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Iran nel mirino dei Delfini, war game nel Mar Rosso

di Manlio Dinucci - 16/07/2009

  
 


Il Delfino è emerso dal mare di fronte ai villeggianti che facevano il bagno a Eilat, il porto israeliano nel golfo di Aqabah sul Mar Rosso. Non era però un cetaceo, ma un «Dolphin», uno dei sottomarini israeliani armati di missili nucleari. La notizia ha fatto sensazione.

Non è però un mistero che i «Dolphin» incrocino nel Mar Rosso per tenere sotto tiro l'Iran: lo abbiamo scritto sette anni fa sul manifesto (5-4-2002). I primi tre sottomarini di questa classe, dotati dei più sofisticati sistemi di navigazione e combattimento, sono stati forniti a Israele dalla Germania negli anni '90, due sotto forma di dono. Su richiesta israeliana, ai sei tubi di lancio da 533mm, adatti ai missili da crociera a corto raggio, ne sono stati aggiunti in ogni sottomarino quattro da 650 mm, per il lancio di missili da crociera nucleari a lungo raggio: i Popeye Turbo, che possono colpire un obiettivo a 1.500 km. Sono missili derivati da quelli statunitensi, di cui l'israeliana Rafael e la Lockheed-Martin hanno realizzato congiuntamente anche una versione per aerei.

Nel 2010, ai tre sottomarini da attacco nucleare se ne aggiungeranno altri due, sempre forniti dalla Germania. Sono costruiti dai cantieri Howaldtswerke-Deutsche Werft AG per 1,27 miliardi di dollari, un terzo dei quali finanziato dal governo tedesco. Il Jerusalem Post conferma che anche i due nuovi sottomarini, la cui sigla è «U-212», vengono costruiti secondo le «specifiche israeliane»: hanno maggiore velocità (20 nodi) e un maggiore raggio d'azione (4.500 km) e sono più silenziosi, in modo da potersi avvicinare agli obiettivi senza essere individuati.
Secondo esperti militari, dei tre «Dolphin» forniti dalla Germania, uno viene tenuto in navigazione nel Mar Rosso e Golfo Persico, l'altro nel Mediterraneo, mentre il terzo rimane di riserva. Con l'aggiunta di altri due, il numero di quelli in navigazione, pronti all'attacco nucleare, potrà essere raddoppiato. E questa è solo una parte delle forze nucleari israeliane, il cui potenziale viene stimato in 200-400 testate nucleari, con una potenza equivalente a quasi 4mila bombe di Hiroshima, e i cui vettori comprendono oltre 300 caccia statunitensi «F-16» e «F-15» e circa 50 missili balistici «Jericho II» su rampe di lancio mobili. Queste e altre armi nucleari sono pronte al lancio ventiquattr'ore su ventiquattro.
Il governo israeliano, che rifiuta il Trattato di non-proliferazione, non ammette di possedere armi nucleari (la cui esistenza è riconosciuta dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica), ma lascia intendere di averle e poterle usare. Si spiega così perché il «Dolphin» sia apparso agli occhi dei bagnanti di Eilat e perché il Jerusalem Post dia notizia che esso è transitato dal canale di Suez di ritorno da una esercitazione nel Mar Rosso. Come scrive lo stesso giornale, è «un segnale all'Iran». In altre parole, un modo per far capire all'Iran e altri paesi della regione, i quali non possiedono armi nucleari, che Israele invece ce l'ha ed è pronto a usarle.

Un ulteriore «segnale di avvertimento all'Iran» è la notizia, riportata da Ha'aretz, che ieri anche due navi da guerra israeliane, la «Hanit» e la «Eilat», hanno attraversato il canale di Suez dirette nel Mar Rosso. La «Hanit» vi era già transitata in giugno insieme al sottomarino «Dolphin». Ciò implica un accordo israelo-egiziano in funzione anti-Iran. Le stesse fonti militari israeliane parlano di un «cambio di politica», che permette alle unità della marina di transitare liberamente dal Canale. Lo ha confermato il ministro degli esteri egiziano Ahmed Aboul Gheit, che ha definito «legittimo» l'uso militare del canale di Suez da parte di Israele, stabilito da «un accordo tra il Cairo e Gerusalemme». Vi è quindi un più stretto collegamento strategico tra Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo persico.
E, mentre Israele si esercita all'attacco nucleare contro l'Iran, i leader del G8 (quasi tutti attivi sostenitori del programma nucleare militare israeliano) denunciano «i rischi di proliferazione posti dal programma nucleare iraniano», nei documenti approvati a l'Aquila l'8 luglio «nel corso della cena».