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11 settembre, intervista a Giulietto Chiesa

di Giulietto Chiesa - 16/07/2009



 

Abbiamo avuto modo di incontrare e intervistare Giulietto Chiesa, autore con Franco Fracassi del documentario Zero – Inchiesta sull’11 settembre, che mette in forte discussione le tesi della versione ufficiale di quella tragica giornata.

 

Con lui abbiamo potuto approfondire alcuni argomenti che in questi anni hanno suscitato un forte interesse e che hanno provocato anche polemiche feroci. Ovviamente, sentiremo presto cosa ha da dire chi la pensa in maniera molto diversa.

 

La prima cosa che mi chiedevo è come le è venuta in mente l’idea del documentario. Da cosa è partito?

Il mio lavoro d’indagine è cominciato il 12 settembre, quindi subito, perché per me era evidente fin dall’inizio che la spiegazione che era stata data non fosse plausibile. All’inizio, pensavo che fossimo in pochi ad avere questa opinione, ma poi sono arrivate decine di migliaia di persone, tra cui degli esperti.

Il primo che si espresse pubblicamente fu Andreas Von Bülow, ex ministro delle comunicazioni tedesco, un parlamentare autorevole che in un articolo sull’Herald Tribune disse che per un’operazione del genere era necessario l’impegno di più di un servizio segreto.

Io invece ho scritto un libro chiamato La guerra infinita, uscito a marzo 2002, in cui ho messo assieme queste informazioni. Insomma, ho fatto quello che dovrebbe un giornalista degno di questo nome, cioè trovare una spiegazione a fatti inspiegabili. Quando i fatti sono palesemente inspiegabili, bisogna trovare una spiegazione razionale. Se il racconto che viene offerto non sta in piedi, è evidente che qualcuno mente. Questa è la metodologia utilizzata. In seguito, ho fatto tesoro della ricchezza di informazioni che sono iniziate a uscire sui media alternativi, perché l’altra cosa che mi ha colpito subito è che c’era una congiura del silenzio. Di fronte all’evidenza, come dimostrato in seguito, dell’infondatezza della versione ufficiale, si sarebbe potuto immaginare che ci sarebbe stata una grande quantità di inchieste e di indagini, mentre invece il mainstream mondiale ha tirato giù la saracinesca e ha smesso di occuparsene, nonostante fosse evidente (e lo è ancora oggi) che la versione ufficiale ha come minimo dei giganteschi problemi di incongruenza.

Domanda: come mai l’intero mainstream mondiale a metà del 2002 aveva già smesso di occuparsi di questo problema e non lo ha mai riaperto, in nessun caso, se non di fronte alla costrizione provocata da alcuni eventi? In alcuni casi la notizia è talmente forte che non la si può tacere e quindi esce, ma poi viene immediatamente richiusa, perché il mainstream lavora al servizio di chi ha fatto l’11 settembre.

Per il mainstream, la corrente funziona al servizio delle stesse persone, non da ieri, ma da 25-30 anni, questa è il contesto debordiano in cui noi viviamo. Io, prima di conoscere Debord, l’avevo definita la grande fabbrica  dei soldi della menzogna, rappresentata dal mainstream mondiale, altro che villaggio globale…

 

In questo senso, è stato difficile vendere il documentario?

E’ stato impossibile vendere il documentario per le stesse ragioni espresse sopra. Comunque, io ho lavorato per molto tempo, poi sono arrivato a una conclusione. Siccome avevo fondato un’associazione che si chiama Megachip – Democrazia nella comunicazione, con svariate decine di amici abbiamo lavorato a un’analisi di certi aspetti e sono arrivato alla conclusione che raccontare l’11 settembre a parole sarebbe stato impossibile, perché le parole non possono competere con gli occhi. L’ispiratore di questo cambio di marcia operativo è stato Sartori, che ha scritto un libro bellissimo intorno al 2002-2003, Homo videns, che io da allora reclamizzo sempre. Il libro parlava giustamente di una mutazione antropologica, in cui l’homo videns ha un’altra natura rispetto all’homo legens, che è razionale, come quello che ascolta la radio. Invece, l’homo videns non è più razionale, non può esserlo per ragioni neurofisiologiche, e chi ha capito questo cambiamento ha capito la politica nuova e ha costruito la politica nuova del mondo. Chi ha dato vita all’11 settembre conosce perfettamente l’homo videns e ha organizzato tutto perché fosse visto.

