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…e con Bianchini finisce il cliché dello «stupratore nero»

di Annalisa Terranova - 15/07/2009

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Luca Bianchini, il presunto stupratore seriale dalla doppia vita (militante politico di giorno e aggressore di notte), dice che il partito lo ha abbandonato. Il partito è quello democratico, di cui Bianchini era dirigente, anzi per l’esattezza coordinatore di circolo, al Torrino (zona dove sono stati commessi almeno due stupri). E nel partito, in effetti, lo choc è grande. Tanto più che a speculare sul caso non sono stati gli avversari, bensì uno dei candidati alla segreteria, il senatore Ignazio Marino: «Trovo davvero incredibile che un criminale che già 13 anni fa era stato coinvolto in odiosi reati di violenza sessuale possa essere arrivato a coordinare un circolo del Pd. È evidente che nel Pd abbiamo una questione morale grande come una montagna». Ovviamente, la classe dirigente si è chiusa a riccio a difesa dell’onorabilità del partito, accusando Marino di essere uno squallido strumentalizzatore.

Per il Pd romano, in effetti, si tratta di una sorta di nemesi: appena poco più di un anno fa alti dirigenti capitolini si divertivano a gettare ombra su Gianni Alemanno candidato sindaco per lo stupro di una studentessa alla Storta, seminando veleni sui soccorritori della ragazza. In pratica, lavorarono sodo con e-mail, sussurri e dichiarazioni allusive, per far credere che l’episodio criminoso era stato organizzato ad arte per aiutare la campagna elettorale del futuro sindaco di Roma. Sarebbe facile, ma di cattivo gusto, far notare che in realtà potevano controllare meglio le abitudini dei loro iscritti e dirigenti anziché dilettarsi in pratiche diffamatorie. Ma in realtà quanto avvenuto si presta ottimamente a una riflessione importante: l’epoca della demonizzazione di una parte politica sfruttando i “vizi” e i reati dei singoli è definitivamente tramontata, ed è bene non risuscitarla. Questa è la lezione più importante, più significativa e più profonda che non solo il Pd ma la politica tutta intera deve trarre dal dramma romano. Un brutto fatto di cronaca che rovescia stereotipi che per decenni si sono abbattuti sulla destra dopo lo sciagurato eccidio del Circeo, il massacro in cui perì Rosaria Lopez e si salvò per miracolo Donatella Colasanti. Gli autori del misfatto, Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido divennero il simbolo allucinato della violenza neofascista. Ancora nel 2006 sul manifesto si leggeva che il massacro del Circeo ha rappresentato e continua a rappresentare «un evento dal fortissimo connotato politico e soprattutto sociale. Rivelava quel che erano allora i fascisti pariolini. Metteva a nudo un rapporto tra uomo e donna non ancora rivoluzionato dal femminismo. Inoltre, se non un delitto politico, fu certamente un delitto di classe reso possibile dalla farneticante e sadica violenza di tre ragazzi per bene che all’ideologia neofascista accompagnavano la certezza di poter restare impuniti dopo aver ucciso due ragazze di periferia conosciute per caso e attirate in una trappola con la scusa di una festa al mare. E non è certo un caso se proprio Ghira riuscì a fuggire quasi subito all’estero dove restò al sicuro».

Quell’atroce delitto a sfondo sessuale venne con grande superficialità associato ai desiderata ideologici della sinistra, sulla pelle di due sfortunate ragazze venne confezionato un cliché duro a morire che impedì a lungo di separare la follia del singolo dall’ambiente politico di riferimento, spesso scelto come cornice “teatrale” per dare sfogo a forme di esibizionismo malato. Un parallelo tra il caso Izzo (peraltro clamorosamente accreditato in seguito come supertestimone nei processi politici contro i terroristi neri) e quello di Bianchini, nonostante il contesto dei reati consumati sia diverso, risulta utile proprio come messaggio alla politica: evitare le strumentalizzazioni da ogni parte ma soprattutto evitare, da parte della sinistra, di cucire addosso all’avversario forme di devianza che nulla hanno a che fare con le tendenze politiche soprattutto quando si scopre che dietro la copertura della politica si nasconde l’abisso della turpitudine. È stato il caso di Izzo come oggi è il caso di Bianchini.

Ieri per il ragioniere romano è arrivata la convalida del fermo in carcere. Nella sua casa gli uomini della questura hanno trovato bamboline di cera rossa alle quali erano stati applicati aghi e chiodi, piccole bottiglie di vetro contenenti pozioni per ottenere amore e salute, guide per compiere riti esoterici. E poi ancora dvd pornografici aventi per oggetto violenze sessuali dai titoli eloquenti come «Stupri gallery» o «Realmente stuprate», fascette di plastica nera, simili a quelle utilizzate per immobilizzare le vittime, una pistola giocattolo, due coltelli avvolti nello scotch grigio e un braccialetto forse appartenente a una delle vittime. Gli inquirenti hanno inoltre chiarito che non esiste nessuna pista su un ipotetico secondo uomo ed è stata infine smentita la pista che condurrebbe a locali di scambisti frequentati dall’uomo arrestato.

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