericolosi.
Il vicino che fa bisboccia non lascia dormire, ma appunto, almeno non gira per i garage a stuprare ragazze.
Meglio accettare la visibile «Ombra» dell’altro (e la nostra), che aiutarlo a renderla invisibile, e quindi incontrollabile. Moralismi e perbenismi generano mostri.