Quindi, ho cominciato a pensare che avrei potuto scrivere quanti libri volevo e raccogliere tutte le informazioni possibili, ma non avrei cavato un ragno dal buco se non fossi riuscito a farlo vedere. Per questo abbiamo deciso di realizzare un film. Come farlo, visto e considerando che non ci sarebbero stati finanziatori? L’unica possibilità era raccogliere i soldi tra gente che condivideva il senso di questa ricerca. Quindi lo abbiamo fatto, arrivando a circa 450.000 euro, io ne ho messi di mio 30-40.000 euro in qualità di europarlamentare, e complessivamente circa 400 persone ci hanno dato dei soldi. Quasi tutti quelli che ci hanno lavorato lo hanno fatto gratis.

 

A livello tecnico si tratta di un documentario notevole, a differenza di altri prodotti italiani c’è una regia forte e un bella fotografia…

C’è una bella fotografia e un ottimo montaggio, che secondo me in alcuni punti è stato decisivo. Ma quasi tutti hanno lavorato gratis. A cosa ci è servita quella piccola somma? A parte le spese tecniche inevitabili, come i viaggi quando siamo andati a Chicago, la cosa essenziale era l’acquisto di immagini, dove abbiamo investito la maggior parte delle risorse. Siamo andati alla ricerca di tutte le immagini che ci sembravano funzionali al ragionamento e abbiamo acquistato i diritti. Era l’unica condizione per poter uscire nei cinema e poi vendere il prodotto alle grandi catene.

 

In questo senso, voi avete anche fatto dei cambiamenti nelle varie versioni…

E’ evidente, perché alcune cose sono apparse più forti, altre più deboli. Altri argomenti non erano affrontabili soltanto citandoli, perché se li affronti devi approfondirli e spiegarli. Noi prima abbiamo fatto un piccolo esperimento per trovare la metodologia da adottare con un documentario che si chiamava Sette domande sull’11 settembre, tutto composto di materiali commentati da noi, ma presi dai media. Lì c’era anche l’United 93. Io l’ho usato nella fase precedente al film per sapere quanta gente conoscesse l’esistenza di questo problema, non tanto per mostrare la mia versione dei fatti. Abbiamo svolto una verifica attraverso una procedura sperimentale, dopo aver fatto tutto questo percorso e conoscendo le difficoltà del problema, le reticenze e le preoccupazioni, come per esempio il fatto che tutta la sinistra, parlamentare e non, su questo problema abbia taciuto completamente, una cosa singolare. Ho capito che c’erano degli ostacoli politico-psicologici molto forti e quindi cosa ho fatto?

Ho realizzato questo documentario con i miei collaboratori mettendo insieme le informazioni che ritenevamo più interessanti, con sette domande, e le abbiamo mostrate in 6-7 riunioni, con una ventina di persone per volta, un centinaio in tutto. Erano tutti miei amici, gente che si fidava di me, non tirata dentro per i capelli, c’erano scrittori, uomini di cultura, intellettuali, qualche politico e soprattutto giornalisti. Facevamo vedere le sette domande, c’era anche materiale apparso su Internet e quindi non era tutto condivisibile. Noi prendevamo e chiedevamo se conoscevano queste cose. La curiosità più straordinaria è che quasi nessuno aveva visto questo materiale, eppure era disponibile da un anno o due. Ho capito che c’era un blocco enorme e da lì è nato il film. Ci siamo detti di farlo noi, ma che dovesse essere per un pubblico esterno, normale e che non sapesse nulla, un pubblico che vede i telegiornali e che va al cinema.

Se vuoi fare un film, non può essere di sei ore. La nostra idea era di fare un film per il pubblico che guarda la televisione e che va al cinema. Internet è una cosa speciale, ma è una nicchia che non raggiunge il grande pubblico. Quindi, se vuoi fare un film che sia fruibile e commerciale, devi tenerti su tempi accettabili. Ci hanno detto di non andate oltre i 100 minuti, noi comunque siamo arrivati a 108 minuti. Quindi, devi fare una scelta su un materiale gigantesco che va sfrondato, depurato e ripulito.

Per restare nei tempi, abbiamo fatto delle scelte drastiche. Se avessimo dovuto mostrare il volo caduto in Pennsylvania avremmo dovuto rinunciare a una cosa che nel film è fondamentale e che abbiamo solo noi, ossia l’analisi dei 19 terroristi. Non c’è in nessun altro film, neanche in Loose Change. Noi siamo andati a pescare chi erano, da dove sono venuti e come sono stati seguiti. Penso che sia una delle cose più originali e fruttuose per il futuro, quindi abbiamo deciso di tagliare quel pezzo sull’United 93.

 

Uno dei grandi problemi di fare questo lavoro di informazione è il fatto che per acquistare questi materiali bisogna avere dei capitali non indifferenti. Il ragazzino che volesse fare una cosa del genere non lo potrebbe fare, altrimenti rischierebbe una causa legale…

Gli avvocati ci hanno detto che se volevamo fare un film, bisognava avere i documenti di proprietà. Mi piange il cuore di aver dovuto togliere, rispetto alla versione presentata al Festival, due o tre passaggi che sono assolutamente decisivi per documentare quello che diciamo e che non abbiamo potuto acquistare, ma le catene televisive americane a cui ci siamo rivolti per avere i materiali ci hanno negato la vendita. Quindi, abbiamo dovuto toglierle, non c’era via di mezzo. Così come abbiamo dovuto fare con un pezzo molto bello, Black Dawn, ‘l’Alba nera’, in cui ho potuto vedere direttamente la manipolazione dell’immagine di Bin Laden da parte di uffici che lavorano per questo. Era un Power Point che venne presentato all’Ufficio di sicurezza e difesa europeo realizzato dal CSIS, Center for International Strategic Studies di Washington, in cui ci veniva mostrato l’attacco nucleare contro la sede Nato di Bruxelles con il servizio di un telegiornale, tutto fatto a livello professionale. Era fantastico, perché a un certo punto compariva Osama Bin Laden e anche se l’immagine era chiaramente presa altrove, era manipolata in maniera fantastica. Bin Laden annunciava, con un’ottima voce, di essere stato lui l’autore dell’attacco nucleare alla sede Nato di Bruxelles, che ovviamente non è mai esistito. Allora io l’ho preso e l’ho messo nel film, nell’ambito del ragionamento “chi è che manovra Bin Laden? Chi è questo Bin Laden? Da dove viene, dove si trova e perché non l’hanno mai beccato?”. Quando abbiamo messo questo estratto, che c’era nella versione presentata a Roma, arrivato il momento dell’uscita uno dei nostri avvocati ci ha chiesto se avessimo l’autorizzazione degli autori, visto che era un film realizzato da un istituto professionale. Io stesso ho chiamato a più riprese e la cosa divertente era che non ci hanno neanche detto di no, ma ci rimandavano da una parte all’altra. Magari ci dicevano di andare dal produttore, che invece ci diceva di rivolgerci a uno degli autori. Poi abbiamo chiamato tutti e alla fine disperati abbiamo chiesto che almeno ci dicessero di no, mandandoci una mail in cui si vietava l’utilizzo, ma non hanno fatto neanche questo. Tuttavia, di fronte al rischio di vederci bruciata la pellicola, l’abbiamo tolto.

 

Per dirla in maniera semplice, il documentario non crede alla versione ufficiale, non crede che le Torri gemelle siano cadute per il duplice effetto della collisione degli aerei e del calore, non crede che al Pentagono si sia abbattuto quell’aereo. Prendendo per buone queste tesi, non risulta difficile rendere credibile le tesi alternative? Per esempio, nel caso delle Torri gemelle, se è stato l’esplosivo a far crollare le Torri, perché ci sarebbe stato bisogno di far dirottare degli aerei, di farli schiantare delle Torri e non semplicemente far esplodere queste strutture?

Perché ci volevano dei terroristi…

 

Ma si poteva dire che c’erano dei terroristi che hanno messo delle bombe, sarebbe stato più semplice…

E’ un’obiezione che ho sentito molte volte. La fantasia di coloro che organizzano questi attentati è molto superiore a quella degli scrittori più creativi. Io non competo con loro, so soltanto che sono degli specialisti di alto livello. Hanno scelto quella perché evidentemente era la soluzione più spettacolare…

 

Ma non era una complicazione rischiosa?

Ma secondo me far crollare le Torri senza farle vedere in diretta a milioni di persone non avrebbe funzionato altrettanto bene.

 

Comunque si trattava di un luogo che era già stato coinvolto in un attentato terroristico con dell’esplosivo, anche se di natura molto diversa…

Non sarebbero state viste perché non ci sarebbero state le telecamere, bisognava creare il contesto. Bisognava che ci fossero le telecamere di tutto il mondo.

 

Anche solo vedendo le macerie e con migliaia di morti sarebbe stato un bell’effetto…

Le migliaia di morti sono un’inezia per questi signori, che hanno già fatto operazioni del genere…

 

Ma per gli americani comunque non è certo una cosa già vista…

L’incidente del golfo del Tonchino ha provocato 52.000 americani uccisi, in una guerra che è stata totalmente inventata in modo incontrovertibile, quindi questi signori hanno inventato una guerra, provocando 52.000 soldati e ufficiali americani uccisi e due milioni di vietnamiti morti. Insomma, si può fare molto di più di 3.000 morti, queste sono inezie. Comunque, la risposta a questa domanda dovete porla a quelli che hanno organizzato tutto quando li scoprirete, non fatela a me. Noi siamo di fronte a un evento, che cosa avrebbero potuto immaginare, pensare o fare loro non lo so. Questo evento ci è stato raccontato con una serie di palle clamorose, questo evento è falso. Noi stiamo lavorando perché ci sia una nuova indagine, fatta da una nuova amministrazione politica americana che ci dica la verità, ma dubito che questo avverrà.

 

Visto il modo in cui è stato utilizzato questo evento, ossia per colpire Afghanistan e Iraq, perché in un’eventuale cospirazione non sono stati inseriti afgani o iracheni tra i dirottatori, ma erano quasi tutti sauditi?

Perché i servizi segreti sauditi erano migliori di quelli iracheni, visto che a questa operazione hanno partecipato i servizi pachistani, sauditi e probabilmente il Mossad per alcuni aspetti, forse anche rilevanti. Hanno preso quello che avevano. I servizi segreti preparano queste operazioni con largo anticipo.

 

Non credo sarebbe stato difficile inventarsi dei passaporti falsi iracheni o afgani, visto che voi mettete anche in discussione l’identità dei dirottatori…

C’era una discussione in corso negli Stati Uniti in quel momento e non tutti quelli che partecipano a queste operazioni fanno parte degli stessi livelli di direzione politica. Comunque, non commettiamo un’ingenuità. Un’operazione del genere non la fa la CIA, sono dei corpi separati che agiscono all’interno dei servizi segreti. E se qualcuno vuole contestare questa cosa, si rivolga a Seymour Hersh che l’ha documentata a più riprese. Questo è cosa nota. La perfezione in questi casi non esiste, un’operazione del genere la si conduce con le forze che si possono mettere in campo e basandosi sul fatto che dentro l’establishment americano ci sono diverse opzioni. Alcuni di questi lo hanno anche rivelato. Ci fu uno scambio di battute nel corso di una trasmissione di Ballarò, tra me e il professore americano Michael Ledeen, in collegamento dagli USA mentre io ero in studio. E la curiosità dell’episodio fu che, mentre era in corso la guerra contro l’Iraq, cominciata da poco, lui disse, in piena trasmissione, qualcosa del genere: “Io l’avevo sempre detto, fin dall’inizio che bisognava attaccare subito

l’Iran, non l’Iraq”. Non giuro sulla citazione alla lettera, ma giuro sul significato precisissimo di ciò che disse.

 

E’ indubbio che questo evento sia stato sfruttato per esigenze ben definite, ma un conto è dire che è successo un incidente ed è stato sfruttato, un conto è crearselo da soli…

Ovviamente, ma non è nelle mie competenze dire perché hanno fatto così. Certo che ho la mia versione dei fatti, ma quello che posso dire sicuramente è che quello che ci hanno raccontato non è vero, questo lo sosterrei di fronte a qualunque tribunale, in qualsiasi circostanza e senza esitazione. Non ho esitato a mettere a repentaglio trent’anni di lavoro giornalistico per dire queste cose, se le posso dire e se mi offrono l’occasione per farlo, altrimenti me la offro da solo. Io sono certo di quello che dico. Poi se qualcuno mi chiede di interpretare il loro comportamento, io dico che è molto variegato, tante cose sono veramente difficili da spiegare perché siamo di fronte a gente sul filo della pazzia, considerando che chi fa queste cose non è gente normale. Chi a tavolino costruisce una guerra è molto intelligente e sa sfruttare i media, ma non è normale. E’ gente che ha di fronte a sé problemi di carattere politico e religioso sconvolgenti, quindi mettersi a fare un ragionamento razionale su qual è l’ipotesi migliore secondo me significa un po’ sottovalutarli. Di fronte a un evento di questo genere, bisogna sapere che chi l’ha ideato è un criminale di raffinata intelligenza, nel caso specifico gente che, tra le altre cose, ha una forte connotazione religiosa. Quindi, io mi trovo di fronte a un signore che dovrebbe stare in una clinica psichiatrica. Pretendere di interpretare razionalmente i suoi comportamenti è impossibile…

 

Nel caso del Pentagono, se non è stato colpito da quell’aereo, che fine ha fatto le persone e l’aereo stesso?

Nel film abbiamo sentito i pareri di un certo numero di esperti che conoscono meglio di me sia il funzionamento di quegli aerei specifici, sia la dinamica degli eventi. Noi sappiamo che quell’aereo è sparito dall’osservazione dei radar per 36 minuti. Non lo dico io, quell’aereo a un certo punto è sparito dall’osservazione…

 

Su questo però c’è chi dice che in realtà loro non riuscivano a rintracciare qual era l’aereo esatto perché era stato spento il trasponder…

Questo molto tempo prima, l’aereo ha spento il trasponder, ha cambiato rotta, è stato seguito per un po’ e, a un certo punto, per 36 minuti le tracce radar sono scomparse…

 

Ma poi a posteriori non si è riusciti a definire la sua rotta?

No, mai stata trovata la rotta. Noi lo sappiamo con certezza perché sta scritto nel 9/11 Commission Report, questa è la verità ufficiale e sta scritta lì, si dice che quell’aereo è stato perduto dai radar per 36 minuti. Dove è andato a finire? Io non lo so, ma per far sparire dai radar un aereo che vola ci sono solo due possibilità. Una è che cada da qualche parte, l’altra è che voli talmente basso da non essere più rintracciabile, cioè a pochi centimetri da terra.

 

Questo comunque presuppone che i passeggeri sono stati uccisi in un altro modo o facciano parte di un’eventuale cospirazione, perché non ci sono più…

Queste persone possono essere state uccise altrove o l’aereo potrebbe essere caduto da un’altra parte. Noi non sappiamo nulla di questo. Possiamo fare delle ipotesi…

 

Ma ci sono anche delle telefonate di queste persone…

No, assolutamente, questo lo smentisco categoricamente. Lo posso dire perché abbiamo fatto uno studio apposito con Yukihisa Fujita, deputato giapponese, che ha scritto una lettera a Hamilton e Kean, i due presidenti della Commissione, chiedendo se loro conoscevano l’esistenza di un documento dell’FBI, finora mai smentito, in base al quale si dichiara che nessuna telefonata in uscita sia stata registrata dai quattro aerei.

 

Quindi quelle trascrizioni sono tutte false?

Esatto. E’ quello che scrive l’FBI. Abbiamo chiesto a Hamilton e Kean se erano a conoscenza di questo documento, ma non ci hanno mai risposto. Ma comunque esiste, l’abbiamo registrato e lo metteremo nel nostro secondo film…

 

Quindi ci sarà un secondo film?

Ci sarà perché lo stiamo preparando, da allora sono venute fuori molte cose che saranno nel secondo capitolo. Voglio sottolineare che le telefonate sono tutte false, anche quelle della moglie del diplomatico che avrebbe telefonato due volte. Non risulta, perché il telefonino ha cercato di collegarsi, ma non ce l’ha fatta. Loro hanno trovato la telefonata e la sua durata era di zero secondi, il che vuol dire che c’è stato il tentativo, non ha agganciato la rete ed è finita lì. La domanda è: chi ha autorizzato queste telefonate?